Capitolo 11

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Camila's pov

«Non sembrare troppo contenta di vedermi .» fece una strana espressione facciale e aprì i palmi come per assorbire l'ondata di entusiasmo che in realtà non stavo mostrando. «Cavolo perchè avete tutti la solita reazione?» «Ah non lo so! Forse perchè non ti vediamo da 5 anni!» mi lasciai sfuggire. Ero contenta di riverderla, ma ero molto arrabbiata. Con quale coraggio si ripresenta nella casa che tanto odiava? «Un motivo in più per abbracciarmi!» sorrise come si sorride ad un bambino di 5 anni e allargò le braccia nella mia direzione, ma non l'abbracciai come lei si aspettava, rimasi immobile  con le braccia conserte. «O forse no...» riportò le mani lungo i fianchi e le infilò dentro le tasche dei jeans. Sentirla per telefono era un conto, ma rivederla dopo tutto quel tempo aveva aperto una porta chiusa da troppo tempo. Era come se nella mia anima ci fosse una stanza nella quale si era fermato il tempo e adesso l'orologio attaccato alla parete riprendeva a muoversi, ed era strano sentire le lancette muoversi dopo tanto tempo. «Perchè sei qui?» il mio tono rimase distaccato e freddo. Dare confidenza a Lexie era come darsi in pasto ad animali affamati. «Per salutare la mia famiglia.» disse con un sorriso illusorio. C'era qualcosa sotto, lo sapevo perchè la conoscevo troppo bene. «No, intendo dire qui, a Miami.» specificai. Lexie si girò di spalle e si guardò attorno come se stesse cercando una scusa valida. Battè le mani contro le cosce e sbuffò leggermente, poi si voltò nuovamente verso di me e la suola delle sue scarpe produsse un rumore acuto e fastidioso contro il pavimento. «Okay, potrei raccontarvi mille cazzate come ho fatto negli ultimi tempi, ma voi siete la mia famiglia e credo sia arrivato il momento di dirvi la verità.» Lexie si posizionò di profilo, così da poter guardare me e mamma. La donna non sembrava felice della presenza di mia sorella, come dicevo i rapporti fra loro erano molto tesi. «Non sono mai andata in Inghilterra o Germania, non ho viaggiato per il mondo, sono sempre rimasta negli Stati Uniti.» mia madre sorrise sarcastica e si avvicinò al tavolo della cucina, poi strinse con forza lo schienale della sedia di legno e alzò, non troppo sorpresa, lo sguardo su Lexie. «E a che cosa ti servivano i soldi che ti mandato eh? Li usavi per bere? Per drogarti?» i suoi occhi erano diventati aspramente lucidi. Nonostante tutti i dissapori familiari, pur sempre era sua madre e adesso si sentiva colpita nella fiducia dalla propria figlia. «No, cioè si, ma all'inizio. Ho intrapreso brutte strade ed anche è per questo che mi sono allontanata da voi, poi con l'aiuto di un amico sono andata in riabilitazione. I soldi servivano a coprire le spese.» abbassò la testa, i suoi occhi si erano riempiti di vergogna ed era l'ultimo sentimento che avrebbe mostrato a mamma. Io me ne stavo con le braccia conserte e quando guardavo mia sorella pensavo soltanto alle bugie che ci aveva raccontato negli ultimi 5 anni. Avrei capito se avesse mentito ai nostri genitori, ma io avrei potuto aiutarla, le avrei passato dei soldi, sarei andata a trovarla. Perché mi aveva tenuto nascosto un segreto così grande? Non si fidava di me, della sua stessa sorella? Mia madre e Lexie avevano già iniziato a discutere, non potevo ascoltare i loro litigi un minuto di più. Ne avevo abbastanza di discussioni per quel giorno. Corsi in camera mia, ignorai l'assillante voce di Lexie che mi richiamava in cucina. Mi chiusi la porta della camera e mi buttai sul letto. Non cenai, non mi alzai dal materasso per tutta la sera. Non trovavo la forza, tantomeno volevo vedere Lexie in giro per casa. Mi addormentai così come mi ero lasciata cadere e dormii fino alla mattina successiva.

