Capitolo 20

374 29 4
                                    

Passarono dei giorni dalla partenza di Reeze: scoprii che il deficiente era andato da solo e che non aveva mandato nessuna notizia riguardante la missione. Chiesi a Angel di occuparsi del caso e di trovare una punizione adeguata per il figlioccio per quando sarebbe tornato; all’inizio Angel sembrò contrario alla mia decisione, ma quando gli ricordai che solitamente atti di insubordinazione venivano puniti con il degradamento o la perdita del proprio rango, decise di accettare la mia proposta. I rapporti tra me e lui si fecero più tesi, per un lato a causa di Reeze, per l’altro a causa mia: mi allontanai il più possibile da lui e Tjana e li trattavo come chiunque alla Fortezza. Rimasero entrambi piuttosto stupiti e Tjana sembrò ferita dal mio atteggiamento formale nei suoi confronti, ma non potevo farci nulla. Nel frattempo Cainnear mi insegnava tutto sulla burocrazia della dimensione, su come trattare con la nobiltà e mi aiutava a studiare il calendario di tutte le sedute del Consiglio; inoltre dovevo preparare giorno per giorno la disposizione delle varie truppe che mandavo in missione e Sandor mi aiutava molto in questo: la sua conoscenza strategica mi aveva stupito e non poco. Nel tempo libero mi allenavo talvolta sola, talvolta con Angel. Controllavo perfettamente la trasformazione e avevo scoperto di riuscire a controllare gli elementi. Secondo Angel, era un’abilità che avevo ereditato da mio padre. Non parlammo più della missione per ritrovare Talerius e, in un certo senso ne fui lieta. Erik al laboratorio aveva fatto dei progressi importanti con le sonde e la Mappa dimensionale. Decisi inoltre di trasformare l’Armeria in un unico settore comunicante, che racchiudesse tutti i settori insieme, in modo da creare più cooperazione tra tutti. All’inizio il Consiglio fu scettico all’idea, ma approvarono dopo che Selma fece un lungo discorso sull’importanza di modernizzarsi. I lavori di smantellamento iniziarono quasi subito e i Guardiani non ne furono contenti. I vari settori vennero spostati in delle strutture sistemate ai campi di allenamento all’aperto; un unico portale fu acceso, creando un po’ di traffico tra chi partiva e chi rientrava ma, nonostante tutte le lamentele, il progetto proposto da Erik e dal suo team di ricercatori mi sembrava davvero un’ottima cosa. – I lavori saranno ultimati all’inizio di dicembre. – annunciò Erik mentre presentavamo il progetto al Consiglio. Era visibilmente emozionato, gli era venuta una parlantina nervosa che non finiva più. – Cosa ne pensa il saggio Consiglio? – chiesi io dalla mia postazione al tavolo rotondo della Sala riunioni. Li guardai uno a uno, quasi a minacciarli se si fossero opposti. Riuscimmo a ricevere il voto unanime solo dopo che dissi a Magnus (che tanto aveva criticato il progetto) di avanzare una controproposta valida entro la mattina seguente. L’Anziano mi fulminò con lo sguardo e decise che dopotutto si poteva sempre provare a vedere cosa ne sarebbe uscito fuori.

