Capitolo 29

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La nostra piccola riunione privata fu bruscamente interrotta da Madame Debois e le sue assistenti. Rimase a bocca aperta vedendomi ancora in tuta: – Oh, Sacrebleu! – esclamò sconcertata. – Come osate? Dovreste essere già tutti pronti! Fuori di corsa a prepararvi! Allez! –. Preoccupati di un imminente esaurimento nervoso della Debois, i tre uscirono dalla mia stanza. Io fui costretta a buttarmi in doccia, con Madame che da dietro la porta mi sbraitava frasi per metà incomprensibili. Le sue due assistenti erano più spaventate di me. Quando uscii dal bagno, mi accorciarono in fretta e furia, mentre la Debois disponeva la pila di vestiti scelti da lei sul mio letto, analizzandoli in silenzio. – Metti questo. – disse infine, ancora stizzita. – Svelta, su! –. L’abito che scelse per l’occasione era nero, come mi aveva promesso. A suo dire richiamava l’eleganza e i colori della caccia. Mi ricordava molto gli abiti degli anni ’50: corpetto a sirena, stretto sul seno e legato dietro al collo, con una gonna ampia che scendeva dalla vita fino alle ginocchia. – Dove sono le tue collane? – chiese. – Non le ho più. – le risposi. Lei mi guardò contrariata: – Prendetemi delle perle. – ordinò alle sue assistenti senza distogliere lo sguardo da me. – Il portamento stasera, ragazza! – mi intimò. – Non ti permetterò di rovinare le mie creazioni. – Sissignora. – risposi. Mi guardai rapidamente allo specchio: i capelli erano raccolti in un morbido chignon laterale e il trucco molto leggero e naturale. Le perle davano un tocco in più al look già perfetto. La Debois mi spinse fuori dalla mia camera. Con rammarico, trovai ad attendermi Reeze, col suo abito elegante da cerimonia, nero anch’esso. Mi porse qualcosa. – Metti questo. – disse guardandomi con meraviglia. – E’ uno scialle, me lo ha dato la Debois stamattina. – Cosa ci fai qui? – chiesi mentre avvolgevo le spalle con il tessuto vellutato. Reeze si fece più duro. – Dafne, fa’ buon viso a cattivo gioco, ti prego. – disse supplichevole. – Oggi si festeggia la riuscita di Angel, non voglio rovinargli la serata diventando io il pettegolezzo, comprendi? –. Mi porse il braccio. Infilai il mio sotto al suo e ci incamminammo. – Questo non cambia come stanno le cose. – feci. – Ne riparleremo in un altro momento. – No, non credo. –. Arrivammo all’ultima rampa di scale; l’ingresso era stracolmo di persone. I loro volti si voltarono al nostro passaggio, fissandoci con ammirazione. Eravamo diventati la coppia più chiacchierata della dimensione ancor prima di ufficializzare la nostra relazione. Entrambi sorridevamo e salutavamo. Stavo male: mi sentivo come se stessi tradendo me stessa, ma dovevo farlo. Se non avessi presenziato o fossi andata da sola, i Guardiani non me lo avrebbero perdonato. Finalmente riuscimmo a entrare nella Sala, decorata ad hoc per la serata: lampadari di cristallo illuminavano il posto e bandiere sventolavano qua e là. Al tavolo principale, tutti gli Anziani si erano già riuniti. Angel spiccava con la sua eleganza e portamento. Indossava un lungo mantello nero che scendeva fino a terra e portava la sua tenuta da caccia migliore. Al nostro arrivo al tavolo, ci scambiammo convenevoli. – Vostra Grazia! – esclamò Magnus col suo solito fare mellifluo e nauseante. – Bella più che mai! – La ringrazio, Mio Signore! – risposi con un inchino. – Ci sono alcune questioni di cui vorrei parlavi più tardi, se non vi dispiace. – Oh, sì. Anch’io devo discutere con lei di alcune questioni. Ma parliamone dopo. – Ma certo, Vostra Grazia. –.

