Capitolo 39

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Camila's pov

Mi stringeva fra le sue braccia, il suo profumo risvegliava i miei sensi, la sua bocca era poggiata contro i miei capelli, lasciava un bacio caldo in grado di sciogliere il freddo che avevo dentro. Il telefono squillò interrompendo il nostro abbraccio. Lauren, non poco annoiata, si staccò da me e andò a rispondere. «Pronto? si...certo, va bene...ho capito Marlene, ora ti devo lasciare. Ciao.» sbuffai sconcertata, sollevai lo zaino sulla spalla e mi girai di spalle pronta a lasciare la stanza, quando sentii i suoi passi seguire i miei ed afferrarmi per il braccio prima che potessi andarmene. «Aspetta Camila.» mi divincolai con forza dalla sua presa, i capelli ricaddero scompigliatamente sul viso, il castano delle ciocche mise in risalto il rosso delle mie guance. La mano di Lauren si alzò leggiadramente verso il mio viso, desideravo con tutta me stessa ricevere qualche carezza, il mio corpo era scosso da brividi già dapprima che la sua mano mi toccasse c'era qualcos'altro che mi scuoteva maggiormente, un tumulto che si era risvegliato sentendo il nome di sua moglie. Le bloccai il braccio prima che mi accarezzasse, strinsi il suo polso in una stretta ferrea. «Non è cambiato niente. Tua moglie fa sempre parte della tua vita e io invece no.» pronunciai a bassa voce, quasi un respiro d'affanno. Lauren abbassò gli occhi con aria colpevole. C'era qualcosa che non mi diceva, mi teneva all'oscuro, ma perché? Ritrasse indietro il braccio, strappandolo dalla mia presa e lo nascose dietro la schiena. «Non è vero che non fai parte della mia vita, ma anche lei è inclusa.» scossi la testa con un mezzo sorriso sulle labbra e mi allontanai di un passo, attribuendo più spazio fra i nostri corpi. «Perché? Mi hai detto che lei ti ha fatto soffrire! Tu non le devi niente.» Lauren si voltò di spalle velocemente e si prese la testa fra le mani. Il suono dei suoi passi risuonò nella stanza. Ogni passo era un battito in meno al mio cuore. «Camila tu non puoi capire.» «Allora spiegami! Spiegami maledizione.» diedi un pugno sulla scrivania, il legno vibrò sotto la mia mano, come il terreno scosso da un improvviso terremoto. Lauren mi guardò turbata, ma sembrava più spaventata dai suoi pensieri che dalla mia rabbia. «Non posso lasciarla. Non posso e basta.» spiegò con estrema freddezza. Avanzai verso di lei velocemente, dapprima restò ferma, come se desiderasse sentire il mio tocco contro di lei, ma quando fummo abbastanza vicine si scansò di un passo, lasciandomi a vagare con la mente, a domandarmi perché evitava un contatto.  «Ti sta ricattando? E' per questo che non puoi lasciarla? Se è questo il punto non preoccuparti, ci penso io a lei.» L'ultima frase la dissi ringhiando e stringendo il pugno a mezz'aria. Lo sguardo di Lauren cadde sul mio gesto, un'ombra attraversò il suo volto improvvisamente, come se non mi riconoscesse, se quella rabbia non facesse parte di me. «Non mi sta ricattando.» alzò gli occhi al cielo e si portò una mano sulla fronte a coprire lo sguardo incerto.  «Allora perché? Cosa c'è?» domandai  con enfasi. Non riuscivo più a giocare a quel tremendo gioco. Dovevo sapere cosa stava succedendo. «Lei non è mia moglie Camila, chiaro?!» la sua voce uscì rabbiosa, ma sfinita. Deglutii e successivamente scossi la testa confusa. Marlene mi aveva chiaramente detto di essere sua moglie, allora che cazzo stava succedendo? «Ma che vuol dire? Io pensavo che...» continuavo a scuotere la testa, quando Lauren mi congedò con una frase veloce, dicendo che aveva da fare e non aveva nessuna voglia di spiegami. Stava per lasciare la stanza, ma non glielo permisi. Avvolsi la mano attorno al suo polso e la strattonai all'indietro, portandola ad un palmo dal mio viso. In quel momento volevo solo sapere cosa diavolo stava succedendo, ma quando le sue labbra furono così vicine alle mie non riuscii più a capire niente e unii le nostre labbra in un bacio. Le sue mani corsero velocemente lungo la mia nuca, strinsero i capelli fra le dita e mi attirò più vicina a se, facendo scontrare i nostri corpi roventi, come due metalli che si toccano e fanno subito scintille. Strinsi le mani sulle sue spalle e le feci scorrere velocemente sulla sua schiena a palmo aperto, accarezzando la sua intera figura. Le nostre lingue si intrecciarono in un movimento rotatorio frenetico. Indietreggiai velocemente mantenendo il suo corpo contro il mio e mi appoggiai alla scrivania, allargando le gambe, Lauren si incastrò nello spazio che avevo creato, legai i piedi alla sua schiena e portai le mani sulle sue guance, spingendola maggiormente verso di me. Stava succedendo tutto così in fretta, nessuna delle due pensava alle conseguenze, tanto era il desiderio da non poterlo spegnere.  Le sfilai la spallina del vestito, lasciando scoperta la sua spalla sino al crescere del suo seno. Appoggiai le labbra sulla sua pelle e lasciai una scia di baci, scendendo giù fino al petto, a baciare il suo seno. I suoi gemiti accendevano in me un fuoco indomabile, più grande era il suo piacere, più il mio corpo si eccitava. «Aspetta, aspetta Camila aspetta.» improvvisamente si staccò da me e si allontanò spingendomi via. Si ritirò su la spallina e si voltò di spalle, prendendosi la testa fra le mani. Lentamente regolarizzò il suo respiro e si girò verso di me solo qualche secondo dopo, con la faccia ancora rossa, le labbra gonfie e l'umido delle mie labbra sulle sue spalle. «Non posso.» disse piano con una tristezza amara che mi fece male. Serrai la mascella e girai la testa verso la porta, non riuscivo a sostenere il suo sguardo rattristato, quando sapevo benissimo che lei poteva fare una scelta, che nessuno l'obbligava a restare con quella donna e che se avrebbe voluto avrebbe potuto scegliere me. «Tu mi uccidi Lauren.» la guardai per un millesimo di secondo. «Mi uccidi.» e riabbassai lo sguardo sulle mie scarpe. Mi alzai dal tavolo per lasciare la stanza, quando la sua voce raggiunse le mie orecchie e la frase che mi disse mi face rabbrividire: «Non sei la prima persona che uccido.» mi immobilizzai sul posto, respirai profondamente e lentamente mi voltai verso di lei. Non riuscii a proferire parola, aspettai che fosse lei a parlare. «Marlene non è mia moglie. E' la sorella della mia ex moglie. Mentre ero sposata sono andata a letto con Marlene e sua sorella l'ha scoperto. 3 giorni dopo si è tolta la vita. Né io né lei ce lo siamo mai perdonate, ma in qualche modo sono andata avanti, mentre Marlene è finita in brutto giro, che comprendere droga, alcool, insomma io non posso lasciarla sola, non posso perché quello che sta succedendo a lei è colpa mia, esattamente come quello che è successo ad Elizabeth. E' solo colpa mia.»

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