I giorni si trasformarono in settimane e di Reeze ancora nessuna traccia né notizia. Cercavo con tutta me stessa di non pensare al peggio, anzi di non pensarci proprio, ma non era facile, soprattutto di notte. Più di una volta, mi ero ritrovata in lacrime nel cuore della notte, dopo aver fatto incubi su incubi riguardanti la sua morte. Di giorno era più facile poiché cercavo di tenermi occupata il più possibile. Una giorno, dopo una lunghissima ed estenuante riunione con Angel e i Capitani su come impiegare al meglio le truppe nelle imminenti missioni, decisi di andare al campo ad allenarmi un po’ e, quando arrivai, trovai Tjana intenta a ridere e scherzare con Eva Colins, la prediletta di Reeze. Provai gelosia nel vedere quella che era la mia migliore amica divertirsi con un’altra ragazza. “Sei tu che l’hai allontanata.”, mi dissi, provando immediatamente senso di colpa. Tjana si accorse della mia presenza e mi salutò con freddezza. Eva invece scattò per farmi un profondo inchino. – E’ da tanto che non ti fai vedere in giro, Dafne! – disse. – Come va? –. Il suo entusiasmo era snervante. – Ho molti più impegni ora. – risposi mentre scalciavo l’aria con gli esercizi di jujutsu che mi aveva insegnato Angel tempo prima. – E va tutto alla grande. A te? –. Tjana ci raggiunse e si mise seduta a terra, fissandomi con odio. – Io sto benissimo! – rispose Eva. – Beh, certo, Reeze mi ha lasciato un po’ nella merda, ma Tjana mi sta aiutando molto negli allenamenti! –. “Non ha lasciato solo te nella merda”, pensai. Tjana sospirò. Mi fermai. – Mi sembrava che avessimo accordato che non saresti più entrata nella mia testa senza permesso, o sbaglio? – feci sprezzante. Lei mi fissò con ancora più disprezzo. – Mi stai dando un ordine? – chiese sarcastica. – Perché in tal caso dovresti mandarmi un documento scritto e firmato, lo sai no? –. Eva ci fissava allarmata, mentre io e Tjana ci guardavamo in cagnesco. – Non provocarmi. – le intimai a denti stretti. – Altrimenti? Mi degradi per insubordinazione? Accomodati! –. Tjana era furiosa e lo stavo diventando anch’io. – Io non ho degradato nessuno, se Angel deve raccontarti le nostre conversazione almeno lo facesse per bene! Ti avevo chiesto di rispettare la mia privacy e hai acconsentito, ricordi? – Quello era prima che tu diventassi una stronza! – sbottò lei alzandosi in piedi. – Il potere ti ha dato alla testa, Dafne. Prima Reeze, poi io e Angel! Ma con me caschi male! Io non mi faccio trattare come uno zerbino! –. Le puntai un dito contro e mi avvicinai di un passo: – Punto primo: tu non sai un cazzo di quello che è successo tra me e Reeze e, anche se lo sapessi, non ti riguarda. –. Tjana sorrise beffarda e incrociò le braccia. – Punto secondo: – ripresi. – io ho cose più importanti a cui pensare di te e Angel che ve la prendete perché credete che sia io la causa della partenza di Reeze e se vi ho allontanato è solo per non distrarmi dai miei doveri, visto che io dei doveri ce li ho! – la vidi avvampare sotto la carnagione scura. – E punto terzo: se ti ha dato così tanto fastidio, potevi benissimo venirmelo a dire invece di fare l’offesa! –. Il mio respiro si fece affannato. Tjana mi fissava in un misto di rabbia e delusione. – Io credevo di conoscerti. – disse. – A quanto pare mi sbagliavo. E no Dafne, non hai agito per il nostro bene, ma per il tuo. Andiamo Colins. –. Mi voltò le spalle con Eva al suo fianco che mi salutava con la mano, imbarazzata. Mi voltai anch’io e me ne tornai alla Fortezza in fretta e furia. Angel mi aveva ripetuto fino allo sfinimento che il compito per cui ero stata scelta comportava la massima serietà e molti sacrifici da parte mia, ma a quanto pare se era lui quello sacrificato non andava più bene. Stesso discorso per Tjana e Reeze. Non capivano che stavo agendo per il bene di