Capitolo 13

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– Cosa ne sai tu di questa storia? – le chiesi mentre prendevo posto affianco a lei. – Finora non ne sapevo nulla. – rispose lei. – Insomma, mi è venuto il dubbio che Reeze mi nascondesse qualcosa, visto che quando ci siamo incrociati stava pensando alle calendule in fiore. –. Per poco non risputai il boccone di arrosto che avevo in bocca. – Non penso che tu comunque debba preoccuparti. I maschi sono strani a volte. –. Concordavo con lei, ma qui dall’irrefrenabile voglia eravamo passati al gelo totale. Ripensai alla foga con cui mi aveva presa, al calore della sua pelle, al suo sapore… – Ti ringrazio, ho perso l’appetito! – esclamò Tjana con finto disgusto. – Oh, finiscila! – feci io, dandole una gomitata. – Se non ti piacciono i miei pensieri, esci dalla mia testa! – All’improvviso le calendule non mi sembrano così male… – rispose lei, pensierosa. – Comunque, salgo direttamente con te quando finiamo qui? – chiese e mi ricordai di averle promesso di allenarmi con lei. – Certo! – feci. Finito di cenare tornammo ai dormitori e Tjana venne direttamente in camera mia. Si sistemò come di consueto a terra e iniziò a scrutarmi concentrata. – Ti prego, sforzati di non pensare al tuo bel fusto. – mi supplicò. – Mi sembra di essere stata io ad averci pomiciato! –. Scoppiai a ridere; Tjana trovava l’idea di baciare Reeze totalmente ripugnante ma non potevo darle torto. Dopotutto, erano cresciuti insieme, lo considerava un parente. – Ok. – feci ripresami dalla ridarella. Mi concentrai su ‘Il Signore degli Anelli’ di Tolkien; avevo letto talmente tante volte il libro da ricordare molti passaggi a memoria. Tjana chiuse gli occhi e la vidi sforzarsi di non leggermi nel pensiero. Ogni muscolo (soprattutto quelli facciali) del suo corpo era teso per lo sforzo. Doveva essere davvero difficile per lei: aveva passato praticamente tutta la vita a sentire voci in testa, non osavo immaginare quanto brutta doveva essere stata la sua infanzia. – Ma non te n’ho parlato? – mi chiese stupita. – Dovresti cercare di non leggere, ricordi? – dissi io con un sopracciglio alzato. – Lo so, ma ero convinta di avertelo detto. – dal tono della sua voce capii che fosse dispiaciuta per non averlo fatto.  – Parlamene ora, se vuoi. – incalzai all’improvviso incuriosita. Lei si alzò da terra e andò verso la finestra. – In realtà non c’è molto da dire. – iniziò lei. – Prima di venire qui, vivevo nella Foresta Occidentale con la mia tribù. Mio nonno è uno Sciamano, sai? La mia famiglia era considerata molto importante e credo tuttora sia così. –. Mi ricordai di quando Reeze per scherzare, l’aveva chiamata ‘figlia della foresta’. Adesso riuscivo a spiegarmelo. – Come credi? – chiesi. – Beh, non sono più tornata lì da quando mi hanno mandata alla Fortezza. –. Era triste. Doveva mancarle davvero la famiglia. La capivo perfettamente. – Non è esattamente così. Si può dire che non la conosco proprio la mia famiglia. Avevo 5 anni quando mi mandarono qui. Secondo mio nonno, il mio dono era prezioso e sprecato là, così convinse i miei a farmi diventare una Guardiana. Dopo avermi esaminato a fondo, gli Anziani decisero di prendermi e iniziai il mio addestramento. E’ successo davvero tanto tempo fa. – era immersa nei suoi ricordi. – Indubbiamente, mi trovai subito meglio qui. Non era facile per me a casa. Ero diversa dagli altri bambini, mi sentivo un’estranea, nessuno giocava con me, mi temevano. Mentre qui… qui il mio talento era visto con rispetto. Oltre a me ci sono pochissimi telepati. E gli Stregoni. E gli Anziani, ovviamente, ma per loro è diverso. Credo che un giorno mi unirò a loro. Sempre che non mi succeda qualcosa in battaglia. – Ma no che non ti succerà nulla! – dissi io. – Riesci a prevedere ogni mossa