Capitolo 41

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Camila's pov

Passate le feste mi resta solo un pezzo di carta che tenevo ben nascosto nel comodino vicino al letto. Durante  tutti quei giorni mi ero domandata se fosse il caso di accondiscendere a patti con Lauren. Dovevo partire? Sarebbe bastato l'oceano a dividerci? E tutti quei chilometri erano abbastanza per dimenticare? Emily era diventata sempre più insistente. Ogni giorno entrava con una scusa del discorso e mi ripeteva che mancavano pochi mesi, che se avessi voluto seguirla non mi restava molto tempo per decidere. Quella sera stava facendo lo stesso discorso: «Ricordati che fra qualche mese io volerò via e che se vuoi seguirmi devi sbrigarti a prendere una decisione.» le davo le spalle, china sulla scrivania e annuivo senza nemmeno ascoltare, perchè ormai conoscevo a memoria le sue parole. «Andiamo Camila. Pensa a come sarebbe bello: io e te  a Londra.» non udii i suoi passi, ma ben presto sentii le sue mani scivolare attorno alle mie spalle, il suo respiro sfiorare il mio collo e vidi la sua mano che disegnava nell'aria lo scenario. Tracciava le linee delle case con le dita, illuminava il cielo con il palmo della mano e imitava l'increspatura del mare col dorso. La mia immaginazione viaggiava lontano, seguiva quell'andatura lenta e si, immaginavo Londra, il mare, il sole e la pioggia, ma non con lei. Provai un senso di repulsione verso me stessa e accantonai quel bruto sentimento alzandomi dalla sedia e scappando al suo tocco. Emily sospirò pesantemente e poi venne di nuovo verso di me, le sue braccia si strinsero attorno alla mia figura, intrecciò le mani sopra la mia pancia e mi strinse forte. Restai immobile. «Hai ragione, scusami. Devo smetterla di parlare sempre di Londra, ma sono così emozionata per questo viaggio e pensare che tu potresti restare qua annulla la mia felicità.»  le mani salirono lungo i miei fianchi fino alle spalle, mi voltò verso di lei lentamente ed io, come un pezzo di legno, le lasciai fare. «Parliamo d'altro, che ne dici?» proprio in quel momento il campanello suonò, servendomi su un piatto d'argento una scusa plausibile per uscire da quella situazione scomoda. Scesi al piano di sotto di corsa, mi allontanai in fretta, come se potessi ancora sentire le sua mani, come se il suo respiro potesse raggiungermi e irritarmi. Aprii la port senza pensare. Davanti a me trovai Anne, fui abbastanza sorpresa di vederla lì, sul portico di casa mia, ma mi mostrai comunque gentile e l'accolsi in casa con un gesto della mano. Ogni volta che vedevo quella donna speravo che fosse venuta a trovarmi per consegnarmi un altro bigliettino da parte di Lauren, ma non era mai così. Non importava parlare. Io la guardavo, alzavo le ciglia speranzosa e lei scuoteva la testa in un moto rattristito, poi i miei occhi tornavano a spegnersi e lei continuava la conversazione nella quale era spesso impegnata. «Che ci fai tu qui?» le domandai spontaneamente, non rendendomi conto di essere stata un po' rude. Mi scusai subito e riformulai la domanda: «Voglio dire, è successo qualcosa?» Anne si tolse il pesante giubbotto blu e lo appese all'appendiabiti, poi si girò verso di me e di nuovo scosse la testa spegnendo una ad una le mie speranze, come un soffio spegne le candele. «Sono passata per chiederti una cosa.» si mise a sedere sul divano, io la imitai accomodandomi sulla poltrona. Anne aveva accavallato le gambe, appoggiando le mani sopra le ginocchia e si era leccata più volte le labbra, come se stesse tentennando, come se si stesso chiedendo: "sto facendo la cosa giusta?" «Lo so che non siamo in ottimi rapporti, o meglio, non abbiamo un vero e proprio rapporto, ma tu sei la figlia del mio quasi marito e sarei onorata se venissi al mio addio al celibato, domani sera.» la sua proposta mi spiazzò onestamente. Ero d'accordo sulla prima parte del discorso, ma partecipare ad una festa per quarantenni dove la cosa più coraggiosa che fanno è mangiare un pezzo di torta al cioccolato? «Ah, io? Si certo.» cosa potevo dirlo?! "SCUSAMI ANNE NON HO VOGLIA DI PARTECIPARE AD UNA FESTA CON DELLE PERSONE CHE HANNO VENTI ANNI PIU' DI ME." Anne si mostrò abbastanza sorpresa, come se si aspettasse una conversazione più lunga, più ardua, invece era stato facile. «Okay allora.» sorrise eccitata e si alzò dal divano aprendo le braccia, facendomi capire che voleva un abbraccio. Le rivolsi un sorriso tirato e mi avvicinai a lei, stringendola debolmente e battendole la mano sulla spalla. Un abbraccio imbarazzante, forse anche un po' scomodo. «Ti aspetto domani sera alle otto a casa mia.» andò a riprendere il cappotto e passò un braccio nella manica, poi l'altro e chiuse la zip. Stava per uscire, quando qualcosa la trattenne e si girò verso di me con un'espressione indefinita sul volto. «Ah Camila, l'invito è solo per uno.» ed uscì. Okay, mi aveva fatto chiaramente capire che no voleva Emily. Beh la capivo! Non aveva un rapporto con me, figuriamoci con Emily, non c'entrava niente con quella serata. Tornai in camera. Trovai la ragazza addormentata sul letto, feci un passo verso di lei nell'intenzione di sdraiarmi e dormire, ma sentii una fitta allo stomaco nel vederla lì, distesa sul mio letto. Tornai sui miei passi ed uscii dalla stanza, andando a coricarmi sul divano.

La sera dopo mi preparai con le poche forza che avevo. Dormire sul divano mi aveva lasciato un forte mal di schiena, ma non serviva a niente essere in ottima forma per restare tutta la sera seduti a tavola, perciò non me ne preoccupai. Indossai l'abito migliore che avevo: un vestito rosso attillato, più corto da una parte e più lungo dall'altra, con un scollatura allucinante che metteva in risalto il mio seno. Arricciai i capelli, tirandone su alcune ciocche e le altre le lasciai ricadere sulle spalle.  «Sei bellissima stasera.» Emily mi diede un bacio sulla guancia osservandomi dallo specchio e poi fece due passi indietro per guardarmi meglio. Mi voltai verso di lei, strinsi fra le mani la pochette e le dissi di non aspettarmi alzata. Le avrei raccontato tutti i dettagli noiosissimi l'indomani. Presi un taxi per arrivare a casa di Anne. Alle 20:05 suonai il campanello. La risposta fu abbastanza svelta, presi l'ascensore e salii al terzo piano. La porta in fondo al corridoio era socchiusa, mi avvicinai facendo attenzione a non cadere. Prima che aprissi l'anta, Anne sbucò mostrandomi il suo abito nero scollato e trasparente, poi con aria  materna mi baciò le guance e mise le mani sulle mie spalle. «Sei favolosa Anne.» mi permisi di dire e lei ricambiò il complimento. «Sono felice che tu sia venuta, ma prima di entrare devo chiederti scusa.» aggrottai la fronte confusa, a quel punto Anne aprì maggiormente la porta e mi disse: «Scusa per questo.» alle sue spalle un gruppo di donne stava bevendo del vino, e fra loro ce n'era una con un vestito bianco da capogiro. Non impiegai nemmeno due secondi per riconoscere il volto di Lauren. 

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