Capitolo 4

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Camila's pov

Mi svegliai presto quella mattina, anzi credo che quella notte non chiusi occhi. L'avvenimento del giorno prima mi aveva scosso, ripensando a ciò che era successo mi spaventai. Io non volevo che succedesse, era stato un trasporto irrefrenabile, qualcosa che non riuscii a frenare, ma mi ero imposta di non cascarci più. Forse era stata una vera e propria punizione e non sarebbe successo mai più, ma se si fosse avvicinata ancora l'avrei allontanata, minacciandola di denunciarla.
Mi alzai faticosamente dal letto e mi trascinai fino al bagno, dove feci una doccia calda e veloce, mi pettinai, lavai i denti e mi vestii, dopodiché scesi in cucina e mangiai un frutto accompagnato da una tazza di caffè. Mia mamma era già uscita, per lei oggi iniziava il nuovo lavoro e sapevo quanto fosse emozionata. Ci eravamo trasferite proprio per quello. Mia mamma era una sceneggiatrice di successo. Si muoveva di città in città ed io ovviamente la seguivo ovunque, non solo perché non avevo altro posto dove andare, ma anche perché non ero pronta per vivere nella completa indipendenza. Era comodo tornare a casa e trovare la cena pronta, il letto rifatto, i vestiti piegati.
Uscii di casa mezz'ora prima e percorsi il tragitto da casa-scuola a piedi. Sentivo il bisogno di stare a contatto con l'aria aperta, di camminare con le mie gambe e lasciare che la mia mente si ripulisca di tutta la sporcizia accumulata durante la notte, prima di entrare in classe e affrontare la ninfomane! L'avevo soprannominata così. Le si addiceva perfettamente.
«Ehi Camila!» Val alzò la mano e la sventolò in aria per attirare la mia attenzione. Ero entrata nella piccola mensa con il libro di scienze aperto contro il mio petto. Mi sedetti di fronte a lei, lanciai un'occhiata veloce alla pagina scarabocchiata, sembrava molto incasinata. «Non ci riesco Mila! Questa roba è impossibile.» si lamentò sbattendo la matita sul tavolo. Mi sporsi verso di lei e osservai velocemente gli esercizi. Presi la matita e li risolsi facilmente, erano gli argomenti che avevo capito meglio. «Ma come hai fatto?» domanda allibita e contenta allo stesso tempo. Scrollai le spalle, nemmeno io ero sicura di come mi fosse entrato in testa, sapevo applicarlo, questo era tutto.
Sentii uno strano formicolio alle spalle che lentamente si diffondeva in tutto il mio corpo: Braccia; petto; gambe; persino alle punte dei piedi. Mi guardai attorno frettolosamente, non volevo destare sospetti, ma sentivo che qualcuno mi stava osservando incessantemente. Al tavolo davanti a noi sera seduta Lauren, stava gustando un panino alla marmellata. Con la lingua leccava i bordi del panino dove la marmellata era abbondante. I suoi occhi mi scrutavano maliziosamente, deglutii agghiacciata da quello sguardo e lei sorrise beffarda. Pensavo che mi sarei sciolta sulla sedia, se non avessi distolto la vista. «Ci vediamo in classe.» MI alzai di scatto e voltai le spalle, camminando verso i corridoio che portavano alla mia classe. Dannazione quello donna non ci provava nemmeno, era sensuale e provocatoria di natura. Come facevo a starle lontano? Trovai un modo poco efficiente, ma valido. Ogni volta che sentivo delle strane vibrazioni create da un contatto fisico o visivo con lei , mi sarei data dei pizzicotti sul braccio. Poteva funzionare, no?
Mi sedetti a testa bassa al mio banco, aprii il libro davanti agli occhi e feci finta di ripassare. Le prime tre ore avevo italiano, matematica e filosofia. Durante quel tempo pensai a casa sarebbe successo quando la Jauregui sarebbe entrata in classe
Era l'ultima ora quando la donna camminò a passo teso verso la sua cattedra, zittendo ad ogni passo gli studenti. «Spero per voi che abbiate fatto i compiti, perché oggi interrogo.» si guardarono tutti negli occhi, ma nessuno proferì parola. Molti ragazzi approfittarono del poco tempo per copiare gli esercizi, altri ripassavano senza sosta. «Voglio sentire Holmes e Cabello.» ovviamente. A quanto la punizione era solo l'inizio di altre severe conseguenze. Val mi augurò buona fortuna, mentre mi alzavo a testa alta dalla sedia e camminavo senza preoccupazioni verso la cattedra. Avevo svolto tutti gli esercizi, non c'era niente di cui dovessi preoccuparmi. A parte il fatto che la mia professoressa mi aveva quasi scopata. Al pensiero arrossii e lo notò lasciandosi andare ad un sorriso sotto i baffi che colsi facilmente. Una ragazza mi seguì alla lavagna. Era bassina, con i capelli castani e grandi occhi dello stesso colore, però devo ammettere che non era niente male, mi cadde l'occhio sul suo didietro, un dettaglio che non sfuggì allo sguardo attento della professoressa e il suo sorriso divertito si tramutò in maligno. «Mostratemi gli esercizi.» ordinò. Ponemmo i nostri libri ai suoi occhi e lei evidentemente notò qualcosa di sbagliato perché spedì Holmes alla lavagna e le fece fare una brutta figuraccia, deridendola infine. «Cabello aiuta la tua compagna.» mise nel palmo della mia mano un gessetto e poi si appoggiò contro la cattedra, incrociando le braccia al petto a mo' di capo. L'esercizio non era difficile, aveva sbagliato solo a scrivere un numero e un segno, correggerla fu un gioco da ragazzi. «Bene Cabello. A quanto pare la punizione di ieri ti è servita.» rise sarcastica. Mi voltai verso di lei, come se gli alunni in classe potessero capire cosa era successo fra di noi tramite le sue semplice parole, poi mi ricordai che eravamo sole in quell'aula e nessuno aveva visto niente, perciò nessuno sapeva. Abbassai lo sguardo e annuii da brava, non volevo farla arrabbiare di nuovo. «Potete andare a posto. Holmes non sei sufficiente mi dispiace...anzi no, non sono affatto dispiaciuta. Studia di più ignorante!» la sgridò chiudendo con forza il suo libro e riconsegnandoglielo, non sopportava più la vista di quell'essere poco istruito. La guardai con compassione e la ragazza mi rispose con una scrollata di spalle e un debole sorriso, prima di sedersi al suo banco. «Cabello sette. Ora puoi toglierti di mezzo.» Mi scacciò via con un gesto della mano e riprese a spiegare un nuovo argomento. Mentre tornavo al mio banco Holmes mi lanciò un'occhiata maliziosa e mi passò di nascosto un bigliettino. Feci attenzione a prenderlo e poi mi risedetti accanto a Val. Aprii il foglietto bianco e spiegazzato:

Complimenti! A me non è andata bene come a te, ma è già tanto se sono tornata viva a posto.

Sorrisi discretamente e infilai il bigliettino nella tasca posteriore dei jeans. La campanella suonò. Si alzarono tutti in fretta e lasciarono la classe, anche Val schizzò via per prendere il bus. «Ehi..» alzai lo sguardo sul mio interlocutore. La ragazza che aveva fatto l'interrogazione con me stava in piedi di fronte al banco e sorrideva allegra. «Ciao..» non potevo di certo chiamarla Holmes, non conoscevo il suo nome. Mi fece notare che si chiamava Emily. Parlammo del più e del meno, mi voltavo spesso perché la professoressa non era ancora uscita e anche se pretendeva di scrivere qualcosa sul registro, era sicura che stesse ascoltando scrupolosamente. «Senti Camila ti andrebbe di prenderci un gelato un giorno di questi?» si dondolava da un piede all'altro, era molto nervosa le si leggeva in faccia. Il mio gay-radar stava suonando come un allarme incessante. Era sicuramente interessata a me. Sorrisi lusingata. «Perché no» risposi e le lasciai il mio numero, dopodiché la ragazza corse fuori imbarazzata e la seguii a passo spedito, ma quando arrivai davanti alla porta la via mi fu sbarrata dalla Jauregui. «Dove credi di andare?» chiese accigliata e maliziosa allo stesso tempo. Si passò la lingua sulle labbra facendole risplendere di un rosso acceso. «Camila, Camila. Devi imparare ancora molto.» mi afferrò per le spalle e mi spinse conto la porta con violenza. Quello era il momento giusto per pizzicarmi il braccio, se il suo ginocchio non avesse fatto pressione conto la mia intimità e le sue labbra non si fossero avventate morbosamente contro le mie.

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