dell’avversario, è praticamente impossibile metterti al tappeto. – Io non entro nelle menti dei demoni, Dafne. Ho paura di rimanere contagiata. –. Sgranai gli occhi. – Ma allora ci riesci a non leggere nel pensiero! – esclamai. – Sì, per paura. Qui mi sento al sicuro, non sento la necessità di rinchiudermi in me stessa. – Prova! – le dissi. Se riusciva a farlo con i demoni, ero sicura sarebbe riuscita a farlo anche con tutti gli altri. – Vuoi che ti attacchi, così ti sentirai minacciata? – scherzai. – Certo che no! – rispose lei, voltandosi verso di me e guardandomi contrariata. – Ma forse ai ragione. Prova a pensare a qualcosa di molto brutto. –. La guardai confusa. – Brutto quanto la faccia di Magnus quando parla? – No, scema! Brutto tipo… doloroso, raccapricciante, ecco. –. L’unica cosa che mi venne in mente fu la morte dei miei. Avevo cercato di reprimere quel ricordo il più possibile, e ora avrei dovuto tirarlo fuori. Rabbrividii. – Se non te la senti, lascia stare! – fece lei preoccupata. – No. Ce la faccio. –. Focalizzai il pensiero sull’incendio, la casa crollata. Sentii di nuovo quella maledetta consapevolezza che erano tutti lì, che non li avrei più rivisti e mi sentii male. Non credevo che a distanza di un anno il dolore potesse essere ancora così forte eppure lo era; sentii lo stomaco contorcersi, le lacrime iniziarono a rigarmi il viso e mi resi conto di essere inginocchiata a terra, proprio come quella sera. Tjana mi si avvicinò e mi abbracciò, in lacrime anche lei. – Scusami… – sussurrò. – Non è stata una buona idea, ma sono riuscita a ritrarmi da te, quindi a qualcosa è servito. – continuò. Il pensiero di essere riuscita ad aiutarla mi risollevò un po’. D’un tratto, sentimmo bussare. – Avanti! – dissi asciugandomi gli occhi. Reeze entrò. – Ehi Tjana! Non credevo di trovarti qui… ma che? – disse, all’improvviso preoccupato. – Che è successo? Stai bene? – il suo sguardo passava da me a Tjana. – Io vado. – fece lei alzandosi. – Ci vediamo domani. Grazie e scusa ancora. –. Uscì chiudendo la porta dietro di sé. Mi alzai in piedi anch’io e Reeze mi prese per un braccio, costringendomi a guardarlo. – Che è successo? – chiese di nuovo. – Ma nulla… – risposi cercando di fare la vaga. – Nulla? – disse. – Non mi pare nulla! –. Mi liberai dalla sua presa e mi misi sul davanzale. Il cielo era nuvoloso. – Dafne, parlami… –. Mi si avvicinò incerto. – Per aiutare Tjana a rinchiudere a sua coscienza ho ripensato alla notte in cui i miei… – mi fermai. – In cui arrivai qui. –. Lui mi strinse a sé carezzandomi i capelli. – Che idiota che sei. – disse con fare premuroso. Scoppiai di nuovo in lacrime, non riuscendo a trattenermi. – Va tutto bene, ragazzina, ci sono io qui con te. –. Non resistetti: alzai la testa e mi avvicinai al suo viso. Non lo baciai come aveva fatto lui; ero impaziente, come se avessi bisogno di baciarlo. Lui mi scostò piano. – Dafne… – disse lasciando cadere le sue braccia dalla mia schiena. – Non possiamo. Io non posso… scusa. – si voltò e se ne andò dalla stanza a grandi passi. Non poteva. O forse non voleva farlo? Mi rannicchiai sul davanzale e fissai il cielo cupo. Avevo frainteso, lui non provava lo stesso, adesso ne avevo la conferma. Ero stata un’idiota a pensare il contrario. Mi ero creata dei castelli per aria sulle basi di nulla. Pensarlo mi fece male. Le cose tra noi adesso sarebbero cambiate, ne ero certa. L’unica soluzione era concentrarmi sulla mia missione, non dovevo lasciarmi distrarre dalle mie stupidissime emozioni. Mi trasformai e mi sentii subito meglio. Ero una Guardiana Suprema e dovevo rimanere forte per me e soprattutto per la mia gente. Nulla mi avrebbe fatto di nuovo male, non potevo permettermi ferite, se non quelle fisiche.

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