Capitolo 23 - Reeze

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Non appena chiusi la porta di quella stramaledetta stanza, iniziai a correre verso i piani inferiori. Oltrepassai l’ingresso, i Giardini, i campi e, infine, arrivai al limitare con la foresta. Mi fermai ansante e scrutai il buio della foresta come se mi aspettassi che qualcosa sarebbe spuntato fuori, pronto ad attaccarmi. O forse speravo succedesse. Sentivo un bisogno quasi fisico di fare a pezzi della carne viva, pulsante tra le mie mani, ma non era la rabbia a guidarmi, no. Ero deluso. Deluso e ferito come non ero mai stato. In tutti quelli anni passati tra i Guardiani a subire soprusi, alienazione, a sentirmi fuori luogo, niente mi aveva fatto così male. Mi sentivo come se avessi passato tutti quegli anni a cercare l’approvazione e, dopo averla finalmente ottenuta, l’unica persona alla quale volevo importasse davvero qualcosa di me, mi additava come un opportunista del cazzo. E più mi sforzavo di mostrarle quanto contasse, quanto significasse per me, più lei diffidava di ogni mia mossa, ogni parola. Non ne potevo davvero più di stare dietro a Dafne, quella ragazzina era esasperante e incontentabile. Eppure, anche ora che il pensiero di essermi stufato mi aveva pervaso fin dentro le ossa, non riuscivo a fare a meno di pensare a quei fottuti occhi, a quelle labbra soffici, ai suoi capelli costantemente disordinati, al profumo della sua pelle candida. “Io ti amo, stupida, arrogante bambina!”, urlai dentro di me. Magari avrei dovuto urlarlo a lei, ma ormai era fatta. Dubitavo fortemente che ci saremmo mai capiti, che avremmo navigato sulla stessa lunghezza d’onda. D’altra parte però, Dafne rimaneva fino a quel momento l’unica persona al mondo che conoscendo la mia storia non mi aveva iniziato a guardare con timore. – Passeggiata notturna? –. Mi voltai verso Angel che si avvicinava a passo lento verso di me. La sua espressione mi fece intendere che non era lì per caso. – Avevo bisogno d’aria, sì. – risposi cercando di non trapelare nessuna emozione, anche se avrei davvero voluto urlare. – Dafne? – chiese lui affiancandomi e guardando fisso davanti a sé, dentro l’oscurità della boscaglia. – Già… – sussurrai. Mi sarebbe davvero piaciuto essere uno di quelli a cui piaceva parlare dei propri problemi, confidarsi, chiedere consiglio a chi aveva più esperienza, ma non riuscivo. Io non ero così, non lo ero mai stato. I miei problemi li avevo sempre risolti prendendo a pugni, calci o colpi di spada e qualsiasi altra arma il cosiddetto problema. Perché i miei unici problemi erano quelli: demoni, spettri, Stregoni. Di tutto il resto me ne fottevo. Ma questo fino al suo arrivo. – Io credo che tu abbia bisogno di più di una boccata d’aria. – riprese Angel come se avesse appena letto nei miei pensieri. – Che intendi? – chiesi perplesso e incuriosito. – Voglio dire, – proseguì voltandosi a guardarmi. – che dovresti staccare la spina. Per un po’. –. Aggrottai le sopracciglia e lo fissai a mia volta. Angel era sempre stato quello che spronava gli altri ad affrontare gli ostacoli, non ad aggirarli. – E sentiamo, – incalzai. – come dovrei staccarla questa spina ‘per un po’’? –. L’espressione calma e paziente di Angel mi fece sentire solo peggio. – Va’ via. Prenditi una vacanza. Riposa. Viaggia, se preferisci. Ma devi stare lontano da qui. – E perché mai dovrei andarmene da qui?! – sbottai con un tono esasperato. – Perché ti stai autodistruggendo così e lo sai pure tu! – anche Angel alzò il tono della sua voce, sebbene non si fosse scomposto molto. – Io ti ho cresciuto, Reeze. Selma ti ha cresciuto. Ed entrambi pensiamo che tu non stia bene al momento. Devi ritrovare la serenità e se questo significa lasciarti andare, così sia. – E Dafne? – domandai automaticamente, senza nemmeno pensarci. Angel sorrise beffardo: – Dafne… Qui si sta parlando di te, Reeze, dannazione! Dafne è giovane, anche rispetto a te. E’ ancora un’adolescente sotto molti aspetti e gioca a fare l’adulta perché le è stato purtroppo imposto. Deve crescere, deve imparare e tu devi lasciarla fare. Non ci potrai sempre essere per lei, non potrai proteggerla sempre, lo capisci? – E chi te lo dice? – fissai il mio patrigno in cagnesco. – Te lo dico io, cazzo! – rispose, stavolta scomponendosi. – Sei innamorato e lo capisco. Ma devi restare lucido, Reeze. La tua vita non gira intorno a lei. Tu hai bisogno dei tuoi spazi e lei dei suoi. Non siete un’unica entità, siete due