George era il ragazzo che era venuto a casa mia? Risposta? Sì.
Non appena ricevemmo quella notizia chiesi a Tony di accompagnarmi subito in ospedale. Decisero di venire anche Michelle, Emily e Katie, le due gemelle e Franky. Mentre ero in macchina sentivo le mie mani ghiacciate che tremavano terribilmente.
Per tutto il viaggio non avevo fatto altro che mordermi le unghia; ero troppo nervosa. Sentivo un peso al petto, con lui ci avevo parlato pochissimo tempo fa e adesso era in queste condizioni. Ma la domanda più importante era: perché era ridotto in questo stato?
Quando finalmente arrivammo scendemmo di corsa dall'auto e ci addentrammo nel gigantesco ospedale. Girai qualche corridoio, le pareti erano di un azzurro sbiadito con delle strisce gialle e invece le porte erano azzurre e su di essere c'erano incise dei numeri neri per distinguerle. In alcuni punti c'erano appesi degli estintori in caso d'incendio. Questo posto puzzava di morte. Non mi era mai piaciuto l'ospedale, come presumetti a nessuno. Odiavo quell'aria pesante che si creava e ad ogni passo che facevo vedevo gente disperata seduta ad aspettare chissà quale sorte. I nostri passi erano accompagnati dai rigorosi lamenti dei pazienti e devo ammettere che era anche un pò inquietante.
Trovammo l'ascensore e aspettammo che scendesse. Avevo avuto sempre paura di questi aggeggi in generale, ma se erano a maggior ragione quelli degli ospedali mi terrorizzavo molto di più perché ero consapevole che erano dei vecchi rottami utilizzati si e no da infermieri e dottori per trasportare pazienti, si bloccavano spesso e l'idea mi fece sudare le mani.
Entrammo tutti e cinque dentro esso e Katie pigiò il cerchio dove c'era inciso un quattro, ovviamente poco prima ci eravamo informati su dove si trovasse George. Appena le porte si aprirono uscimmo di corsa gurdandoci attorno e camminammo per qualche minuto alla ricerca della stanza di George e così, dopo aver girovagato un poco, la trovammo.
Oltre la porta c'era una facciata di vetro da dove si poteva vedere quel povero ragazzo disteso su un letto. Era strapieno di tubi dappertutto. Un tubicino che gli passava sotto il naso, la flebo sul braccio. Chi lo aveva ridotto in quel modo? Anche se non lo conoscevo tantissimo mi crebbe dentro una rabbia incontrollata. Come si erano permessi a ridurre così un povero ragazzo, a prescindere da chi fosse.
La stanza che lo circondava non era un granché: c'era il letto dove stava lui con delle lenzuola di un bianco pallido, triste, le pareti erano azzurre, accanto a lui c'era un comodino marrone più o meno della stessa altezza del letto su cui era appoggiato un bicchiere e una bottiglia d'acqua metà vuota. Invece dall'altra parte c'era un armadio dello stesso colore delle lenzuola e l'elettrocardiogramma.
Appoggiai la mano sul vetro freddo al contatto. Non sapevo che cosa dire.
Quando vidi passare un medico dal corridoio isolato immediatamente mi avvicinai a lui che mi squadrò per poi sorridermi gentilmente.
«Posso esserle d'aiuto?» domandò intento a sfogliare il block notes che teneva in mano.
«Si, voglio sapere cosa è successo a quel ragazzo.» svuotai il sacco indicando con il dito la stanza di George.
«È arrivato qui con una leggera lesione al braccio e alla gamba ed il naso rotto. Nulla di grave.»
Eppure sembrava peggio di quello che stava descrivendo dalla nota di sofferenza che aveva sul volto.Non proferii parola.
«È stato picchiato molto pesantemente, ma per sua grande fortuna non è niente di grave, signorina.»
«Posso entrare nella stanza?» gli chiesi con la speranza che mi facesse passare.
«È una parente?»«Uhm..no, ma..»
«Okay, d'accordo. La lascio entrare, ma non più di dieci minuti.» disse per poi mettere la penna nel taschino del suo camice bianco e sparire dietro un angolo del corridoio.
Tony mi diede una leggera pacca amichevole sulla spalla e mi rassicurò con lo sguardo.