Prendemmo posto al tavolo mentre la Sala si riempiva. Quando fummo certi che tutti avessero preso posto, Magnus si alzò in piedi per fare un lungo discorso, tessendo le lodi di Angel e accertando che il Consiglio ha sempre creduto in lui e nelle sue capacità. Angel lo ringraziò e iniziammo a banchettare. Il cibo era ottimo, ma il mio stomaco si chiuse dopo pochi bocconi. – Mangia qualcosa. – mi disse Reeze. – Non vorrai che Klaus pensi che non hai gradito. – Se mangio altro vomiterò e lì sì che Klaus cadrà in depressione. –. Evitai anche di bere troppo: dovevo restare lucida quella sera. Finito il banchetto, toccò a me spendere qualche parola per Angel. Mi alzai in piedi battendo la forchetta sul calice per richiamare l’attenzione dei presenti, anche se non ce ne fu bisogno: non appena mi alzai infatti, tutti gli occhi furono su di me. – Questa serata non potrebbe essere più perfetta di così. – enunciai guardando tutti. – Non siamo qui solo per festeggiare la riuscita in quella che molti di noi ritenevano ormai un’impresa impossibile; siamo qui soprattutto a rendere omaggio all’uomo che l’ha resa possibile, che ci ha insegnato, con quest’esperienza, che non bisogna mai abbattersi e perdere la fiducia. La riuscita prima o poi arriva. Angel, – mi voltai verso di lui, rivolgendogli il sorriso più finto di tutta la mia vita – Se sono qui oggi è solo grazie a te. Sei stato il mio mentore, mi hai insegnato tutto ciò che so con pazienza e determinazione, nonostante non fossi un’allieva così facile. – molti risero alla battuta mentre io mi sentivo morire dentro. – Ma non sei stato solo questo: tu sei stato padre quando dovevo essere ripresa; amico quando avevo bisogno di conforto; fratello nel momento dello scontro. E voglio ringraziarti per questo a nome mio e di tutti i presenti. Brindo alla tua, al tuo coraggio e all’ambizione. Che questa sia solo una delle tante missioni che porterai a termine con successo. Al Generale Belfort! – Al Generale Belfort! – risposero tutti in coro. Angel chinò il capo in segno di riconoscenza. Io bevvi un sorso di champagne e mi rimisi a sedere. – Da quando sai fingere così bene? – chiese Reeze. – Non ho finto. – risposi. – Una volta quelle cose le pensavo davvero. –. Lui sembrò sul punto di dire qualcosa, ma Angel si avvicinò a noi. – Permetti? – chiese porgendomi la mano. Io la presi, sorridente, e ci avviammo verso il centro della Sala dove avremmo aperto le danze. – Ti ringrazio. – disse mentre la musica iniziò a suonare. – Non dev’essere stato facile per te venire qui oggi. – Aspetta. – dissi. Estesi la mia coscienza intorno a noi, creando una barriera attorno alle nostre menti. – Però. – commentò lui sorpreso. – Non pensavo fossi capace anche di questo. – Nemmeno io. – ammisi. – E prima che inizi a spiegare e cercare di convincermi a non odiare te e gli altri, sappi che non me ne frega nulla. – Non lo farò. – disse lui, sorprendendomi. – Non posso dissuaderti da tutto ciò che pensi di me adesso. Riguardo a Tjana e Reeze, beh, posso solo dirti che entrambi tengono molto a te e non meritano il tuo disprezzo, ma questo è solo un mio parere. – Dovrei punirvi tutti per quello che avete fatto. – affermai rivolgendogli un sorriso mentre volteggiavamo. – Ma questo non è il momento adatto per parlarne. Voglio che tu mi dica tutto ciò che sai sulle catacombe. – Non vuoi parlare di punizioni ma di questo sì? – il suo sarcasmo fu strano alle mie orecchie. Angel non mi parlava mai così. – Ho bisogno di informazioni e non ho molto tempo per cercare risposte, per cui sì. –. Angel mi fece girare su me stessa per poi stringermi più stretta in vita. – D’accordo. – fece. – Devi sapere che prima eravamo molto più… sanguinari di adesso. E anche più rozzi nei modi. Le cripte venivano usate come una specie di laboratorio dove i nostri Stregoni studiavano i demoni che venivano