tutti? – Piano, Furia, o uccidi qualcuno! –. Mi trovai davanti a Sandor, sorridente, che usciva dalla Biblioteca. – Prima che me ne scordi. – riprese. – Belfort ti cercava. – Il Generale? – chiesi. Era stupido e inutile visto che Angel era l’unico Belfort presente alla Fortezza. – No, il Capitano. –. Sgranai gli occhi e mi precipitai verso i dormitori. Entrai nella mia stanza, ma non era lì, così pensai di andare nella sua, ma non era nemmeno là. “Dove può essere andato?”, mi domandai mentre riprendevo a salire le scale. – Vedi? – disse Sandor alle mie spalle. – Ti lasci ancora condizionare. –. Mi voltai verso lui, perplessa. – Vuoi dire che…  – Che Belfort non è tornato, no. –. Una bestia furiosa ringhiò nelle mie viscere. – Perché mi hai mentito? – sibilai. Sandor mi raggiunse e si mise due gradini più in basso rispetto a me: così ero poco più alta di lui. – Per farti vedere come reagisci. – fece lui come se fosse logico. – Tu non ragioni quando si tratta di Belfort e invece dovresti. Sei arrabbiata con lui, ricordi? Perché diavolo allora gli corri incontro? Fa’ che sia lui per una volta a correre incontro a te. Non lasciargliela sempre vinta, Dafne. Sei la Suprema, comportati da tale. –. Iniziò a salire i gradini, rivolgendomi un sorriso. Rimasi a fissarlo allontanarsi verso la sua stanza. Mi sentivo una cretina e Sandor aveva nuovamente ragione: mi basta sentire il nome di Reeze per uscire fuori di senno. “Perché lo ami.”, mi dissi ma scacciai subito il pensiero. Non mi ero mai innamorata di nessuno, quindi non sapevo cosa provassi esattamente per Reeze. Di sicuro era la persona che mi faceva incazzare di più al mondo e lo detestavo per questo, ma allo stesso tempo mi faceva sentire al sicuro come nessuno, nemmeno Angel, era mai riuscito a fare. Ero gelosa di lui come non lo era stata di nessuno ma avevo sempre attribuito la gelosia al fatto che andassimo a letto insieme. Ma lui era molto più di questo per me e io lo sapevo benissimo, sebbene non volessi ammetterlo. Arrivai al mio ufficio e trovai Selma davanti al portone chiuso che mi aspettava. Come sempre era innaturalmente calma e con un’espressione di fierezza sul volto gentile. Mi sorrise e si inchinò e io ricambiai. – A cosa devo la visita, Mia Signora? – chiesi una volta che ci accomodammo. Lei si guardò intorno. – Sono passati anni dall’ultima volta che ho messo piede qui dentro, ma sembra solo ieri… – disse nostalgica. Mi sedetti alla scrivania lasciando a Selma il tempo di ricordare i suoi momenti da Suprema. Selma toccò l’araldo appeso al muro e si voltò verso me con un sorriso gentile sulle labbra. – Vedo che ti stai impegnando molto Dafne, sono colpita. – disse avvicinandosi al divanetto per sedersi. Io mi alzai dalla poltrona e la raggiunsi. A volte, come in quel momento, le espressioni di Selma mi ricordavano moltissimo quelle che assumeva mia madre: sguardo severo ma comprensivo e sorriso incoraggiante. – Come stai, cara? – mi chiese, spiazzandomi un po’. Solitamente l’ex Guardiana Suprema veniva a trovarmi per darmi direttive, consigli e non per chiacchierate confidenziali. – Bene… – risposi con incertezza. Selma se ne accorse, ma interpretò male il mio tono. – Dafne, so che non è semplice e che sei arrabbiata con tutto il mondo, lo posso capire. – confessò. – Dopotutto, ci sono passata anch’io e so quanto sia difficile riuscire a conciliare i sentimenti con il dovere. –. Fece una pausa e guardò fuori dalla finestra. – Ho finito per odiare queste mura, almeno per un po’. Poi ho capito quale fosse la mia vocazione e le ho fatte mie. –. Mi sentii confusa e tremendamente perplessa dalle sue confidenze. – Mia Signora, – dissi. – temo di non capire dove… – Dafne, – mi guardò con un fare materno che mi fece male. – sto cercando di dirti di non commettere i miei stessi errori. Sei molto