Mi svegliai alle prime luci dell’alba; avevo dormito veramente bene! Mi lavai in fretta e vestii. La tenuta da caccia pensata per me da Madame Debois mi calzava a pennello, ancor meglio della tuta da allenamento.
Presi il pugnale regalatomi da Oleg e lo infilai nell’anfibio sinistro, mentre la spada era accuratamente foderata sulla mia schiena. “Pronta”, pensai.
Uscendo chiusi la porta a chiave e andai a bussare a Tjana ma non trovai nessuno. Dispiaciuta di non poterla salutare, mi diressi in cucina dove Reeze mi aveva dato appuntamento la sera prima.
Klaus aveva già disposto la mia colazione sul tavolo quando arrivai. Altre cinque o sei persone erano in cucina, intente a fare colazione. Avevano tutti indosso la tenuta da caccia. “Gli uomini di Reeze”, pensai.
– Finalmente sei scesa! Ti consiglio di legare i capelli, nel caso in cui ci dovesse essere un po’ di azione! – Tjana si avvicinò a me raggiante.
– Verrai con noi? – chiesi, sorpresa. – Certo che verrò! – esclamò lei stupita. – Pensavi che ti avrei lasciata partire senza di me? E’ la tua prima missione, non potevo mancare! –. Si sedette accanto a me e finimmo la nostra colazione.
All’entrata in cucina di Reeze, tutti gli uomini, Tjana compresa, scattarono in piedi e lo salutarono.
– Siete tutti qui, bene! – disse lui, rivolgendo a me un gran sorriso. Sentì Tjana accanto a me brontolare un ‘Ti prego!’.
– Andiamo in Armeria a finire i preparativi. Prendete armi leggere, non credo troveremo grosse difficoltà. –.
Mi si avvicinò e sussurrò: – Tu vieni con me, ho una cosa per te. –. Annuii e lo seguii. Era più distaccato, probabilmente per mostrarsi professionale davanti ai suoi uomini.
Arrivati in Armeria ci dirigemmo al Settore B, specializzato in balestre e archi. Se ne occupava una donna minuta, con strani capelli corti e ispidi, color grigio argenteo.
– Capitano, Vostra Grazia! – si inchinò al mio cospetto. – E’ un onore avervi qui. Allora… – proseguì rivolta a Reeze. – I guanti sono pronti, così come le freccette. Volete vederle? – Certo, Lathias. – rispose lui.
La donna-istrice gli porse due guanti di pelle neri, con tre fori ciascuno da cui spuntavano tre frecce molto corte e altrettanto appuntite.
– Ho avuto tempo di fabbricare solo una ventina di ricariche, – confessò Lathias. – per la prossima volta ne produrrò di più. – Hai svolto un lavoro eccellente, grazie! – disse Reeze intento ad analizzare l’arma.
Infine, me li porse dicendo di metterli. – Tendi il braccio davanti a te, così, brava… – mi illustrò la posizione. – E adesso colpisci quel bersaglio, chiudendo la mano a pugno. –. Io eseguii; una microfreccetta partì velocissima e colpì il fantoccio di legno davanti a me, al centro del collo.
– Molto bene! Brava. – disse Reeze.
Lathias poi mi passò un marsupio con le munizioni e mi spiegò come ricaricarle, dopo di che, ci congedammo e dirigemmo ai Portali, dove il resto della compagnia ci aspettava.
– E questi?! – esclamò Tjana quando vide i miei guanti. – Ne voglio un paio anch’io! – si lagnò. – Kandori, ordine! – impose Reeze con un tono che non ammetteva repliche.
Si disposero tutti in fila davanti a noi; in totale eravamo una decina.
Oltre a Tjana e me c’erano altre due Guardiane donne, il resto erano uomini. Molti di loro notai, avevano, o almeno sembravano avere la mia età.
– Quest’oggi il vostro compito sarà quello di coprire le spalle mie e della Guardiana Suprema da eventuali pericoli. Perlustrate il perimetro e avvisatemi in caso di pericolo imminente. Il Portale ci porterà a circa un chilometro dalla nostra destinazione. Voi andrete avanti. Comunicheremo tramite segnalatori. Tutto chiaro? – Sissignore! – tuonarono loro all’unisono.Ci avvicinammo a un Portale: erano delle pedane rettangolari a terra che emanavano dal basso verso l’alto una luce rosastra. A uno a uno, gli uomini di Reeze e Tjana attraversarono la luce, scomparendo.
– Sei pronta? – mi chiese lui, leggendo la mia preoccupazione sul viso. – Sì. – risposi. – Andiamo! –.