catturati, al fine di scoprire il più possibile sul loro essere. E’ così che è stato scritto il 'Demonium'. Comunque, – un’altra piroetta. – Presto ci rendemmo conto che torturarli non serviva a granché, molti nemmeno capivano la nostra lingua, così iniziammo ad ammazzarli, usandoli come cavie per gli allenamenti. Il problema è che non sapevamo ancora che non bruciando i corpi, questi potessero perdurare e spesso, riformarsi. Abbiamo iniziato ad accusare di pesanti perdite: i nostri impazzivano, si suicidavano o attaccavo i propri compagni, così costruimmo delle protezioni attorno alle catacombe. Tuo padre fu tra quelli che incantarono il luogo con potenti incantesimi. La magia nera, tuttavia, è più potente di quella bianca e, come puoi capire, alla fine fu tutto inutile. Una mattina, trovammo una cinquantina di corpi di bambini morti. Così Talerius e gli altri Stregoni chiusero quel luogo maledetto, sigillandolo. – Non avete bruciato i corpi? – chiesi inorridita dall’idea stessa di una pila di corpicini che bruciavano. – Non potevamo avvicinarci. – fece lui amareggiato. – Come ti ho già detto, la magia nera è molto più potente di quella bianca. – Ma i demoni non usano la magia. – Non quelli di rango inferiore. – Avevate dei demoni superiori lì dentro? – Avevamo di tutto là dentro, Dafne. Demoni, Stregoni, Streghe, Vampiri, Licantropi. Qualsiasi cosa ci servisse per comprendere meglio i nemici da combattere. –. Guardai Angel sconvolta. Le sue rivelazioni si erano rivelate davvero traumatiche per me. – Ma i Vampiri e i Licantropi… – Si sono schierati dalla nostra, sì. Ma solo dopo secoli di sanguinose battaglie. Quando si resero conto di essere rimasti in pochi, hanno accettato i nostri termini e da quel dì non ci siamo più dati fastidio. –. Un’altra canzone iniziò e noi continuammo a danzare sulle nuove note. Presto la pista fu piena. – C’è la possibilità che quei bambini siano tornati in vita? – chiesi. – Questo non posso dirtelo con certezza. – rispose lui. – C’è però la possibilità che se uno spirito di qualche Stregone sia perdurato, la sua magia possa aver contaminato i corpi per cui… – Per cui ci può stare un piccolo esercito di zombie là sotto. –. Iniziai ad avvertire un senso di panico. Il luogo più oscuro e pericoloso si trovava proprio sotto a quello che era considerato il posto più sicuro di tutte le dimensioni. – Perché nessun libro ne parla? – Perché nessuno, oltre agli Stregoni e agli Anziani sa della sua esistenza. Ogni prova è stata distrutta. – Voi avete cancellato la memoria dei Guardiani. – constatai. – Già. Si fa tutto il possibile per mantenere l’integrità della Congrega. –. Gli rivolsi uno sguardo pieno di disgusto. Lui sembrò fregarsene. Finalmente vedevo Angel in ogni sua sfaccettatura: non era poi così diverso da Magnus. Entrambi, non vedevano altro che il potere della Congrega. – Mi creerai un diversivo stanotte. – dissi. – Stanotte? – esclamò lui incredulo. – Non vorrai davvero andare là dentro stanotte! – Io non ho tempo, Angel. E ho già deciso. Tu preoccupati delle Guardie alle prigioni, io mi preoccuperò di entrare alle cripte. –. Tornammo finalmente al tavolo; i miei piedi iniziavano ad accusare i tacchi alti a cui erano costretti. – Devo preoccuparmi? – chiese Reeze scherzando. – Vuoi forse fregarmi la dama, papà? – Ma figurati! – rispose Angel dando una pacca sulla spalla al figlioccio. Non passò molto tempo che Magnus si avvicinò nuovamente a me. – Capitano! – disse a Reeze. – Potrei rubarvi la nostra beneamata Guardiana Suprema per qualche istante? – Faccia pure, Mio Signore. – Reeze si allontanò lasciandoci soli. – Una festa molto ben riuscita. – disse il vecchio. – Sono felice che voi e il Generale abbiate chiarito il vostro piccolo battibecco. – Veramente non lo abbiamo fatto. – ammisi. – Semplicemente, non ho voluto rovinargli una meritatissima festa. – Capisco… – rispose lui con gli occhietti che scrutavano la platea danzante davanti a noi. – Allora. – dissi rivolgendogli un sorriso incoraggiante. – Voleva parlarmi di quelle famose questioni… – Sì, Vostra Grazia. – fece lui, improvvisamente radioso. – Immagino vogliate essere voi stessa a giustiziare il traditore. Volevo suggerirvi di farlo all’Arena durante il tramonto. Avrebbe un non so che di romantico, non credete? – La ringrazio del consiglio, Mio Signore. Ma prima di parlare di questo, vorrei interrogare il Traditore e processarlo nuovamente. – E perché, Vostra Grazia? – il suo tono salì leggermente. – E’ stato già condannato a morte dal Consiglio. – Sì, secoli fa. – risposi. – Voglio interrogarlo sul suo ruolo nelle aggressioni alla mia persona, nonché sull’Ingannatore. Ho motivo di credere che i due siano in combutta. E il nuovo processo servirà a muovere nuove accuse. Ripeto: sono stata personalmente aggredita da quel bastardo e voglio sapere cosa ci sia sotto. Finché non mi darà informazioni, non verrà giustiziato. Spero possiate capire le mie motivazioni. So che ritardare la morte di quell’essere spregevole deve pesarle molto, ma abbiamo tra le mani una risorsa preziosa e voglio sfruttarla. – Ma certo, Vostra Grazia. – rispose Magnus. – La prego inoltre di fare presente al Consiglio la mia decisione, se non è di troppo disturbo. – Figuratevi! Lo farò subito. – si inchinò, lasciandomi sola. Passai il resto della serata a parlare con i vari Capitani e un numero indefinito di altri Guardiani. La cosa positiva era che stare assieme a loro, non mi obbligava a stare con Reeze a tutti i costi.

Verso mezzanotte, con la scusa di essere stanca, salutai i presenti e mi avviai assieme al mio compagno verso la mia stanza. A mano a mano, la Sala prese a svuotarsi. Raggiungemmo il piano dei dormitori e finalmente mi liberai delle scarpe. Entrati in camera, mi buttai a letto e massaggiai i piedi. – Detesto le feste. – dissi mentre buttavo la testa sul cuscino, deformando l’acconciatura perfetta della Debois. – A me non dispiacciono. – disse Reeze. – Almeno ho l’occasione di vederti diversamente dal solito. – Ti consiglio di disabituarti a vedermi. – feci io. – Per quanto mi riguarda, questa farsa durerà ancora qualche tempo, poi decideremo di voler avere un rapporto di amicizia, vista la mia totale devozione alla ‘nostra causa’. –. Sentii Reeze sbuffare: – Non riesci a passarci sopra, vero? – Passarci sopra?! – sbottai. – Tu mi hai usata. Hai finto di essere d’accordo con me per poi pugnalarmi alle spalle nel modo più squallido che conosca. Per non parlare del fatto che ti sia prostituito per il tuo caro paparino! –. Reeze scoppiò a ridere, irritandomi ancora di più. – Ridi ridi. – dissi. – Non so se mi faccia più schifo tu o lui. – Al mio posto avresti agito allo stesso modo. – rispose, improvvisamente serio. – No, caro. Io ho una dignità. – Sei assurda, sai? – sbottò di colpo. – Non ci provi nemmeno a vedere le cose da un’altra prospettiva che non sia la tua. Ah, e dai dell’egoista a chi si è venduto l’anima per proteggere questa e altre comunità, quando in realtà l’unica egoista sei tu. – Sì, come ti pare. –. Mi alzai dal letto e andai in bagno a lavare via il trucco e sciogliere i capelli. Quando tornai in camera, Reeze era ancora lì. – Non vai a prepararti? – chiesi mentre prendevo la tenuta da caccia dall’armadio. – Sei davvero convinta di volerlo fare? – domandò lui in tutta risposta. – E se ti sbagliassi? – Se mi sbagliassi, – risposi. – ucciderò un innocente e voi porterete questo fardello insieme a me. –. Poco dopo, Reeze tornò in camera sua, lasciandomi a terminare i preparativi. Il piano prevedeva che io mi teletrasportassi direttamente ai piani inferiori, mentre lui doveva raggiungermi assieme a Tjana. Angel invece, doveva occuparsi delle Guardie, in modo che noi potessimo