giovane e forse adesso ti sembrerà di poter affrontare qualsiasi ostacolo da sola, per quanto esso sia difficile da superare. Ma restare sola non è la soluzione. –. Finalmente capii dove voleva arrivare e provai vergogna, anche se non sapevo esattamente per cosa. – Ci sono persone qui che tengono davvero a te e so per certo che tu tieni tantissimo a loro. Nessuno di loro capirà mai quanto sia pesante il fardello che sei costretta a portare, ma ti aiuteranno a portarlo se solo li lasci fare. Se ci lasci fare. –. Per un attimo trattenni il fiato, come se mi fossi dimenticata di come si respira e poi un fiume iniziò a sgorgare dai miei occhi gonfi ancor prima del pianto esasperato. All’improvviso tutta la rabbia, la sofferenza, lo stress accumulato, esplosero in me. Selma mi si avvicinò e mi abbracciò: non disse nulla e le fui grata per questo. Lasciò che mi sfogassi così, senza parlare; non c’era bisogno di spiegarle come mi sentivo, lo sapeva benissimo. Avevo sbagliato ad allontanare Angel e Tjana, così come sbagliavo a ripetermi che potevo farcela da sola. ‘Da grandi poteri derivano grandi responsabilità’ aveva detto lo zio Ben a Peter Parker ed era vero, ma non significava diventare martiri e lasciare ogni affetto alle spalle. Senza amore il mondo non potrebbe esistere. Mi asciugai gli occhi e sciolsi dall’abbraccio di Selma. – Grazie… – le dissi con voce ancora roca. Lei in risposta mi sorrise e si alzò per andarsene. – Immagino che ti serva il resto del pomeriggio libero. – disse prima di aprire il portone. – Parlerò io ad Angel. –. Mi rivolse una riverenza e uscì lasciandomi da sola in ufficio. Corsi alla scrivania e per la prima volta premetti il bottone sulla destra. – Cainnear? Sono io, non ci sono per nessuno fino a domani. – dissi ad alta voce. – Va bene, Vostra Gra… Dafne! – rispose la mia assistente attraverso l’altoparlante. Mi sistemai e corsi fuori dall’ufficio, salutando le guardie alle mie spalle. Corsi giù per le scale e fuori dalla Fortezza, dirigendomi ai campi d’addestramento allestiti. La riconobbi ancor prima di arrivare a destinazione: quel groviglio di ricci si vedeva da chilometri di distanza. Le corsi incontro e la colsi di sorpresa da dietro, saltandole in braccio, sotto lo sguardo impaurito e incuriosito dei bambini che stava addestrando. – Ma che cosa… Dafne! Voglio dire, Vostra Grazia! – esclamò, sconcertata. Io l’abbracciai più forte che potevo e soffocai i singhiozzi sulla sua spalla. – Mi dispiace… – sussurrai. – Mi perdonerai mai per la gran cogliona che sono? –. La sentii sorridere. Mi scansò con gentilezza e si rivolse a un Guardiano presente al campo con lei: – Dorean, pensaci tu con i mostriciattoli, d’accordo? La Suprema ha bisogno di me! –. Notai che i suoi occhi erano lucidi quanto i miei. Mi prese per mano e corremmo fianco a fianco dirigendoci verso la Fortezza. – Sappi che ti prenderò a schiaffi comunque! – disse quando arrivammo finalmente nelle mie stanze. Si sedette a terra com’era solita fare e rivederla lì mi fece sentire immediatamente meno vuota. – Tutto quello che vuoi, basta che non ti fai beccare dagli scimmioni. – risposi riferendomi alle Guardie che ormai erano appostate in ogni stanza maggiormente frequentata dalla sottoscritta. Tjana rise ma tornò quasi immediatamente seria. – Allora? Si può sapere cosa cazzo ti ha preso? – fece. Io inspirai profondamente e iniziai a raccontarle di tutto quello che avevo passato nelle ultime settimane, partendo dalla discussione con Reeze prima della sua partenza. Lei stette ad ascoltarmi senza interrompere, se non per lanciare imprecazioni o esclamazioni poco eleganti. Alla fine si alzò per abbracciarmi, promettendomi che mi avrebbe aiutato a picchiare Reeze non appena sarebbe tornato e mi mollò lo schiaffo promesso. – Così impari ad allontanarmi! –.