Fu la sveglia a interrompere il mio pensate sonno. Era finito il tempo per rifugiarsi o nascondersi, adesso dovevo affrontare la realtà. E la realtà faceva schifo. Aprii lentamente la porta e mi assicurai che né mia madre né Lexie fossero nei paraggi, quando udii in silenzio, mi avviai verso il bagno in punta dei piedi e mi chiusi dentro. Prima di tutto mi feci una doccia calda, poi mi pettinai i capelli arruffati, mia lavai i denti e mi vestii, le ordinarie faccende mattutine. Sgattaiolai velocemente in camera mia per prendere lo zaino ed uscii di casa prima del solito. La scuola iniziava alle 8, erano appena le 6 e già camminavo verso le catastrofiche aule della Miami High School.
La mattina il quartiere dormiva sogni tranquilli, nessuno si era ancora svegliato, eppure pensavo che l'arrivo di Lexie avesse lasciato tutti a bocca aperta. Pensavo che il vicinato fosse rimasto tutto la notte davanti alla finestra, con la luce accesa e il naso schiacciato contro il vetro ad assistere l'evolversi della situazione. Invece no, a nessuno di loro importava. Il suo arrivo aveva scombussolato solo me.
Intanto arrivai nel cortile della scuola. Non c'era ancora nessuno e faceva uno strano effetto vedere il giardino, abitualmente affollato, essere vuoto. Mi incamminai verso l'entrata principale, preferivo restare al tepore che al freddo. Mi diressi verso la mia classe a passo svelto, le parole di Lexie continuavano a ripetersi nella mia mente. Tutto ciò che mia sorella aveva dichiarato di essere, era una bugia, una sciocca, fallace e puerile bugia.
Ero completamente immersa nei miei pensieri, non mi ricordavo nemmeno di essere nei corridoi scolastici, ma non impiegai molto a riportarlo a mente perché una mano afferrò con forza il mio polso, mi strattonò verso di lei e in pochi secondi mi trovai faccia a faccia con Lauren. Quasi mi ero dimenticata di lei e della nostra litigata, ma adesso che era così vicina ricordavo tutto a perfezione e non sapevo se schiaffeggiarla o baciarla. Lauren mi fece segno di restare in silenzi e mi trascinò verso il bagno. Restammo da sole, faccia a faccia, corpo su corpo, anima contro anima. «Stamani mi sono svegliata con una voglia matta di prenderti.» disse autoritaria e mi spinse con forza contro il muro bianco alle mie spalle. Per un momento pensai che potessi macchiare quella superficie, sporcarla di un colore intenso che ricordava il desiderio e di un altro più spento, ma comunque caldo e visibile, che ricordava la rabbia. «No Lauren, porca miseria no!» la staccai vigorosamente dal mio corpo, sul quale si era già avventata senza freni. Mi guardò confusa, forse offesa. Mi portai le mani sulla faccia e premetti i palmi contro la fronte, poi negai i ginocchi e appoggiai il peso del corpo sulle mie gambe. «Oh andiamo, ti comporti da bambina per ciò che è successo ieri?» sbuffò annoiata, stava quasi per andarsene, quando mi alzai e urlai un "no" secco. Il suo sguardo ritornò interrogatorio dentro al mio e per un istante sentii di poterle dire tutto, di confidarle i miei segreti più bui, sentivo che il mio sangue sarebbe stato il suo, il suo respiro il mio. Stavo per raccontarle tutto, ma lei non aveva risposto ad una semplice domanda, perché avrei dovuto svelarle qualcosa di così profondamente personale? «Fanculo.» sussurrai fra me e me. Schiacciai via le lacrime che pungevano sui miei occhi e avanzai verso di lei con una sicurezza incredibile. La spinsi contro la parete con forza, Lauren aprì la bocca per gemere, ma soffocai quel gemito con un bacio passionale. Toccai ogni forma del suo corpo, la sfiorai lì dove non mi era stato permesso di arrivare. Lauren tentò di invertire le nostre posizioni, come sempre voleva comandare lei, ma la mia foga era tale che glielo impedii e la schiacciai ancora di più verso il muro e contro il mio corpo . «Non...non ti ho dato il permesso di farlo.» balbettò al limite della sopportazione. Era frustrata perché il suo corpo desiderava quel contatto, ma la sua testa glielo impediva categoricamente. «E allora?» ghignai. Avevo ritrovato la sfacciataggine che in presenza di Lauren avevo sempre seppellito. La guardai negli occhi, lei non rispose. Mi avvicinai contro le sue labbra, le morsi, le leccai e scesi lungo il suo collo, lo leccai con la punta della lingua e lasciai un bacio sull'incavo. La sua pelle rabbrividì sotto la mia bocca e mi fu impossibile non sfiorare con le mie labbra quei brividi formatosi lungo tutto il suo corpo. «Te ne pentirai Camila.» strinse i denti, la sua voce uscì in un legger sospiro che feci fatica a sentire.  «Non vedo l'ora.» sorrisi maliziosa e immersi le mani dentro ai suoi capelli, strinsi con forza la nuca e la baciai frettolosamente su tutto il corpo. Più scendevo, più lei si contorceva sotto di me. Usai la sua stessa perfida tecnica: spinsi un ginocchio sulla sua intimità e lasciai che il suo gemito strozzato entrasse diritto dentro le mie orecchie e riscaldasse ogni parte di me.
Sorrisi compiaciuta.
Adesso avevo io il controllo.

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