Capitolo 45

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Camila's pov

Avevo dormito a malapena. Quando la sveglia suonò ero già scesa al piano inferiore a consolare mia madre, che non voleva togliersi la vestaglia e vestirsi per il matrimonio. «Mamma.» la pregai prendendo le sue mani fra le mie, un forte odore di caffè arrivava al mio olfatto. «Per favore vestiti. Papà ci tiene che tu sia lì.» mia madre continuava scuotere la testa, non si capiva se stava cacciando via l'idea di venire al matrimonio, o se tentava di convincersi del contrario. «Non ce la faccio Camila.» le sue mani strinsero con più forza le mie e la sua voce supplichevole vibrò costante nelle mie orecchie..«Lo so che io e tuo padre non potremo mai più stare insieme, noi non siamo fatti l'uno per  l'altro, ma io lo amo e lo amerò sempre, sempre.» si asciugó una lacrima che scendeva solitaria lungo il suo volto disegnando sulla sua pelle  la tristezza che tratteneva dentro e che ora faticava a reprimere. Le sue parole bloccarono il mio respiro. Ciò che aveva detto mi ricordava Lauren e mi sentii costretta ad abbassare lo sguardo, incapace di poter dire altro. Mantenni le mani salde nelle sue e le rivolsi un debole sorriso e poco convincente. In quel momento entrò Emily nella stanza, trovandoci così immaginò quello che stava succedendo e si sedette davanti a noi, poi rivolgendosi verso mia madre disse: «Lei é una donna forte. Sono sicura che può farcela. Se lo ama davvero tanto come sostiene, lo faccia.» le sue parole ispirarono mia madre in maniera particolare, forse perché era convinta di dover dimostrare qualcosa a se stessa, chissà se aspirava alla forza, o alla dimostrazione immensa d'amore. Non l'ho mai capito. Comunque si alzò dal tavolo, sfilò quella vestaglia orrenda e salì a testa alta le scale. Quando restammo sole mi girai verso Emily e la ringraziai, ottenendo in un cambio una gentile carezza sul viso che invece  di mettermi di buono umore, mi instigó ad andarmene velocemente con la scusa di dovermi cambiare. Avevo comprato un vestito lungo, leggero, di un colore rosa tendente al pesca. Mi stringeva eccessivamente la vita, ma ricadeva leggiadramente sulle gambe, creando un effetto "vedo non vedo" grazie allo spacco sulla coscia. Arricciai i capelli e li lasciai ricadere sulle spalle, poi aggiunsi un fermaglio a forma di fiore che spiccava fra i ricci. «Wow.» mi voltai di scatto. «Vorrei trovare le parole, ma non so proprio che dire, lascio che siano gli occhi a parlare.» Emily venne verso di me a passo lento ammirandomi con sguardo lussurioso. Posò le mani sulle mie spalle e con un sorriso brillante si sporse verso di me e mi baciò. Le sue labbra restarono contro le mie più a lungo del dovuto e sentendomi a disagio mi allontanai e le dissi che saremo arrivate in ritardo. Aspettammo mia mamma in salotto per circa dieci minuti, lei cercava di toccarmi, io di evitarla. Emily per me era una roccia alla quale aggrapparmi, stare con lei colmava minimamente il vuoto che mi portavo dentro, ma a volte lo squarciava ancora di più. «Eccomi.» mi alzai velocemente dal divano e andai verso mia madre. Indossava un abito rosso, molto scollato, attillato nei punti giusti. Le calze modellavano le sue gambe, mentre i tacchi neri le slanciavano rendendola ancora più alta e luminosa. «Stai benissimo mamma.» le lasciai un bacio sulla guancia, con la mano accarezzò la mia schiena e poi strinse con forza le mie spalle attirandomi in un abbraccio caldo e familiare.
Uscimmo tutte e tre di casa, mia madre ci scortò al matrimonio in macchina. Mi disse che aveva trovato un altro ingaggio, che avrebbe ripreso presto a lavorare e questo stranamente la metteva di buon umore. Dopo la morte di Lexie aveva ripreso a malapena a lavorare, lo faceva proprio perché era un dovere, come se si sentisse in obbligo, ma adesso era tornata a sorridere e il suo lavoro era divenuto nuovamente un piacere. Stava ritrovando la spensieratezza. Finalmente usciva dal tunnel. «Eccoci qua.» parcheggiò l'auto davanti alla chiesa, spensi il motore e restò qualche secondo a guardare la facciata addobbata con fiori colorati e palloncini bianchi. Una certa malinconia colorò i suoi occhi annebbiandoli di un grigio cinereo. Le mossi la spalla cordialmente riportandola alla realtà. Si voltò di scatto verso di me e sorriso forzatamente, come per dirmi che stava bene, che ce la faceva. Emily fu la prima a scendere dall'auto, io la seguii a ruota ed infine mia madre, che tentennò per qualche istante, come se volesse fare retromarcia e scappare via, ma poi aprì la portiera e percorse la strada entrando nella chiesa prima di noi. Gli invitati erano tuti in piedi, qualcuno si congratulava con mio padre, il testimone cercava di tranquillizzarlo, altri cercavano i posti a sedere e altri ancora stavano già bevendo lo champagne.  