Passammo il resto della serata in camera a chiacchierare; all’ora di cena, mandai una delle mie Guardie a prendere la cena per me e Tjana, in modo da poter mangiare tranquille in camera mia. – Insomma Sandor ti sta sempre intorno, eh… – disse prima di avventarsi sul suo burrito. – Eh già. – risposi. – Ma è uno a posto! Mi ha aiutato un sacco nell’organizzazione delle truppe. Non avevo la minima idea di quante ce ne fossero. Siete davvero tantissimi! –. Tjana annuì. – Resta il fatto che a me quel tizio non piace, non mi è mai piaciuto. E’ un calcolatore. – fece. Alzai un sopracciglio. – Ma se non lo conosci nemmeno! – risposi io. Tjana alzò un sopracciglio e mi puntò il burrito contro. – Chiariamo una cosa sorella, – sembrava severa ma non sapevo se facesse sul serio. – io vivo qui da tutta la vita e di cose ne ho viste e sentite. Sandor iniziò l’addestramento poco dopo che fui Iniziata ed è sempre stato un ragazzino strano. Non era ben visto da nessuno: era raro che il figlio maschio di uno stregone nascesse senza un briciolo di magia in sé e lui non faceva niente per farsi piacere, anzi! Qualsiasi guaio succedesse, il tuo caro amico Sandor era nei paraggi. Una volta una bambina si era quasi rotta l’osso del collo cadendo da un albero. Il ramo si era misteriosamente spezzato e indovina? Sandor era lì. – Ma se lo hai detto pure tu che non ha poteri! – obiettai. Trovavo molto fastidioso che Tjana cercasse di incolpare Sandor solo perché diverso. Non lo era stato anche Reeze? Eppure con lui aveva stretto un buon rapporto. – Dafne, non si tratta di diversità. – fece lei e mi lanciò un’occhiata di scuse per avermi letto nel pensiero. – Sandor porta sfortuna, ovunque ci sia lui succede qualcosa di negativo. E poi Reeze si è riscattato: è diventato Capitano e ha riportato solo successi in missione; a Sandor non interessa, va semplicemente dal miglior offerente. Non so come tu abbia potuto chiedergli di entrare a far parte della tua scorta. – Perché ha talento. – risposi leggermente inacidita. – E finora non mi ha mai dato motivo di dubitare di lui. – Certo, ma intanto ha cercato di distoglierti da Reeze… – Solo perché mi concentrassi sui miei doveri. – Ne sei sicura? – le sue sopracciglia continuavano a essere aggrottate. Capii perfettamente dove voleva arrivare e trattenni a stento l’imbarazzo. – Sì Tjana, ne sono sicura. Non ha secondi fini. – Staremo a vedere. – concluse, chiudendo il discorso. Finimmo di mangiare in silenzio e poi ci sdraiammo sul mio letto. – Adesso però devi essere tu a raccontarmi! – dissi con tono malizioso e lei scoppiò a ridere. – Sissignora! – fece e iniziò a raccontarmi le sue ultime settimane, partendo dalla sera in cui Reeze era partito. – Era entrato infuriato in camera e mi aveva detto che stava per andare in missione e di tenerti d’occhio. Non mi ha lasciato nemmeno il tempo di fare domande. – confessò mentre con la mente tornavo a quella sera. – Ah! Poi mi ha chiesto di allenare Eva in sua assenza, è una ragazza sveglia sai? – arrossì leggermente. Non dissi nulla in proposito, me ne avrebbe parlato da sola quando se la sarebbe sentita. Continuò raccontandomi di quanto Angel fosse rimasto male per il mio atteggiamento e mi scusai nuovamente; si congratulò con me per l’Armeria nuova e disse che in Fortezza non parlavano d’altro. – Dicono tutti che stai dando del filo da torcere agli Anziani: le altre Supreme si occupavano perlopiù delle faccende militari e lasciavano il governo e tutto il resto al Consiglio, tu invece sei dappertutto! E alla gente questo piace. –. Sospirai di sollievo nel sentirglielo dire. Significava che mi stavo muovendo nel verso giusto. Continuammo a parlare fino a tardi e alla fine Tjana decise di restare a dormire in camera con me. Le prestai un pigiama e andammo a dormire, ma non prima di aver spettegolato ancora un po’. Al mattino dopo mi svegliai riposata per la prima volta dopo settimane. La luce del pallido sole autunnale iniziava a intravedersi da dietro le montagne. Ci alzammo e Tjana tornò in camera per prepararsi. La invitai a pranzare con me e lei accettò entusiasta. Dopo che uscì, mi preparai per affrontare una nuova giornata. Arrivai in ufficio dove mi aspettava Cainnear e la salutai con un ampio sorriso. – Vedo che siamo di buon umore oggi! – fece lei mentre sistemava la mia colazione sul tavolino. – Tre Capitani hanno chiesto udienza ieri; ho detto loro di passare