CAPITOLO 43

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CLAIRE'S POV

Non ci potevo credere. I miei genitori avevano tentato di uccidermi. Ok, ora mi era tutto chiaro. La loro partenza, la decisione di lasciarmi qua, il loro borbottare durante la vacanza a New York. Era da un po che lo progettavano, ma non capivo il perchè. Più pensavo ad una ragione plausibile, meno ci capivo qualcosa. Le nostre indagini personali non ci portarono a nulla, non capivamo il perchè di questo affronto. Io in particolare non lo capivo. Tornai alla casa, ormai bruciata, più volte, ma niente.

"Claire, non puoi tornare la ogni giorno. Abbiamo cercato ovunque. Non ci sono altri indizi, mettiti l'anima in pace."

"Come posso farlo? I miei genitori hanno tentato di uccidermi! E non smetterò di cercare fino a che non comprenderò il motivo del loro gesto. Adesso, lasciami andare!"

"E va bene! Ma questa volta vengo con te."

Sbuffando mi recai alla porta, con Justin che mi seguiva. Non dissi una parola fino all'arrivo davanti alla casa. Dove notai un foglio attaccato alla porta.

"Bene, ci mancava solo il sigillo della polizia."

Scesi dall'auto e andai a guardare. Non era un sigillo, ma potei riconoscere subito la scrittura, mia madre.

Cara Claire,  sappiamo tutto, sappiamo che tuo fratello era ancora vivo, sappiamo che lo hai visto spesso e sappiamo anche che lo hai ucciso. Hai ucciso il nostro sangue, tuo fratello. Questo era solo un piccolo avvertimento. Uccidendolo ci hai tolto una parte di vita. Ora abbiamo deciso che, come noi ti abbiamo donato la vita, saremo noi a togliertela. Guardati sempre le spalle se vuoi sopravvivere.

Non ci potevo credere, sapevano tutto e questo era il loro modo di vendicarsi. Buttai il foglio a terra e tornai in auto, Justin lo raccolse e se lo mise in tasca, per poi seguirmi.

Il viaggio di ritorno fu silenzioso, ancora. Non riuscivo a capire, perchè mi volevano morta? Sapevano che mio fratello mi aveva rapita? Sapevano il perchè del mio gesto? Probabilmente no. Ma io sapevo che anche se avessi parlato con loro, non mi avrebbero creduta, anzi, forse non mi avrebbero ascoltata e mi avrebbero uccisa direttamente. Non mi restava altro che aspettare la loro prossima mossa.

I giorni passavano e dei miei genitori non avevo notizie, non provavano a contattarmi, non provavano ad uccidermi, e la situazione era diventata pesante. Stavo vivendo con l'ansia che tutto potesse accadere da un momento all'altro. Ogni rumore mi portava a prendere in mano la pistola, e magari era solo una porta che si chiudeva. Non potevo vivere ancora così. Dovevo fare qualcosa ma non potevo. Non sapevo nemmeno dove fossero.

Fnalmente, dopo settimane di attesa, qualcosa successe. Qualcosa si mosse quando un caldo pomeriggio di agosto, qualcuno iniziò a prendere a calci la porta di cada si Lauren, e non ci fu cosa più sbagliata che quella povera persona potesse fare. Al terzo colpo Lauren estrasse la sua pistola e sparò basso, in direzione della porta, sperando di ferire il malcapitato alle gambe, i colpi cessarono e cautamente Mary aprì. Eravamo sole in casa, i ragazzi erano usciti circa un'ora prima, e comunque sarebbero tornati a momenti. Trovai mio padre con la gamba sanguinante e mia madre che cercava di trascinarlo via. Lui era disarmato, ma potevo vedere una pistola nelle mani di mia mamma, che appena mi vide, mi sparò. Non sapevo avesse una mira così buona. Mi prese al torace, mi mancava il respiro, aveva colpito un polmone, il destro, il dolore era lancinante, iniziai a vedere buio, e mi accasciai al suolo. Le ultime parole che sentii furono quelle urlate da Lauren.

"MARY PRESTO! CHIAMA UN'AMBULANZA!"

