Capitolo XXXII

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Per ingannare l'attesa, Trevor e Sebastian si erano rifugiati nell'ufficio di Byron per giocare a scacchi. Negli ultimi mesi di vita di lord Stephan, spesso lui e il figlio minore  passavano il pomeriggio a giocare, seduti di fronte al camino. 

Gli mancavano quei rari momenti che riusciva davvero a stare con suo padre, anche se quasi in totale silenzio. Per lui erano state le uniche ore che aveva passato in piena sintonia con il genitore. 

Non era neanche il suo passatempo preferito, ma gli ricordava quei giorni e perciò era contento di poterlo fare in compagnia del nuovo arrivato. 

Sebastian, che aveva imparato le regole di quel gioco proprio in guerra, dal suo vecchio generale, lo trovava rilassante e allo stesso tempo istruttivo. Non poteva di certo sapere che cosa pensava il suo avversario in quel momento, poteva godersi qualche ora senza pensare troppo all'uscita di Byron e Astrid.

Tirava un aria fredda e rarefatta nella tenuta da quando avevano saputo dell'arresto di lord Crowell. Tutti in tensione e in attesa di scoprire che cosa gli avrebbe riservato il futuro, perché era ovvio e scontato che fossero tutti collegati da un filo invisibile. 

Era concentrati nella loro partita, quando Byron fece la sua prepotente irruzione all'interno della stanza, con lunghe falcate e sbattendo la porta alle sue spalle. 

Scuro in volto per la rabbia, digrignando i denti, si immobilizzò solo quando si accorse di non essere da solo e scambiò un'occhiata confusa ai due presenti. 

«Che cosa ci fate voi qui?» non molto interessato in realtà alla risposta, andò alla finestra e si appoggiò al cornicione, cercando di respirare lentamente mentre osserva di fuori tutto ciò che il padre aveva creato e che lui rischiava di perdere. 

«Aspettavamo il vostro ritorno. Dalla tua reazione deduco che non sia andata bene», azzardò Trevor perdendo quasi un colpo al cuore. Solo il pensiero che suo fratello potesse essere indagato per tradimento lo mandava fuori di testa. 

La sua intera famiglia era stata distrutta in poco tempo. Aveva perso i genitori, l'una dopo l'altro, e non vedeva più sua sorella da molto tempo. L'unico che gli era rimasto, il pilastro di quella casa un po' traballante, era Byron e non poteva immaginare di perderlo.

Era convinto che non sarebbe mai stato in grado di prendersi cura della famiglia, in assenza del fratello maggiore. Ma era pronto a fare ciò che era più giusto, anche se sperava e pregava di non doverlo fare.

«Lord Crowell ha testimoniato in mio favore, quindi non verrò processato», affermò Byron secco, senza troppi giri di parole, e continuando a dare loro le spalle.

I due giocatori di scacchi si fissarono un po' interdetti, confusi dall'atteggiamento negativo misto alle parole positive di Byron. 

«Non capisco, allora, qual'è il problema?» vedendo che il fratello minore non riusciva a comprenderlo, Byron si voltò leggermente per poterlo guardare in faccia. Il volto teso, la fronte leggermente sudata, e tanta delusione nella voce.

«Potremmo riavere tutti i nostri documenti nel giro di qualche giorno, così vedrai con i tuoi occhi che siamo ancora in banca rotta. E che ci resteremo, visto che ormai possiamo sognarci i soldi della vendita».

Non era riuscito a rallegrarsi alla notizia che non rischiava di essere condannato a morte, perché il suo primo pensiero era andato subito ai debiti che li stavano lentamente soffocando. 

Pensava di aver risolto ogni suo problema, vendendo la quota di Astrid alla sua famiglia, e gli mancava davvero poco per riscuotere il denaro. Si sarebbero dovuti incontrare prima della festa organizzata a casa loro, per concludere l'affare, e ormai ci aveva fatto la bocca.

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