in mattinata. E poi dovrai ricevere il Barone Holdrin in visita col figlio. – Di nuovo?! – sbuffai, abbandonandomi al divano. Cainnear sembrava scocciata quanto me: nelle ultime tre settimane mi ero ritrovata il Barone almeno una volta in settimana a domandarmi udienza, spesso accompagnato dal figlio Aman, un ragazzino piuttosto paffuto e dall’aria furba. Holdrin non aveva perso la speranza che il figlio potesse essere ammesso tra i Guardiani e stava cercando in tutti i modi di convincermi ad accettarlo. Era stato inutile cercare di fargli capire che delle ammissioni si occupava una commissione di cui non facevo parte e che nemmeno la mia influenza avrebbe potuto fare molto per il ‘piccolo’: se avevano deciso che non era adatto a fare il Guardiano, non lo avrebbe fatto. – Cercate di capire… – mi disse l’ultima volta che ripropose l’argomento. – La mia famiglia ha solo una possibilità, i secondogeniti non vengono presi in considerazione! – Barone, non posso cambiare leggi antichissime solo per far entrare il suo ragazzo. – risposi cercando di mantenere la calma. – Altererei un equilibrio che non deve essere alterato. – Sì, ma un Guardiano in più fa sempre comodo, no? – incalzò lui. Cercai di non alzare gli occhi al cielo, ma ci pensò Cainnear dietro al Barone. – Ascolti, facendo un'eccezione per Aman dovrei farla per ogni famiglia di alto lignaggio e, per come la vedo io, anche per quelle di rango inferiore. O tutti o nessuno, capisce? –. No. Non capiva per niente. E aveva continuato a richiedere udienza, facendomi perdere tempo. Me lo sarei trovato nuovamente tra i piedi e non ne avevo per niente voglia. Finii il mio caffè e lasciai che Cainnear portasse via il vassoio: avevo cercato di dirle che potevo benissimo fare da sola, ma lei insisteva con la storia che io fossi superiore a tutti e non dovevo abbassarmi a certi livelli. Mi misi seduta alla scrivania e accesi il computer che Erik mi aveva procurato, curandosi di renderlo più semplificato possibile, vista la mia totale ignoranza in materia di tecnologia. Accedetti al programma che mi permetteva di monitorare i progressi dei lavori in Armeria. “Sono arrivati a un buon punto.”, pensai dopo aver esaminato tutte le note integrative del progetto che man mano iniziava a prendere vita. Poco dopo, bussarono al portone e mi trovai con Cainnear che faceva strada a tre Capitani del battaglione Belfort: Nunghes, Dubrovnik e una ragazza che ricordavo chiamarsi Ragusa. – Accomodatevi. – dissi dopo che mi salutarono battendo i pugni sui rispettivi petti. – Vostra Grazia, – esordì Nunghes con uno strano tono formale; l’ultima volta che lo avevo visto era così ubriaco da non riuscire nemmeno a pronunciare correttamente il mio nome. – a nome di tutti e cinque i Capitani della Legione, le chiedo di inviarci in missione di soccorso. –. Alzai un sopracciglio, confusa: – Soccorso? Qualcuno dei vostri non è tornato? –. Cercai di ricordare tutti i rapporti che mi erano stati portati ma nessuno parlava di Guardiani non rientrati con il resto delle truppe. – No, Vostra Grazia. – disse Ragusa. Era una bella ragazza, anche se piuttosto mascolina nei modi. – Noi… noi vorremmo partire per soccorrere il Capitano Belfort. – Avete notizie di Reeze? – scattai in piedi, in preda al panico. Cainnear dietro ai Capitani mi lanciò un’occhiataccia che ignorai. – Nossignora. – riprese la ragazza. – Speravamo che le aveste Voi. E’ quasi un mese che è fuori da solo e non ci ha mai contattati, nemmeno una volta. Non sappiamo nemmeno dove sia di preciso. –. Sospirai e mi voltai a guardare fuori dalla finestra, cercando di calmarmi. Avevo preso il silenzio di Reeze nei miei confronti come segno che fosse ancora arrabbiato, ma speravo si tenesse in contatto con gli altri. – Purtroppo ne so quanto voi, se non addirittura di meno. – ammisi. – Vi chiedo di pazientare ancora un po’ e di non fare parola con nessuno di quello che vi ho detto. Se Belfort non dovesse tornare entro due settimane, partiremo tutti insieme, d’accordo? –. Annuirono tutti e tre. – Da adesso in poi, vi prego di rivolgervi al Generale Belfort per ogni aggiornamento a riguardo, sia richieste che notizie. Se avrò novità, sarete informati dal Generale per conto mio. – Grazie mille, Vostra Grazia! – disse Nunghes. Si congedarono e Cainnear li accompagnò. Rimasi da sola a riflettere: ma a che gioco stava giocando Reeze? Gli era davvero successo qualcosa?