Entrai nella luce e tutto intorno a me iniziò a vorticare a ritmo rapidissimo. Mi sentivo come se qualcuno da dietro mi spingesse. Pochi secondi dopo, ero nel familiare bosco che circondava la collina su cui era stata costruita casa mia - o quello che ne restava.
Da piccole, papà portava spesso me e Livya in quei boschi a cercare funghi. Lei era brava anche in quello, mentre gli unici funghi che trovavo io erano tutti velenosi. Mi si strinse il cuore a ripensarci.
Reeze dietro di me mi mise una mano sulla spalla. – Stai bene? – chiese. Io annuii, al che ordinò ai suoi uomini di sparpagliarsi e controllare la zona.
– Casa mia è a nord rispetto a dove ci troviamo ora. – spiegai loro. Partirono tutti, veloci e furtivi, mentre Tjana era ancora con noi, intenta ad avere una conversazione telepatica con Reeze.
– Bene. – disse alla fine e scattò in alto, aggrappandosi a un albero, diretta nella parte opposta rispetto alla meta.
– Cosa le hai detto? – chiesi a Reeze, mentre questi estraeva la balestra dalla sua cintura. – Non ha importanza adesso, va’ avanti. – mi disse. Camminammo silenziosi; lui scrutava la fitta boscaglia davanti a noi.
Dopo una ventina di minuti arrivammo alla fine del bosco e la vidi: quella che una volta era una villetta unifamiliare dove avevo passato tutta la mia vita ora era ridotta a un cumulo di macerie annerite.
Una parte, non sapevo per quale miracolo, si reggeva ancora in piedi, sebbene avesse risentito delle fiamme.
Mi venne un groppo alla gola. Quella era la tomba della mia famiglia.
L’ultima volta che ero stata lì era notte e con il buio il devasto non era stato così evidente, ma adesso che era giorno riuscivo a vedere tutto.
All’improvviso scattai: non mi importava di Reeze che mi urlava dietro di fermarmi, io dovevo sapere.
Mi aggrappai al muro ancora in piedi e lo risalii. La stanza di sopra era pericolante, ma non mi importava. Ironia della sorte, si trattava della camera dei miei genitori. Era tutto bruciato e annerito. Molti dei mobili he mio padre aveva fatto arrivare direttamente dalla Svezia erano stati ridotti in cenere. La porta del guardaroba era per metà arsa insieme a tutto il resto. Sotto di essa, a terra, trovai una vecchia foto incorniciata; era rovinata ma recuperabile. Ritraeva tutti e quattro, sotto la Sagrada Familia a Barcellona; una delle ultime vacanze che avevamo passato insieme.
Ai miei piaceva molto viaggiare: tenevano un atlante in cui segnavano col pennarello rosso tutti i posti in cui erano già stati, alcuni visitati prima di avere me e Liv.
Tolsi la foto dalla cornice e me la infilai nel marsupio dove tenevo le munizioni per i guanti.
Reeze mi raggiunse. – Sei pazza? Non è sicuro qui! – esclamò amareggiato. – Se ci sono delle risposte le troveremo qui. – risposi con tono saccente.
Aprii ciò che restava della porta davanti a me e questa si staccò del tutto, restando nella mia mano. La buttai a terra ed entrai nella cabina armadio dei miei. La maggior parte delle cose era bruciata, insieme a tutto il resto, ma al centro, dietro un mucchio di abiti bruciati, c’era quello che speravo ci fosse: la cassaforte.
Mio padre si era rivolto a un azienda americana, leader nelle produzione di sistemi di sicurezza. Trovandoci in campagna, piuttosto fuori dal centro abitato, avevamo bisogno di un allarme che funzionasse perfettamente, onde evitare che i ladri ci svaligiassero casa. Insieme al sistema di sicurezza, come regalo, ci avevano regalato la cassaforte ‘a prova di esplosione’, (mio padre aveva speso un patrimonio, quindi mi sembrava il minimo che potessero fare).
Ringraziai il cielo che il tizio che aveva venduto il tutto a mio padre, non ci avesse truffati ‘regalandoci’ una ciabatta.
La porta della cassaforte era annerita, dovetti sforzare la vista per riuscire a vedere i numeretti intorno alla manopola di apertura. “20 05 90”, pensai digitando i numeri, nella speranza che i miei non avessero cambiato la combinazione dall’ultima volta.
Mia madre mi aveva beccata a prendere i soldi da là un giorno; mi avevano fatto una lavata di testa che non finiva più, visto e considerato che, per fare la simpatica, avevo detto loro di spenderli in droga.