Appena mio padre ci vide venne incontro a noi con un sorriso stampato sulle labbra. Una rosa rossa spuntava dal taschino, dava un pizzico di eleganza allo smoking nero. Le scarpe nere, lucide e un papillon stretto attorno al collo conferiva un tocco di charme all'uomo. «Signore siete uno spettacolo.» mia mamma aveva già preso un calice di champagne e prima di rispondere lo finì tutto d'un sorso e con un sorriso malizioso rispose: «Si, lo sappiamo.» le diedi una gomitata senza farmi notare. Alzò gli occhi al cielo e poi ci mise tutta la sua buona volontà per dire: «Anche tu stai bene.» poi passò oltre e andò a sedersi fra le prima file, accanto ad una vecchia amica che conosceva da tempo. Mio padre si soffermò per darmi un bacio sulla fronte e a complimentarsi con Emily, poi tornò dagli invitati. «Hai visto chi c'è?» mi chiese la ragazza accanto a me indicando una donna in piedi accanto al buffet. Inizialmente scossi la testa disorientata, poi strizzai gli occhi e riconobbi le spalle nude di Lauren, il lungo vestito nero che fasciava il suo corpo. Accanto a lei c'era una donna, non riuscii a inquadrarla da lontano, ma quando si voltò verso di me la riconobbi subito: era Marlene. «Andiamo a prendere i posti.» mi nascosi dietro le spalle di Emily e la trascinai verso la panca di legno, ma lei insisteva per salutare la professoressa, infine ebbe la meglio le e la chiamò a gran voce facendo rimbombare il suo nome in tutta la cappella. Le due donne vennero verso di noi. Marlene armata di maliziosità e perfidia, Lauren con un sorriso forzato. Ricordo che quando i nostri sguardi si incontrarono nessuna delle due si sentì i colpa per ciò che era successo la notte prima, ma anzi si desiderarono come l'attimo in cui i nostri corpi si erano riconciliati. «Salve professoressa è un piacere incontrarla qui.» Emily tese la mano verso la donna che prima di stringerla esitò qualche istante. «Ah eh, questa è mia moglie Marlene.» presentò la donna al suo fianco con un balbettare istintivo. La donna allungò il braccio verso Emily e scambiarono qualche parole mentre io e Lauren ci fissavamo negli occhi e non importava aggiungere altro, bastava osservare il riflesso nascosto nella sua iride per capire ciò che provava. «Marlene.» disse con freddezza allungando la mano verso di me e interrompendo il contatto visivo con Lauren. Non sapevo bene come comportarmi. Odiavo quella donna con tutte le mie forze, non la odiavo per ciò che era, anche se bisognava ammetterlo: era insopportabile. La odiavo perché lei aveva un privilegio che io non potevo permettermi: era la donna di Lauren. La possedeva, aveva diritto di amarla e io in confronto a lei mi sentivo piccola, impotente. «Camila.» strinsi rapidamente la sua mano e poi la riportai lungo i fianchi. «Ci sediamo assieme?» domandò Marlene ottenendo uno sguardo di disapprovazione da parte di Lauren. Emily ovviamente acconsentì ed io dovetti seguire il volere delle donne per non destare sospetti. La mano di Emily scivolò attorno al mio fianco e poi lentamente cadde giù, sul mio sedere. Mi irrigidii subito e aumentai il passo per sfuggire al tocco, ricordandomi che dietro di noi camminavano le due donne. «Vogliamo aumentare il passo?» Lauren ruppe la vicinanza fra me e Emily passando in mezzo e raggiunse i poti in mezzo alla chiesa sedendosi per prima.  Presi il posto accanto a lei, al mio fianco Emily e molto distante da me, fortunatamente, Marlene. Improvvisamente notai mia madre seduta nelle prima file e ricordai della cena in quel ristorante fuori città. Era la fine.

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