Nella penombra creata dalla luce fioca della luna, Byron ed Heath se ne stavano in silenzio a fissare il grande letto. Troppo immenso per contenere la figura esile di Astrid, ancora con gli occhi chiusi.
Quando Byron era rientrato nella sua camera letto non si era neanche stupito di vedere il suo amico lì, a sorvegliare su una donna che non sarebbe mai stata sua. Erano rimasti in silenzio per ore fino a quando Heath aveva trovato il coraggio d'iniziare una conversazione, più perché non riusciva più a sopportare il ronzio che sentiva nelle orecchie.
"Alfred è venuto a cercarti prima, diceva che la polizia voleva parlare con te", lo aveva informato con un tono di voce piatto, monotono. Byron aveva ignorato l'informazione con poche semplici parole facendo capire che non avrebbe lasciato il suo posto affianco ad Astrid per nessuna ragione al mondo. Si era appoggiato con la schiena al muro, proprio di fronte al letto a braccia conserte e gli occhi fissi su Astrid. Da lì non si era più mosso.
Voleva avvicinarsi, toccarla, respirare il suo odore, ma la paura che tutto potesse finire gli impedì di fare anche un singolo passo. Perfino Heath aveva allontanato la poltrona e fissava la ragazza da una certa distanza. Entrambi spaventati che perfino le loro occhiate intense potessero ucciderla.
Altre ore erano passate inesorabili, nell'attesa di un cambiamento. Il medico era passato quattro volte a controllare la sua paziente e ad accertarsi che le sue condizioni non erano peggiorate. Se ne andava sempre con qualche parola di circostanza. Sembrava che, non essendo più sottoposta dal veleno, Astrid fosse stabile ma questo non significava che era fuori pericolo. Il dottore aspettava solo un segno, anche piccolo, di miglioramento, che gli avrebbe fatto pensare alla sua possibile salvezza.
Ed era quello che si aspettava anche Byron. Si sarebbe accontentato anche di un piccolo miglioramento un movimento quasi impercettibile della mano o delle palpebre. Un segno che dentro a quel corpo c'era ancora vita. Per questo non la perdeva d'occhio neanche un istante attento a scorgere qualche raro e aspettato movimento. Ma lei restava immobile, come una statua scolpita nella dura e fredda pietra. Ed ogni ora che passava lo sconforto era sempre maggiore.
Quando la luna era già alta in cielo da molte ore, fu lui a spezzare quel fastidioso silenzio che rischiava di risucchiare entrambi. "Che cosa avresti fatto tu, al mio posto?" Non c'era alcun bisogno di spiegare che si stava riferendo alla decisione che aveva preso di far abortire la moglie qualora ci fossero state complicazioni. Non che si pentisse, anzi, era fermamente convinto di aver fatto la scelta giusta. Eppure era sicuro che se avesse preso quella strada per il resto della sua vita si sarebbe sentito in colpa per quel figlio mai nato.
Heath si voltò a guardarlo per la prima volta da quando era entrato e nella sua voce, nonostante fosse stanco dopo notti insonni, si poteva leggere la certezza e la determinazione. "Avrei fatto la tua stessa scelta. C'è la possibilità che voi perdiate il bambino, ma Astrid sarà salva", le parole ebbero l'effetto di dare un po' di conforto a Byron anche se comunque si trattava pur sempre di suo figlio.
"Allora qualcosa di sensato ogni tanto lo faccio", gli rispose con velata amarezza riferendosi ancora alla lite che avevano avuto qualche giorno prima e che aveva purtroppo incrinato il loro rapporto. Heath si mise sulla difensiva, forse spaventato all'idea di dover di nuovo affrontare quei discorsi e tentò, in modo alquanto goffo, di porre rimedio: "Sai che tutto quello che ho detto non lo pensavo davvero ero preoccupato per lei e ho sentito il bisogno di prendermela con qualcuno".
Non andava molto fiero di quello che aveva detto al suo amico nonostante insulti e brutte parole erano uscite anche dalla bocca di Byron. Mai prima di allora avevano litigato in quel modo così furioso, giungendo perfino alle mani. Erano dovuti intervenire i servi per placare i loro animi bollenti. E da quel giorno le parole dette, e quelle non dette, aleggiavano nell'aria tra di loro come un fantasma.