Con mio immenso sollievo, la cassaforte si aprì, cigolando. All’interno, intatti, c’erano i gioielli di mia madre, un bel gruzzo di banconote e due pile di documenti, ben ordinati.
– Però… – disse Reeze alle mie spalle. – Cosa ci farai con tutto quel denaro? – chiese incuriosito. – Lo darò in beneficenza. Non mi servono i soldi. – risposi iniziando a sfogliare la prima pila di fogli. – Forse sarebbe meglio portarli via, invece di stare qui, non credi? – fece lui. – E se poi non c’è nulla di utile? – replicai. – Queste sono solo fatture. Cazzo! – mi stavo innervosendo.
Stare lì di nuovo, dopo tutto quello che era successo, mi faceva sentire tesa oltre ogni limite.
– Qui non c’è nulla. – feci alla fine.
Possibile che, se davvero mi avessero adottata, non avessero conservato nemmeno uno straccio di documento a riguardo?
Mi sporsi di più per vedere se ci fosse qualcosa in fondo alla cassaforte. Toccai qualcosa di duro. Lo presi e tirai fuori; sembrava un vecchio quaderno, rivestito in pelle marrone scuro.
Soffiai via la polvere e lo aprii. Vedere la scrittura bella, tonda e lineare di mia madre mi strinse il cuore. Lessi qualche frase: era un diario.
Nella pagina su cui avevo posato gli occhi, raccontava del loro viaggio in Australia. “Un diario di bordo”, pensai. Le date risalivano a molto tempo prima che nascessi; i miei si erano conosciuti alle scuole superiori e, una volta finite, avevano fatto coppia fissa.
Viaggiare li appassionava tantissimo. Sapevo dai racconti di mia madre che durante gli anni dell’università, scappassero per intraprendere dei favolosi viaggi appena potevano.
In uno di questi - dopo che si furono sposati - concepirono me, o almeno questo era quello che mi avevano detto.
Continuai a sfogliare il diario di mia madre fino a che non arrivai a una data precisa: 26 agosto 1994. Era il giorno del mio compleanno. All’epoca i miei si trovavano a Cracovia, in Polonia.
‘Caro Diario,’ scriveva mia madre, ‘Cracovia è stupenda, come del resto tutto il paese! Il Rynek Glówny è colorato e splendido. Ieri con Salvo abbiamo mangiato i pierogi con i mirtilli più buoni che avessi mai assaggiato. Tra poco, partiremo alla volta del Castello di Wawel per visitarlo…’.
La pagina continuava a raccontare dei monumenti bellissimi che avevano già visitato, dei giardini, le persone che avevano conosciuto.
Più avanti, con una scrittura di colore diverso e sbrigativa, mia madre continuava: ‘alla Cattedrale di Wawel abbiamo trovato una donna in stato pietoso: probabilmente una senzatetto. Dio sa cosa sia successo a quella poveretta! La donna aveva con sé una bambina appena nata…’
Il mio cuore si fermò. Continuai a leggere: ‘Salvo voleva portarla all’ospedale, ma la donna non voleva. Si era allontanato a chiamare un’ambulanza, quando la donna si accasciò a terra. Era davvero messa male! Mi guardò con i suoi occhi blu e mi chiese di portare la bambina con noi, di metterla al sicuro. Era terrorizzata! Quando Salvo tornò, la donna non respirava più. Gli dissi della sua supplica e Salvo rimase di stucco. So benissimo che questo ci comporterà delle spese impreviste, ma alla fine abbiamo deciso di tenere la piccola. Forse la porteremo all’orfanotrofio domani.’
Era vero. Non ero figlia di quelli che avevo sempre creduto i miei genitori. Girai pagina e continuai a leggere. La data riportata era quella del 27 agosto, il giorno dopo, ovvero lo stesso in cui stavo leggendo, solo diciott’anni prima.
‘Abbiamo deciso di stabilirci per un po’ qui. Non porteremo la bambina all’orfanotrofio. Salvo si è già messo in contatto con persone che potrebbero aiutarci. Abbiamo deciso di chiamarla Dafne. Torneremo a casa quando si sarà sistemato tutto...’
Smisi di leggere. – Trovato. – mormorai a Reeze. – Cos’hai trovato? – mi chiese, mentre sistemavo tutto nella cinta. – Dopo. Possiamo andare. –.
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Lightbearer - La Portatrice di Luce
FantasyDa millenni ogni dimensione viene protetta dall'Oscurità dalla Congrega della Luce, senza esserne spesso a conoscenza. I Guardiani della Luce vivono in una loro dimensione e si curano di mantenere in vita ogni creatura. Dopo la rinuncia dell'ultim...