Abbassai la maniglia lentamente e varcai la soglia per poi richiudere la porta, lui stava dormendo e profondamente anche. Intanto Michelle, Tony, Katie e Emily mi guardavano dalla facciata in vetro che ci divideva e Michelle mi sorrise.Mi sedetti su una piccola porzione di letto tentando di non svegliarlo; non sapevo che cosa dirgli se fosse accaduto.
«Come sei ridotto.» farfugliai rabbuiandomi. Doveva essere un ragazzo molto simpatico e solare. Mi sembrava di averlo visto da qualche parte, non era un viso completamente sconosciuto.«Mmh..già.» borbottò ad un tratto accennando un sorriso e aprendo soltanto un'occhio.
Fottuta.
«Come ti senti?» chiesi anche se sapevo che stava tutto fuorché bene, ma non sapevo cosa dire e quindi me ne uscii con questa domanda stupida schiaffeggiandomi mentalmente.
«Alla grande.» sussurrò ironicamente voltandosi leggermente verso di me mugolando indubbiamente per il dolore che si era procurato con quello sforzo.«Ti hanno picchiato.» bofonchiai seccata solo al pensiero.
«Degli idioti, per una ragazza con cui stavo ballando, che poi si è scoperta essere la fidanzata di uno di loro.» mugugnò sospirando. Lo guardai stranita, stupidi, ignoranti, idioti del cavolo.
Non dissi niente, non sapevo che cosa aggiungere.«Perché sei venuta? Insomma, neanche ci conosciamo.» disse inumidendosi le labbra secche.
«Beh..sinceramente non lo so. Ho reagito d'instinto. Sapendo che ci eravamo incontrati pochi giorni fa mi sono sentita infastidita.»«Ti sei sentita in dovere di farlo?» mi chiese indispettito.
Non volevo che pensasse questo, non lo avevo fatto assolutamente per quel motivo.«No! Niente di tutto questo.» scattai accarezzandomi un braccio imbarazzata.
Ma sei stupido o cosa?
«D'accordo.» sogghignò.
Mi girai verso i miei amici che mi aspettavano con pazienza, esageratamente parlando. Emily aveva la faccia spiaccicata sul vetro e Tony stava facendo avanti e indietro per il corridoio.
Molto pazienti direi.«È meglio che riposi. Io vado.» ununciai alzandomi dal letto ricordandomi anche che non potevo stare più di dieci minuti e il tempo era già scaduto.
«Aspetta, segnami il tuo numero.» indicò il suo telefono sul comodino così mi affrettai a raggiungerlo e segnai il mio numero sulla rubrica, dopodiché lo riposi sul comodino.
«Ci vediamo.» gli feci un cenno con la mano e poi uscii dalla stanza. Di fretta Michelle mi venne vicino e volle sapere tutto quello che ci eravamo detti. L'avevo notato quanto stava facendo la ficcanaso mentre ero nella stanza, cercava di sentire a tutti i costi quello che ci stavamo dicendo.Uscimmo dall'ospedale stavolta prendendo le scale e mi feci accompagnare a casa da Tony. Salutai tutti e poi scesi dalla macchina. Presi le chiavi di casa dal giubbotto e aprii la porta d'ingresso. Non appena fui entrata posai le chiavi e il telefono sul tavolo in vetro del salotto e mi fiondai sul divano chiudendo gli occhi per un tempo indefinito. C'era un silenzio talmente mortale, quasi assordante.
Dopo qualche ora, credo, salii le scale per andare al piano superiore nel quale, rispetto al piano di sotto, c'era più buio. Andai verso la mia camera, quando vidi che dalla porta accanto, da delle piccole fessure sulla parte inferiore di essa si intravedeva della luce.
Attaccai l'orecchio alla porta per capire se ci fosse qualcuno e sentii dei gemiti.E i gemiti erano di quella puttana di Mini.
Eppure Cameron una volta mi aveva detto che si erano lasciati.
Gli avrei fatto vedere io.
👿👿👿👿
Buona domenica, spero che il capitolo sia di vostro massimo gradimento.💕
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FanfictionCosa accadrebbe se una giovane ragazza proveniente da Manhattan dovesse trasferirsi a Londra, città nella quale dovrà vedersela con il suo più grande incubo dal quale non potrà fuggire? Riuscirà a sopportarlo nonostante la sua arroganza e prepotenza...