– Dovresti mostrare più contegno davanti ai soldati. – mi rimproverò Cainnear una volta rientrata. – Non adesso. – le risposi. – E poi mi conoscono. – Sì, ma… – Sì, ma basta, Cainnear. – tagliai corto. – Quando arriva il Barone digli che ho da fare e non posso stargli dietro. Tornasse domani o, ancor meglio, non si facesse più vedere. – Mi avviai verso la porta. – Posso almeno sapere dove stai andando? – chiese lei infastidita dal mio comportamento poco professionale. – A cercare Angel. – risposi mentre attraversavo il portone. Mi ci volle quasi un’ora e mezza per trovarlo: Angel non si vedeva più spesso in giro e le informazioni che riuscivo a ottenere da chiunque incontrassi erano piuttosto contrastanti tra loro. Alla fine riuscii a trovarlo nel Parco degli Avi, la foresta che si trovava subito dietro la Fortezza, dove venivano sepolti i Guardiani morti. Non ero mai stata lì e mi fece strano pensare che Angel vi si fosse recato. Ero riuscita a scoprire che i suoi erano morti ed era stato adottato dai Belfort, la famiglia di mio padre, ma in un anno non mi era mai capitato di sentirlo dire di andare a piangere i propri cari. Quella foresta era molto buia: ogni due alberi c’era una torcia incavata nell’albero e qua e là spuntavano monumenti funebri e statue di marmo e altre pietre. Arrivai quasi fino alla fine del percorso e trovai Angel davanti a una statua alta due metri di marmo bianco in cui era scolpita una bellissima ragazza con i capelli al vento; in una mano impugnava lo scudo, nell’altra un arco. Capii che si trattasse di Isotta. Avvicinandomi, mi resi conto che Angel non era solo: davanti a lui c’era la figura di una donna che gli dava le spalle. “Selma!”, pensai. Stavo per girarmi e tornarmene alla Fortezza, ma qualcosa nello sguardo con cui Angel fissava Selma mi incuriosì a tal punto da farmi restare. Cercai di avvicinarmi in silenzio per ascoltare cosa si dicevano. – …sembra sia servito a qualcosa. – disse lui. Lei non gli rispose subito, intenta com’era a fissare la statua davanti a sé. – Le ho solo consigliato di non commettere i miei stessi errori. –. Angel sospirò. Sembrava triste e all’improvviso tutti i suoi anni, o per meglio dire secoli, riaffiorarono sul volto. – Non hai commesso errori, hai fatto quello che dovevi, come farà sicuramente anche Dafne quando sarà il momento. –. Selma si voltò a guardarlo finalmente e la vidi per la prima volta in lacrime; sembrava sconvolta. Sussurrò qualcosa e Angel cercò di abbracciarla, ma lei lo scansò e corse via. Angel rimase a fissarla mentre si allontanava, un braccio ancora alzato come se sperasse di poterla afferrare. Si voltò per andarsene e vidi un’espressione di dolore scavata sul suo volto. Vederlo così fu come una pugnalata al cuore.  – Angel… – mormorai annunciando la mia presenza. – Dafne…?! – alzò gli occhi da terra per guardarmi confuso. – Che ci fai qui? Da quanto tempo sei qui? – Da un po’… – ammisi imbarazzata. – Scusami… –. Lui abbozzò un sorriso: – Non preoccuparti, non potevi saperlo. –. Sapere cosa? – Ero venuta a cercarti, comunque. – dissi cercando di cambiare argomento. – Alcuni Capitani sono venuti da me sperando di ricevere notizie su tuo figlio. –. Lui mi fissò in modo strano; sembrava dispiaciuto. – Volevano partire per un soccorso, ho detto loro di aspettare altre due settimane e poi andremo insieme. – Mi sembra una buona decisione. – fece lui. – Anche se credo che Reeze stia per tornare. – Credi o sai, Angel? –. Il suo sorriso la disse lunga sui sospetti che avevo avuto. – Perché non vuoi dirmi dov’è? – domandai, anche se sapevo già che non mi avrebbe detto nulla. – Ho promesso, Dafne. – rispose. – E io le mantengo le promesse. –. Sbuffai. Ci incamminammo verso la Fortezza. – Perché Selma è corsa via in lacrime? – chiesi incurante di essere sfacciata a domandarlo. – Lo sai che non si origlia? – rispose lui, cercando di scherzare. Scrollai le