Capitolo XXXV

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La festa finì a tarda notte, quando tutti gli invitati iniziarono ad andarsene. Per tutta la sera Astrid era stata in piedi, a parlare con gli invitati, e ciò non aveva giovato alle sue condizioni.

Quando l'aveva vista vacillare un po', Byron l'aveva sostenuta e più volte aveva cercato di convincerla a sedersi e a riprendersi. 

Solo che lei era testarda e non si era fermata un attimo, rappresentando al meglio la famiglia Devenport davanti a tutta la città.

Quindi quando finalmente la festa giunse al termine, Astrid tirò un lungo sospiro di sollievo. E dopo aver accompagnato i loro ospiti, la famiglia imperiale, nelle loro stanze private, arrivò anche per loro il momento di riposarsi.

"Pensi che sia andata bene?" chiese al marito, una volta rimasti da soli nella loro camera da letto. Byron le dava le spalle e si stava slacciando, quasi a fatica, la cravatta.

"Credo di sì. Ne parleranno per molto tempo, ne sono sicuro", comprendeva il desiderio di sua moglie di essere confortata e per questo si voltò leggermente per sorriderle e incoraggiarla.

Lei rispose con un altro sorriso prima di corrucciarsi e aggiungere: "Credi che l'Imperatore ci darà qualche problema?". Per tutta la sera aveva cercato di mantenere la calma, per non sembrare paranoica, ma era ovvio che tutta quella faccenda la preoccupava.

E non era mai un bene che una donna incinta avesse tutti quei pensieri negativi. Se Byron ripensava a tutto quello che Astrid era stata costretta a sopportare in quegli ultimi tempi, non poteva che avere conferma di quanto forte fosse sua moglie.

Un'altra donna sarebbe caduta in depressione e sicuramente avrebbe perso il bambino. Invece Astrid non si era mai persa d'animo, di era rimboccata le maniche e aveva sempre fatto il suo dovere di coniuge devota.

"Domani parleremo in privato", fu l'unica risposta di Byron che, in quell'occasione, non se la sentì di mentirle e assicurarla.

Poteva solo immaginare di cosa volesse parlare l'imperatore ma come sarebbe andata a finire la conversazione solo Dio poteva saperlo. E lui non era solito chiedere aiuto a quell'alta autorità.

"Dannazione, questa cravatta è stata fissata con la colla", affermò quasi rabbioso dopo aver provato a togliersi l'indumento incriminato per l'ennesima volta. 

Astrid nascose un sorrise divertito prima di fare qualche passo avanti e proporre: "Ti aiuto io". Non aspettò neanche una sua risposta e iniziò a sbrigliare la matassa che Byron aveva al collo.

"Parlerete di mio padre?" gli chiese, senza neanche guardarlo in faccia e continuando a rimanere calma almeno nell'apparenza. 

"Oppure di mia madre", Byron le prese il volto con due dita e la costrinse ad alzare la testa per guardarlo in faccia. 

"Non preoccuparti, ti prometto che andrà tutto bene. E poi è inutile preoccuparsi di cose che ancora non sono successe".

Non voleva ammettere davanti alla moglie che anche lui era seriamente in ansia per quella futura conversazione. Ma era anche vero che non poteva rimuginarci troppo, che non poteva risolvere i problemi pensandoci in continuazione.

"Non dovresti affaticarti troppo, porti in grembo nostro figlio. E invece organizzi feste, cerchi di tenere in piedi la famiglia e in più di preoccupi di ciò che in realtà è un mio dovere".

Sapeva che tenere Astrid fuori dagli affari della famiglia era pressoché impossibile, ma quelle piccole occhiaie che si era create sotto i suoi occhi erano un chiaro segno che, per il suo bene, era meglio se allentasse un po'.

Istintivamente la donna si mise una mano sul ventre e sospirò: "Non riesco proprio a starne fuori", ammise quasi fosse una colpa.

"Un'altra cosa che amo di te", Byron le prese il viso con entrambe le mani e la costrinse a rimanere ferma mentre si abbassava su di lei e la baciava, delicatamente e lentamente.

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