Il mattino dopo mi svegliai nella mia stanza, frastornata e con un gran mal di testa. Ero convinta di essermi sognata tutto quanto, finché Tjana non entrò per portarmi la colazione: – Vedo che sei tornata normale. – mi disse con un tono strano. – Vuoi dire che… – No, Dafne, non è stato un brutto sogno, è successo tutto per davvero. – E lui dov’è? Come sta? Devo vederlo! – cercai di alzarmi dal letto ma Tjana mi fermò. – Dafne… – disse triste. – Reeze non si è ancora svegliato ma le sue condizioni si sono stabilizzate. –.
Tirai un sollievo di sospiro. Stava bene. Il suo cuore - non sapevo ancora come - aveva ripreso a battere e si stava riperdendo; per me non c’era niente di più importante al momento.
– Vorrà dire che scenderò più tardi. – feci sorridendo a Tjana, un sorriso che lei non ricambiò. Mi guardò con i suoi occhi profondi, turbata.
– Dafne… – disse. – Tu non hai il permesso di lasciare questa stanza. Gli Stregoni hanno incantato la porta e le finestre. –.
Sgranai gli occhi. Perché diavolo avrebbero dovuto fare una cosa del genere?
– Perché non hanno ancora deciso cosa fare con te. – sembrava sul punto di piangere. – Dafne, mi dispiace così tanto! –.
Buttò le sue esili ma forti braccia attorno al mio collo e mi abbracciò; uno di quegli abbracci che si danno a qualcuno di caro quando sta per partire per un posto lontano, quando si è consapevoli che quella persona probabilmente non la si vedrà più.
Io l’abbracciai a mia volta, ma per sostenermi a qualcosa: sentivo di stare di nuovo sul punto di svenire.
Tjana triò su col naso e si asciugò gli occhi. – Mangia qualcosa. Devi mantenerti in forze. – mi disse prima di alzarsi. Stava quasi fuori dalla porta quando la chiamai. Lei si voltò per guardarmi, entrambe con gli occhi lucidi:
– Mi dispiace. Perdonami. Se quando si sveglierà… – feci una pausa per prendere fiato. – se quando si sveglierà non sarò più qui, digli che mi dispiace, che è tutta colpa mia e che non deve incolpare se stesso, ok? –. Lei annuì e se ne andò.Mi alzai dal letto con le gambe che mi tremavano. Sapevo già quale sarebbe stata la mia fine, ma cercavo di non pensarci.
È sempre stato nella natura umana non pensare alla morte come a qualcosa di reale: sembra tanto lontana, invece può arrivare da un momento all’altro.
Ero davvero convinta mi avrebbero condannata, dopotutto avevo ucciso un Guardiano consapevolmente (resuscitato poi, ma comunque lo avevo ucciso). Non era stato un incidente. E poi avevano di nuovo a che fare con un mostro, non potevano permettersi che la situazione degenerasse, non questa volta. Mi temevano per quello che ero riuscita a fare.
“Mi sono teletrasportata da Reeze.”, pensai. E non solo: le mie urla avevano quasi frantumato le loro prigioni a prova di fuga.
Mi guardai intorno; quella stanza era così familiare ormai, l’avevo fatta mia, nonostante tutto il tempo passato a sentirmici intrappolata. Sorrisi. Per ironia della sorte, adesso ci ero intrappolata davvero.
Andai in bagno e riempii la vasca di acqua. Magari un bagno mi avrebbe aiutata a rilassarmi. Mi immersi nella vasca e cercai di pensare a tutti i momenti felici passati, sia nella mia vita precedente che in quella nuova, alla Fortezza.
Ricordai i viaggi con i miei, la nascita di Livya, le serate passate con i miei amici, le lezioni con Angel, le chiacchierate con Tjana e i momenti passati con Reeze. Mi focalizzai sul suo sorriso, sulle sue battute stupide che spesso mi avevano dato sui nervi.
Ripensai al giorno del mio compleanno, che sembrava lontano anni luce: mi aveva stretta a sé, in lacrime come a chiedermi scusa per un qualcosa che in realtà nemmeno aveva fatto. La consapevolezza di provare qualcosa per lui, Tjana che mi diceva che anche lui provava lo stesso, la gioia nel vederlo la sera, bello come sempre, la passeggiata alle cascate. Mi ero immaginata chissà cosa e adesso nulla sarebbe potuto succedere. Avremmo potuto diventare qualcosa, ma avevo rovinato tutto.
– Yfrit. – dissi con odio. Mi aveva ingannata, da sempre. Mi resi conto che tutti i sogni, la voce di Liv nella mia testa, non erano che i suoi giochetti. Voleva sbarazzarsi di entrambi, me e Reeze; sapeva che se avessi ucciso suo figlio, inevitabilmente avrebbero condannato a morte anche a me. Un piano astuto in cui non si sarebbe dovuto sporcare troppo le mani. Dopotutto, lui mi aveva mostrato delle immagini e io ci avevo creduto. Se mi fossi opposta all’illusione, adesso le cose sarebbero decisamente diverse.
Sospirai. Ma come faceva lui a sapere cosa fossi? Non aveva più importanza ormai, ma quella domanda iniziò a frullarmi in testa, senza trovare una risposta soddisfacente. Possibile che lui fosse a conoscenza di qualcosa che non sapevo?
“E se…”, inorridii al pensiero. Mi rifiutavo di pensare di essere anch’io figlia sua. Questo avrebbe voluto dire provare dei sentimenti sbagliati nei confronti di Reeze e, ancor più grave, aver ucciso il mio stesso fratello.
Uscii dalla vasca e mi avvolsi nell’accappatoio. Mi guardai allo specchio: il mio aspetto era tornato quello di sempre, per fortuna.
Sebbene la mia trasformazione non fosse così netta come quella di Reeze, le persone alla mia vista scapparono terrorizzate. Anche Tjana all’inizio si era mostrata diversa con me, dura, fredda, come se temesse che potessi farle male da un momento all’altro.
‘Le persone non mi rispettano, mi temono’ mi aveva detto Reeze una volta e adesso sapevo esattamente cosa significasse. Forse morire era davvero l’unica soluzione per porre fine a tutto questo; non avrei sopportato i bisbigli della gente al mio passaggio, non senza perdere il controllo.
Reeze aveva impiegato più di vent’anni a imparare a controllarsi e aveva alle spalle dieci anni di addestramento da Guardiano. Io invece ero indisciplinata, non avrei mai imparato a controllarmi. Ma poi chi volevo prendere in giro, io non avrei vissuto ancora tanto a lungo.
Uscii dal bagno e mi vestii. Poi presi il diario di mia madre che qualcuno si era preso la briga di lasciarmi sulla scrivania, insieme alla foto con i miei e la tenuta da caccia. Le armi ovviamente, non c’erano.
Mi misi seduta sul davanzale della finestra e iniziai la lettura, dall’inizio. Mia madre raccontava per filo e per segno ogni avventura vissuta insieme a mio padre: Tibet, Nuova Zelanda, Papua, Cina, Tunisia, Russia, Stati Uniti, Brasile… Avevano viaggiato davvero un sacco!
Tornai a rileggere della loro permanenza in Polonia; ancora non mi sembrava vero che fosse stato lì che mi avevano trovata.
All’inizio volevano portarmi all’orfanotrofio, chissà cosa aveva fatto cambiare loro idea.
Mia madre scrisse di come un mafioso li avesse aiutati a procurarsi i documenti falsi di cui avevano bisogno. Era inorridita dall’idea di aiutare un criminale ad arricchirsi, così come mio padre, ma era l’unico modo per potermi portare via con loro.
Raccontò di come fossi stranamente calma, non piangevo quasi mai, e di come mi piacesse giocare con i suoi capelli mentre mi teneva in braccio.
C’era così tanto amore nel suo modo di scrivere che i miei occhi diventarono di nuovo lucidi e il mio stomaco si strinse.
Dopo tre mesi passati a Cracovia, i miei tornarono in Italia e mio padre si affrettò a comprare la villetta in campagna, dove avevamo vissuto fino a settembre scorso.
A quanto pareva, mia madre finse una gravidanza con i parenti e fece di tutto affinché nessuno di loro si impicciasse. Questo la portò a chiudere i rapporti con i suoi e con i genitori di mio padre, per questo non avevo mai conosciuto i miei nonni.
Lei e mio padre si erano sacrificati in tutto per me e io ero stata così ingrata, così meschina con loro. Li implorai di perdonarmi, ovunque fossero.
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Lightbearer - La Portatrice di Luce
FantasyDa millenni ogni dimensione viene protetta dall'Oscurità dalla Congrega della Luce, senza esserne spesso a conoscenza. I Guardiani della Luce vivono in una loro dimensione e si curano di mantenere in vita ogni creatura. Dopo la rinuncia dell'ultim...