spalle. – Sono la Suprema, più so meglio lavoro. – replicai con fare pratico. – Impicciandoti degli affari degli altri lavori meglio? – continuò divertito. – No, ma conoscendo meglio chi lavora per me e finora tutto quello che so di te l’ho appreso dagli Annali o dalle voci, non da te. –. Alzò un sopracciglio. – Perché hai letto gli Annali? – Per scoprire di più su Talerius, mi sembra ovvio! –. Angel si rabbuiò di nuovo e sospirò. – Tra me e Selma le cose sono sempre state… delicate. – confessò spiazzandomi. – Ricordi quando ti avevo detto che spesso capitasse che Custode e allieva si innamorassero? Ecco… io ero il Custode di Selma. –. Non riuscivo a credere alle mie orecchie. Angel e Selma! Li avevo sempre visti molto complici ma non credevo in quel senso. E non mi sembrava nemmeno di averne sentito parlare da qualcuno. – Insomma, per farla breve, me ne innamorai e credo lei ricambiasse ma poi le cose precipitarono e decidemmo di mantenere un buon rapporto professionale. E’ successo molto tempo fa, ma a volte fa male. – Che significa ‘precipitarono’? – chiesi assorta dalla scoperta che avevo appena fatto. Ci fermammo al limitare della foresta. – Sei una Guardiana Suprema, sai meglio di me quanto sia difficile riuscire a mantenere dei rapporti con le persone che ti circondano. E poi Selma era diventata un po’ paranoica, non si fidava più di nessuno, ma era giovane e per quanto cercassi di restarle vicino, lei mi respingeva. –. Immaginai una giovane Selma che, non so perché, mi assomigliava molto ed Angel, che assomigliava moltissimo a Reeze, intenti a discutere per delle banalità. Lui cercava di rassicurarla mentre lei portava avanti un’inutile discussione fino a farlo spazientire e andarsene. Mi venne la nausea. – Poi successe una cosa ancor più grave: Selma rimase incinta. –. Sgranai gli occhi, incredula. – Era al suo quinto anno di Guardia, aveva venticinque anni, poco più di una ragazza per noi e per di più non ci eravamo sposati, ma non era un problema. Lei però, testarda com’era, si ostinò a continuare ad andare in missione; all’epoca ne faceva moltissime poiché eravamo alla ricerca di tuo padre e durante una di queste ebbe un aborto. –. La sua voce sembrò spezzarsi. Stavolta non osai immaginare la situazione: non potevo, mi avrebbe fatto troppo male e poi non ci ero mai passata. “Spera di non passarci mai”, mi dissi. – Mi dispiace… – fu l’unica cosa che riuscii a dire. Angel abbozzò un sorriso. – Capirai da sola che le cose si fecero troppo tese e difficili. Cercai di non attribuirle nessuna colpa ma alla fine mi portò a urlarglielo contro e… beh, finì tutto. –. Fissai uno stormo di uccelli levarsi in volo e partire alla volta di un posto più caldo dove passare l’inverno. Selma aveva perso un figlio, il figlio di Angel. Il figlio che avrebbero cresciuto e amato. Ma lei era troppo giovane per capire che c’erano cose più importanti della Guardia, troppo giovane per metter su famiglia, troppo giovane per fare le scelte giuste. “Sei molto giovane e forse adesso ti sembrerà di poter affrontare qualsiasi ostacolo da sola, per quanto esso sia difficile da superare. Ma restare sola non è la soluzione”, mi aveva detto lei stessa. Adesso sapevo perché era venuta da me, perché non voleva commettessi i suoi sbagli e, in un certo senso anche quelli di Isotta. Lei voleva fossi migliore di loro e sapeva che non essendo cresciuta tra i Guardiani, avevo buone probabilità di diventarlo. – Reeze è alla tenuta, vero? – più che una domanda sembrò un’affermazione. Angel mi guardò incredulo e divertito allo stesso tempo. – Da cosa l’hai capito? – chiese. – Quando arriva il freddo gli uccelli migrano per non perire durante l’inverno e tornano in primavera, quando le tempeste di neve sono cessate. – risposi, guardando lo stormo allontanarsi verso l’orizzonte.

Lightbearer - La Portatrice di LuceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora