Capitolo 38

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Nobody's pov

Quindici anni prima.
«Lexie aspettami!» «Sei lenta! Muoviti!» Camila correva scalza sul prato, un sorriso illuminava il suo volto fanciullesco, le mani strette in due pugni per contenere l'eccitazione e un abitino rosa scendeva largamente sul suo corpo. La sorella la precedeva di qualche metro, non aveva nessuna intenzione di fermarsi, desiderava con tutta se stessa mostrare l'opera della sorella. Camila accelerò il passo, l'erba le accarezzava i piedi, poteva sentire delle piccole gocce d'acqua inumidirle la pianta. Avevano aspettato tutto il pomeriggio che smettesse di piovere e quando finalmente i loro desideri erano stati avverati, non avevano atteso un istante per uscire fuori e correre felici nel giardino. La sorella più grande si era fermata ai piedi dell'albero, la testa rivolta in su ad ammirare quello che per lei era lo spettacolo più bello. Un immenso sorriso si era dipinto sul suo volto e una luce abbagliante si era impossessata dei suoi bellissimi occhi. «Guarda Camila, non è bellissima?» aveva impiegato tutta l'estate per costruire quella casa sull'albero. Anche suo padre l'aveva aiutata e adesso che era finita Lexie passava tutte le sue giornate appollaiata la sopra ad immaginarsi storie eroiche, principesse da salvare, draghi da combattere, navi da abbordare e tesori da scoprire e adesso apriva le porte di quell'immensa fantasia alla sorella.  Salirono velocemente superando con facilità la scala di legno appoggiata contro il tronco. Non era tanto in alto la casetta, eppur a Camila sembrò poter vedere l'intero mondo da lassù e anche oltre. Il cielo le approva sotto occhi diversi e condivideva quell'enorme sentimento con la sorella, la quale provava la stessa eccitazione.  Lexie appoggiò le braccia sopra la staccionata di legno e fece segno alla piccola di avvicinarsi, quando Camila fu abbastanza vicina avvolse il braccio attorno alle sue esili spalle e con la mano le mostrò la città che aveva immaginato per tutto quel tempo. «Io sono la regina di questo posto, ma se vuoi possiamo avere entrambe il trono.» disse con soddisfazione e la sorella ovviamente annuii, non doveva neanche pensarci. Era così felice di essere lassù. Non le interessava molto vedere la casetta, ma essere inviata da Lexie, la quale aveva sempre guardato con occhi d'ammirazione. «Le sorelle Cabello dominano il mondo.» Lexie la strinse con più forza a se. In fondo anche lei era contenta che la sorella fosse salita lassù con lei. Durante l'estate non le aveva mai permesso di andare a controllare, ma solo perché desiderava che quel momento fosse speciale, voleva impressionare la sorella e imprimere nella memoria quel momento, e c'era riuscita.

Adesso.
Camila's pov

Ecco come ricordavo mia sorella. Quel momento descriveva perfettamente il nostro rapporto: travagliato, ma perfetto a suo modo. Non erano passate nemmeno due settimane dalla sua scomparsa, eppure ogni giorno sentivo la sua mancanza, ogni giorno lei moriva di nuovo, ed io con lei. I funerali erano stati lunghi e noiosi, non le avevano reso giustizia e poche persone si erano presentate in chiesa, ma credo che lei preferisse così, non le erano mai piaciuti gli addii. Mia madre si era rintanata nella sua fortezza. Puliva tutto il giorno, mangiava il minimo indispensabile e non rivolgeva la parola a nessuno, però cantava: tutto il giorno canticchiava le note di una leggera canzone a me irriconoscibile e oscillava il capo da una parte all'altra così lentamente che per un attimo credetti si fosse trasformata in una bambola mossa da fili. Ma chi, o meglio cosa, la comandava? La disperazione, o forse lo shock? Cosa?  Io mi ero difesa a mio modo. Non uscivo più di casa, nemmeno per andare a scuola. Mia madre non si rendeva conto di quello che succedeva attorno a lei e mio padre veniva poche volte a farci visita, mi incoraggiava a riprendere la mia routine, ma restavo inerme sul letto e anche lui diventava impotente davanti alla mia arrendevolezza. Val era passata spesso a salutarmi. Mi portava dolci, che di solito mangiava lei, i compiti, che non svolgevo, e le notizie. A quanto Lauren era venuta a sapere della scomparsa di mia sorella, non solo aveva letto l'articolo sul giornale, ma anche i miei compagni avevano giustificato la mia assenza spiegandole il recente lutto. Eppure non faceva niente. Nessun messaggio, nessuna chiamata, nessuna visita. Un po' la capivo, insomma cosa c'era da dire, cosa c'era da fare?

Sei anni prima.
Nobody's pov

«Lexie ti prego, non andare!» Camila scese di corsa le scale, la mano scivolava lungo il corrimano velocemente, i piedi si muovevano così in fretta che i movimenti non sembravano essere pensati. «Lexie  aspetta! Si sistemerà tutto. Ci parlo io con papà.» saltò l'ultimo gradino, i suoi piedi toccarono il tappeto morbido sotto di lei e la mano si allungò verso il braccio della sorella, stringendolo. «Camila lasciami!» si divincolò dalla presa e mise davanti ai suoi piedi la valigia, poi con una veloce scrollata della spalla fece risalire lo zaino beige caduto sull'avambraccio. «Non puoi sistemare questo casino! Questa non è mai stata la mia famiglia e io non resterò un minuto di più in questa casa.» le parole della sorella colpirono la minore come un treno in corsa. Lexie notò subito la sconforto negli occhi di Camila e si apprestò ad afferrarle le mani. «Questo non significa che tu non sia la mia famiglia.» la ragazza alzò lentamente gli occhi ritrovando un po' di speranza e incontrò lo sguardo supplichevole di Lexie. «Io e te saremo per sempre sorelle.» improvvisamente la scelta di andarsene le fu chiara e accettò il fatto di lasciarla andare. La sorella le baciò la fronte, premendo le labbra a lungo sulla pelle di Camila. Le loro mani erano ancora unite l'una nell'altra, Lexie attese un segno da parte della minore e quando essa annuii con un debole sorriso, la ragazza se ne andò.

Adesso.
Camila's pov

Avevo deciso di tornare a scuola. Erano passate 3 settimane e non potevo prolungare maggiormente quell'agonia. Chissà magari avrei trovato conforto tra i banchi scolastici, anche se la mia idea era un'altra: volevo vedere Lauren. Volevo vederla vicina, stringerla e la sua voce avrebbe calmato i miei pensieri, messo fine alla mia sofferenza. Solo lei poteva diluire il mio dolore, ed ero pronta ad accettarlo. Mi vestii in fretta quella mattina, non feci caso ai vestiti che scelsi, mi pettinai e nascosi le occhiaie sotto un abbondante strato di fondotinta. Uscii di casa un'ora prima. Non volevo incontrare mia madre quella mattina, l'alone nero che si portava addosso avrebbe influenzato anche me e forse mi avrebbe convinta a tornare a letto, a lasciar perdere qualsiasi tentativo di salvarmi e non potevo permetterlo. Arrivai a scuola esattamente alle 7:30. Era una desolazione, ma speravo di incontrare Lauren. Entrai nell'edificio a passo svelto, mi diressi subito alla mensa dove era solita fare colazione: non c'era. Controllai in classe: non c'era. Passai direttamente davanti alla stanza dei professori e la riconobbi subito. Era seduta al tavolo con i compiti davanti, stava piegata sulla scrivania con la penna in mano e correggeva le verifiche. Guardandola, per un istante, un solo istante, dimenticai tutto il dolore accumulato in quelle settimane e la mia vita sembrò prendere un senso, fin quando non alzò lo sguardo e i nostri occhi si incontrarono, allora ricominciai a sentire un peso sul petto e respirai profondamente. «Camila, come stai?» si alzò di scatto dalla sedia lasciando il lavoro alle spalle e venne verso di me. Abbassai lo sguardo sulle mie scarpe, mossi le punte dei piedi, poi alzai le spalle e scossi la testa. «Io, ecco, mi dispiace. Vuoi parlarne?» sentii la sua mano avvolgere la mia spalla, sussultai. Alzai la testa su di lei. Non sapevo bene cosa dire, come cominciare, così dissi tutto quello che volevo comunicare attirandola a me. Immersi il capo nel suo petto, avvolsi le braccia attorno alla sua schiena, lei mi abbracciò ancora più forte, mettendo una mano sulla mia nuca e l'altra attorno al collo. Spinsi la testa ancora più in giù nel suo petto, se avessi potuto fondermi con lei l'avrei fatto, la volevo sentire vicina, ma non era mia abbastanza. Alzai lo sguardo su di lei appoggiando il mento sul punto nel quale avevo cullato la testa. Mi stampò un bacio sulla fronte, il suo sguardo era inspiegabilmente comprensivo, non compassionevole. Scostò i capelli dal mio volto portandoli dietro l'orecchio e mentre lei mi spingeva nuovamente contro il suo petto, le mie mani si aggrappavano ancora con più forza a lei. Desideravo tornare a star bene e lei era l'unica medicina.

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