JUSTIN'S PPOV

Arrivai davanti a casa di Lauren e trovai il caos. Gente sui marciapiedi che guardava, poliziotti che mettevano il nastro e un'ambulanza aperta. Lasciai tutto ciò che avevo in mano, e corsi. Urtai tutto e tutti, fino a che non la vidi. Il suo corpo coperto da un telo, sporco di snague, il suo bellissimo viso, bianco come il latte, quasi fosse fatto di cera, con la maschera che le dava per l'ossigeno, distesa su quella barella che la spostava sull'ambulanza.

"Scusi, lei non può stare qu."

"Abito li! E quella che stanno portando via in barella è la mia ragazza."

"Allora prego, passi pure."

Corsi da lei, le presi la mano e notai che era fredda come il marmo. Sentii una mano sulla mia spalla, e istintivamente la afferrai. Era sporca di sangue, il suo sangue, guardai gli occhi di Lauren, in cerca di spiegazioni.

"Ha perso molto sangue, è grave. Il battito è molto debole."

La mia Claire, stava accadendo di nuovo.

Non potevo permettere che la passassero liscia.

"Mary, stai con lei. Lauren, vieni."

In quel momento solo Lauren sapeva cosa fare.

Salii in auto, al fianco di Lauren, che iniziò a guidare. Appena arrivammo davanti alla casetta, guardai attraverso la finestra, i genitori di Claire erano li. Il padre con la gamba fasciata e la madre accanto a lui. Decisi di agire nel modo più classico. Suonai il campanello. La pistola puntata ad altezza cuore, appena la porta si aprì, mi rivelò la figura della madre, sembrava non avere paura, ed essere sconvolta per quello che aveva fatto, ma il volto di Claire, la sua immagine sulla barella, mi diedero la scarica elettrica per farlo. Schiacciai il grilletto, non so dove la colpii, la mia maglia era coperta da gocce del suo sangue, come il mio braccio. Spostai lo sguardo sul padre. La bocca spalancata dallo stupore, in piedi oltre il divano bianco in pelle. Scavalcai il corpo della donna, che giaceva al suolo dentro una pozza di sangue, Lauren era ancora dietro di me, sentivo il suo respiro.

"Come ci si sente? La donna che ami non sai se riuscirà a passare le prossime ore, non sai come sta. Non ti fanno avvicinare al suo corpo, la puoi solo guardare, stringerle la mano per qualche secondo. Quella mano fredda, che per te aveva sempre una carezza. Non sai se potrai di nuovo guardare i suoi splendidi occhi. Gli stessi occhi in cui ti sei perso infinite volte. Non sai se sentirai ancora la sua voce dirti parole dolci, di conforto. Eh, come ci si sente?"

L'uomo non riusciva a parlare. Era immobile, pietrificato. Mi sentivo impotente nei confronti di Claire, ma sapevo che se non avessi fatto qualcosa, me ne sarei pentito a vita. Mi avvicinai a quello che, fino a poche settimane fa, lei definiva padre. Lo colpii ripetute volte, fino a fargli perdere i sensi, il suo volto non era più lo stesso, era coperto di sangue e di lividi. Lo guardai per un'ultima volta e sparai, diretto al cuore, lo uccisi così. Senza pietà. Come avevano agito loro nei confronti di Claire.

Insieme a Lauren corsi in ospedale. Ero ancora coperto di sangue, le persone in sala d'attesa mi guardavano come fossi un alieno. Cercai di parlare con qualcuno, ma erano tutti impegnati. Finalmente una delle infermiere mi notò e mi diede le informazioni che avevo chiesto.

Dovevo correre al secondo piano, dove c'erano le sale operatorie, lei era ancora li dentro. I ragazzi erano seduti su quelle scomode sedie che si trovano in tutti gli ospedali, quel posto puzzav di disinfettante e medicine, avevo la nausea ma mi feci forza ed aspettai. Lacrime salate mi rigavano il volto, erano passate ore da quando era stata portata via da casa. Nessuno ci dieva niente. Volevo sapere come stava, se avrei potuto abbracciarla di nuovo. Ma niente. Nessuno usciva o entrava da quelle porte che ci dividevano.

Cuore BastardoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora