Capitolo 4

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Narra Peter:
Lali non era ancora arrivata, era in ritardo di un quarto d'ora, mi stavo iniziando a preoccupare, se non si fosse presentata avrei dovuto chiamare il giudice, però non volevo chiamare il giudice, perché sapevo che lei avrebbe avuto dei guai. Era passata più di mezzora, alzai la cornetta per chiamare lo studio del giudice Vasquez, quando la porta si spalancò ed entrò una figura incapucciata e bagnata fradicia. Le cuffie nelle orecchie ed interamente vestita di grigio, tremava. Mi alzai lasciando cadere la cornetta sul tavolo e mi avvicinai a lei. -Lali? Ma che cazzo hai fatto?- le alzò lo sguardo verso di me, era uno sguardo triste. Mi morsi il labbro. Presi il mio giaccone dall'appendi abiti e glielo posai sulle spalle, era molto grande per lei. Lali se lo strinse addosso e si sedette sulla poltrona. -Mio padre era ubriaco fradicio, così ho deciso di venire a piedi. Non sapevo portasse pioggia. Mi scusi per il ritardo- disse, la sua voce non era altro che un sussurro ed era così acuta. La guardai bene, era così fragile, sembrava fatta di vetro e che una piccola folata di vento l'avrebbe potuta rompere. Mi inginocchiai accanto a lei e le feci alzare il viso per farla guardare verso di me, le sorrisi -Non preoccuparti. Ti do il mio numero, così la prossima volta mi avverti e ti vengo a prendere a casa- le dissi prendendo il cellulare dalla tasca dei miei jeans. -Non è una buona idea, a mio padre non piace molto- disse. -Io non piaccio mai ai padri- dissi. Lei mi sorrise, era un piccolo sorriso, ma era vero, ed i suoi sorrisi erano così rari e allo stesso tempo così belli. -Sei diverso da ogni altro ragazzo io abbia mai conosciuto- mi disse. Alzai un sopracciglio -Questo è un bene o un male?- le domandai. Lei allargò il sorriso, mostrando i suoi piccoli dentini bianchi -è un bene. Sei premuroso, mi ascolti e non fai stupidaggini- disse. -Ascoltarti è il mio lavoro- le ricordai. -Ma a te sembra che importo. Sei la prima persona a cui importa di me. Nemmeno a mio fratello importava di me, se no non se ne sarebbe andato- disse. Aprì la bocca, ma non dissi nulla, non sapevo cosa dire, non c'era nulla da dire. Mi avvicinai a lei, anche se il mio cervello mi gridava di fermarmi, che era troppo, che non potevo, ma non lo ascoltai, lo spensi e l'abbracciai. Lali era così piccola fra le mie braccia, così fragile e così infreddolita, le stavo dando il mio calore, la stavo consolando. Lali non ricambiò l'abbraccio, non mi aspettavo che lo facesse, rimase immobile a guardarmi, e poi appoggiò la testa sul mio petto e chiuse gli occhi. -Non lasciarmi- disse con la voce stridula ed incrinata, sentivo i suoi singhiozzi, sapevo che stava piangendo, la strinsi con più forza a me, come avendo paura che se ne potesse andare, che potesse scappare, che potesse ferirsi, non volevo si ferisse, volevo proteggerla da tutto e da tutti, aveva sofferto troppo per soffrire ancora. In un attimo desiderai essere una persona diversa, per poterla consolare meglio, ma non potevo, l'unica cosa che potevo fare era mentirle. -Non ti lascerò mai- dissi, ed era una menzogna, perché non potevo tenerla vicina, dovevo allontanarla da me, lo sapevo bene, ma lei aveva bisogno di sentire quelle parole ed io di dirle. Desiderai che quelle parole potessero essere vere. Sentivo che lei sapeva che la mia frase non era vera, ma finse di crederci anche lei. Le baciai la fronte e le guardai il viso, gli occhi gonfi per il pianto, i capelli attaccati al viso, le labbra screpolate e le guance piene di lentiggini e di trucco sciolto e rosse. Era stupenda, anche se nessuno lo avrebbe mai confermato, io la trovavo stupenda. 

Per sempre insieme LaliterDove le storie prendono vita. Scoprilo ora