passare inosservati e cercare di entrare nelle cripte. Attesi l’ora stabilita e, dopo aver sentito le Guardie alla mia porta chiacchierare con Reeze, mi trasformai e teletrasportai. In qualche secondo, mi ritrovai in un corridoio buio e vuoto che portava dritto alle prigioni. Non c’erano guardie in giro e il portone d’ingresso alle celle era serrato. Da dentro, sentivo provenire voci e risate, tra cui riconobbi quella di Angel. A quanto pareva, aveva deciso di portare la festa a chi non aveva potuto presenziare in Sala. Sorpassai l’ingresso alle prigioni e continuai dritta per qualche metro, finché non mi trovai la strada sbarrata. In effetti, il muro che avevo dinnanzi sembrava più recente rispetto a quelli delle pareti circostanti. Attesi in silenzio, prestando attenzione a ogni rumore. Qualche minuto dopo, sentii il suono familiare dei passi felpati di Tjana, dietro di lei, Reeze procedeva furtivo. – Stavo iniziando a pensare che mi aveste abbandonata. – bisbigliai. Non fare la melodrammatica. rispose Tjana nella mia mente. Erano entrambi in vesti da caccia e armati fino ai denti. E’ qui? chiese. Annuii. Avvicinai la mano al muro, lo sguardo preoccupato di Reeze puntato addosso. La poggiai e sentii uno strano torpore. Era innaturale visto che le rocce con le quali era costruita la Fortezza erano dure e fredde. Questo era invece caldo e, in un certo senso morbido al tatto. – Questo non è un muro vero. – feci. Cosa? – E’ solo una proiezione. Qui non c’è roccia. –. Continuai a tenere la mano premuta e delicatamente accarezzai la superficie. Non avevo idea di cosa stessi facendo; era come se la mia mano fosse guidata da sola. Posai anche l’altra e spinsi. Come se fosse fluido, il muro assorbì entrambi i miei palmi. Tjana e Reeze guardavano stupiti. – Andate. – dissi. Loro mi sorpassarono e attraversarono il muro come se niente fosse. Io li seguii con il cuore che batteva a mille. Ci ritrovammo in un corridoio illuminato da delle torce, il che era davvero strano. – Come fa a esserci luce qui se l’accesso è chiuso? – chiese Tjana perplessa. – Non lo so. – fece Reeze, sfoderando la lama e mettendosi in posizione. Eravamo tutti e tre in guardia e avanzavamo lentamente. Il corridoio era lungo e lercio, intriso di puzza di demone. Arricciai il naso e cercai il più possibile di respirare con la bocca. Dalla parte opposta all’entrata, trovammo una porta di ferro battuto chiusa. – E adesso? – domandò Tjana, caricando la balestra. – Adesso, – risposi mentre sfoderavo Speranza. La lunga lama affilata scintillò alla luce della torcia appesa alla parete vicina. – Si inizia a giocare. –. Aprendo il palmo della mano di fronte alla porta, la feci esplodere. – Magari potevi fare meno chiasso! – mi rimproverò Tjana, coprendosi il naso e la bocca dalla polvere che avevo innalzato. – Se sapessi cosa sto facendo esattamente, magari… – disi tra me e me. Avanzai lentamente. La Sala in cui mi trovavo ora era ampia. Notai che era spoglia, nonostante anche lì ci fossero torce appese al muro. – Non c’è nulla qui… – Tjana si rabbuiò: sebbene non fosse stata inizialmente entusiasta, l’idea di combattere la eccitava. – Più avanti. – feci, mossa da una strana sensazione. Non avvertivo presenze in quel posto, ma qualcosa indubbiamente c’era, me lo sentivo. Mentre avanzavamo, si iniziarono a intravedere le prime celle; le grate erano state parzialmente o completamente distrutte: alcune corrose, alcune forzate, alcune rosicchiate. – Ma che diavolo ci tenevano qui? – Tjana fissava disgustata le chiazze di sangue - demoniaco e non - che tappezzavano pareti e pavimento. – Di tutto… – risposi cercando di non badare troppo a tutto quel sangue raggrinzito. – E quello che diavolo è? – esclamò Reeze, piazzandomisi davanti. Ci trovammo davanti a una cella più ampia delle altre e, a differenza delle altre, illuminata da delle proprie torce. In fondo, attaccato alla parete, c’era una specie di tavolo. Sul muro dietro a questo spiccava un ghirigoro dalla forma strana, dipinto con quello che sembrava essere sangue umano. Reeze fissava il simbolo sconvolto; non lo avevo ancora mai visto così. – Reeze… – mi avvicinai a lui con cautela. – Va tutto bene? –. Mi resi conto che tremava leggermente. Mi assalì il panico; Tjana dietro di noi si guardava attorno, spaventata. – Ho passato l’infanzia a subire torture di ogni genere… – la voce di Reeze era rotta. Era davvero terrorizzato. – Ho cancellato quei ricordi, li ho seppelliti e mai più ricercati… E adesso… questo… non posso crederci. – Reeze, parlami! – gli scossi il braccio. – Che cos’è quel simbolo? – E’ il marchio di Yfrit, Dafne. – disse Tjana alle mie spalle. – Quello è il marchio dell’Ingannatore. E… quello sotto è… – L’altare sacrificale… - Reeze terminò la frase con un sussurro. Il mio stomaco si rivoltò. “Bambini trovati morti…”, pensai inorridendo. Strinsi la mano di Reeze nella mia, non osando nemmeno immaginare cosa provasse in quel momento. Talerius sosteneva che qui avrei trovato risposte, ma adesso avevo ancora più domande. – Pensi che lo abbiano mai evocato da qui? – chiese Tjana a Reeze. Lui annuì: – E’ possibile… ma perché? Chi farebbe una cosa simile? – Qualcuno che ha bisogno di potere. – dissi. – Quindi direi che gli Stregoni sono esclusi. – Non puoi evocare un demone se non hai poteri, Dafne. – Tjana lo disse come se fosse ovvio. – Invece sì. – protestai. – Sai quante sette esistono sulla terra? I Comuni non hanno poteri, eppure riescono a evocare demoni minori che si spacciano per quelli di rango superiore. – Appunto! – esclamò lei. – Un demone superiore non può essere evocato da un Comune mortale. – Qui nessuno è un Comune mortale. – sussurrò Reeze. Tjana e io restammo in silenzio; era vero, i Guardiani non erano dei comuni mortali. Qualcosa dietro noi si mosse. Istintivamente, portai in alto la spada. Tjana si voltò con la balestra pronta a colpire. L’unico che non si mosse era Reeze. – Voi non siete il Padrone. –. Il bambino davanti a noi era scheletrico, la pelle grigiastra e gli occhi vuoti. Era terribile. – Non dovreste essere qui. –. La sua vocina era priva di vita. Non c’era vita in lui. Tjana non esitò e lo colpì in pieno volto. La freccia oltrepassò il cranio e il bambino cadde a terra con un tonfo. – Dobbiamo andarcene da qui… – fece lei, in preda al terrore. Reeze non si muoveva, fui costretta a prenderlo di nuovo per il braccio. – Andiamo! – intimai, ma prima che potessi trascinarlo, un urlo squartò l’aria. Tjana guardava inorridita il bambino rialzarsi con la freccia che gli passava da una parte all’altra della testa. – Non potete andarvene. – il ragazzino emise un fischio. Di colpo, dietro a lui, apparvero altri corpicini vuoti, morti. – Reeze… – sussurrai. Finalmente si voltò a guardare. Non mi accorsi nemmeno che si fosse trasformato. Ringhiò forte e si gettò sui bambini. – Correte! – urlò a me e Tjana mentre squartava quei corpicini a mani nude. Tjana mi prese per il polso e trascinò via, correndo. – Non possiamo lasciarlo lì! – protestai. – Dafne, non c’è tempo! – Tjana si fermò alla vista di altri bambini zombie davanti a noi. – Ma quanti cazzo sono?! – urlò mentre caricava la balestra. Io feci roteare la spada e trapassai il bambino più vicino. La sua carne era insolitamente morbida, come se fosse marcia. Trattenni un conato e continuai a menare fendenti, mentre la cerchia si stringeva attorno a noi. – Sono troppi! – esclamò Tjana. Ci eravamo trovate schiena contro schiena mentre venivamo accerchiate da quegli esseri immondi. E il numero aumentava poiché tutti quelli che riuscivamo a mandare giù, tempo qualche secondo e si rialzavano. Sentii Reeze urlare dietro a noi e fu in quell’istante che la sentii fin dentro le vene: la magia si stava risvegliando in me, più forte che mai. Con un solo colpo, proiettai uno scudo di luce che scaraventò i bambini che ci accerchiavano. Tjana mi fissò esterrefatta mentre tornavo indietro. Raggiunsi Reeze, steso a terra, con i ragazzini dai volti maligni che lo graffiavano e mordevano ovunque. In preda alla rabbia, alzai il braccio e li scagliai in aria, lontano dal corpo del mio amato. Lo presi per un braccio e sorressi. – Stai bene? – chiesi. Le sue ferite iniziarono a cicatrizzarsi sotto i miei occhi. – Sì… – ansimò lui. – Corri a dare una mano a Tjana! – urlai mentre i bambini avanzavano verso di noi, minacciosi. – Non ti lascio qui! – tuonò. Lo guardai per un istante. Di colpo, avvicinai il mio viso al suo e gli diedi un bacio. Le sue labbra premerono prepotenti contro le mie. – Me la cavo. Tu va’! – dissi. Mentre lui scattava, io tornai ai nostri piccoli nemici. Per un attimo, ripensai alla ragazzina posseduta de ‘L’Esorcista’ e mi vennero i brividi; questi erano ancora peggio. – Volete giocare? – feci con rabbia. – Giochiamo allora! –. Con la spada in mano, guidata dalla forza interiore appena riscoperta, continuai a mandarli a terra. Sebbene lo sforzo di usare la magia non mi costasse troppo, erano troppi. Poi, di colpo, mi tornò in mente l’unica cosa che forse ci avrebbe salvati da quei demonietti: il fuoco! Mi voltai alla ricerca della torcia più vicina. Non avevo ancora imparato a controllare gli elementi; finora riuscivo con la terra e con l’aria, sperai con tutta me stessa che col fuoco non fosse diverso. Chiusi gli occhi per un momento e cercai di raggiungerlo, di farlo mio. All’inizio lo sentii bruciare e mi feci male, ma poi quella sensazione si trasformò; capii di essere riuscita a domarlo e lo richiamai a me. Nello stesso istante, sentii calore sul palmo della mano. Aprii gli occhi e la vidi: una perfetta sfera di fiamme, pronta ad essere lanciata. Sorrisi mentre i ghigni del bambini zombie si facevano sempre più vicini. In un solo colpo, ne trafissi una ventina, trapassandoli da una parte all’altra. I loro corpi caddero, tutti tagliati in due e, prima che potessero ricomporsi, lanciai la sfera di fuoco. Nell’istante esatto in cui toccò i corpicini morti, questi presero a bruciare. Delle urla disumane uscirono dalle loro gole morte. Quelli che erano ancora in piedi arretrarono. Con la forza della mente, li bloccai e trapassai uno a uno. La mia spada grondava di sangue nero. Pian piano che cadevano inermi, li gettavo nella pira che avevo creato. Finito lì, corsi da Tjana e Reeze. I due erano stremati e frustrati: non riuscivano a mandare giù nessuno dei nemici. Stufa, rinfoderai la mia spada e aprii entrambi i palmi delle mie mani, creando una sorta di filo incandescente di fuoco vivo. – Spostatevi! – urlai ai miei amici. –. Reeze prese in braccio Tjana e fece un balzo all’indietro di almeno sei metri. Io lanciai il fuoco sui bambini che arsero all’istante. Attesi che i corpicini venissero consumati dal fuoco. Nessuno di loro ora avrebbe potuto rialzarsi. Quando anche l’ultimo corpo fu consumato dalle fiamme, richiamai il fuoco a me. Le fiamme si spensero, lasciando solo il fumo tossico e puzzolente dei corpicini indemoniati. Tjana e Reeze mi fissavano sbalorditi. Io avanzai verso loro, calpestando quello che restava dei bambini. – Non avrebbero mai dovuto trovarsi qui. – dissi non appena fui vicina ai due. – Spero di averli liberati dalla loro maledizione. Andiamocene, datemi le mani. – Cosa vuoi fare? – chiese Reeze perplesso. – Non possiamo uscire dall’ingresso principale. Ci teletrasportiamo. –. I due posarono le loro mani sulla mia e io chiusi gli occhi, espandendomi verso loro. Non appena fui sicura di avere il controllo, un bagliore di luce ci avvolse, facendoci abbandonare quel luogo maledetto.

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