persone distinte. Va bene esserci l’uno per l’altra, ma così… così è troppo, Reeze. –. Le parole di Angel mi colpirono come un secchio d’acqua ghiacciata. Riflettei un secondo e mi resi conto di non riuscire a ricordare come fosse la mia vita prima di Dafne. Un brivido di paura mi percosse la schiena. Era questo il motivo per cui lei mi aveva dato del cacciatore di trofei? Possibile fosse stato il mio comportamento troppo protettivo a indurla a credere questo? – Devo andarmene da qui. – dissi più a me stesso che ad Angel. – Hai ragione tu. Devo… me ne vado stanotte. Alla tenuta. Non dirlo a nessuno, soprattutto a lei. Verrebbe a cercarmi e… promettimelo, ti prego. –. L’espressione di Angel si addolcì e mi diede una pacca sulla spalla. – Non una parola. Ma tu prometti di tornare solo quando ti sentirai pronto. –. Annuii e mi precipitai alla Fortezza. Prima di raggiungere la mia stanza, mi fermai davanti a quella di Tjana, incerto. – Entra, cretino. – le sentii dire da dietro la porta. La sua voce era piuttosto assonnata. Aprii la porta e la trovai stesa a letto, circondata da un marasma di vestiti, fogli, libri e altra robaccia. Se quella ragazza fosse tanto disordinata anche in battaglia, non sarebbe mai sopravvissuta. – Ma non lo sono, giusto Capitano? – mi fulminò coi suoi occhi da gatto e si sedette a gambe incrociate sul materasso. – Me ne vado. – dissi d’un fiato. Lei alzò un sopracciglio: – Dove? – Non provarci, Tjana. – risposi pronto, chiudendo ogni accesso alla mia mente e pensando all’intestino di un demone che avevo squartato tempo prima. Non si sarebbe mai azzardata a entrare così. – Ascolta, stalle dietro ok? E anche a Eva, non può non allenarsi, tra qualche mese verrà Iniziata. –. Tjana annuì, ma il suo sguardo rimase indagatore. – Devo fare delle cose. Per Angel. E Selma. Non posso dirti altro. – E a Dafne perché non dici nulla? –. “Dafne…”, pensai e mi si strinse il cuore. – Non posso parlarne nemmeno con lei. – Reeze. – Tjana si fece seria. – Sai che si incazzerà a morte, vero? – E’ già incazzata a morte, Tjana. – fui costretto ad ammettere e, finalmente, la ragazza smise di farmi domande. – D’accordo. – disse. – Penserò a entrambe le tue pupille, ma ricorda che mi devi un grosso favore. – Grazie. – risposi. – La tabella di Colins la trovi giù. Cerca di prepararla al meglio. – Quindi non pensi di tornare per l’Iniziazione? – stavolta mi sembrò preoccupata. – Non lo so ancora. Devo andare. Grazie ancora! –. Salutai Tjana con un cenno del capo e uscii diretto alla mia stanza. Aprii la porta e trovai Dafne sdraiata sul mio letto. Vederla lì mi fece saltare il cuore in gola. Avrei voluto stringerla, accarezzare i suoi capelli, ma sapevo di non poterlo fare. Presi una borsa dall’armadio facendo il meno rumore possibile e sistemai accuratamente vestiti, libri e armi. Non appena fui pronto, misi la borsa in spalla e rimasi a fissare Dafne qualche altro istante. Era così bella e serena quando dormiva che il solo pensiero di doverla lasciare mi fece sentire male. Sapevo però che fosse la cosa migliore per entrambi. La presi tra le braccia con tutta la delicatezza possibile e notai il cuscino bagnato. Aveva pianto e io non avrei potuto sentirmi più in colpa di così. L’alzai e uscii dalla stanza. Feci cenno alle sue Guardie di aprirmi la porta della sua camera e infine, l’adagiai nel suo letto. La sentii sospirare e per un momento temetti che si fosse svegliata, ma per fortuna così non fu. Le diedi un rapido bacio sulla fronte e uscii frettolosamente da lì, prima che il mio istinto potesse prevalere sulla ragione. Mi diressi immediatamente ai Portali dove Angel e Selma mi stavano già aspettando. – Mia Signora! – rivolsi un inchino a Selma. Lei in risposta mi sorrise compassionevole: – Fa’ buon viaggio. Ho già avvertito Ludwig del tuo arrivo. –. Il suo tono era come sempre calmo, impassibile. – Grazie, madre. – feci stringendole la mano. – Apri il Portale, Christa. – disse Angel alla Guardia del Portale. Lei eseguì immediatamente e la stanza fu illuminata dalla luce rosastra del teletrasporto. Abbracciai Angel e Selma e, senza indugiare oltre, oltrepassai il Portale.

Pochi istanti dopo, mi ritrovai circondato dal buio del familiare giardino della tenuta di Selma. Ad attendermi, c’era Ella, la governante. – Signorino! – esordì con un sorriso. – E’ un piacere rivederla! Dia a me. – Non preoccuparti, Ella. – risposi io prima che mi prendesse la borsa. – Ce la faccio. –. La donna mi sorrise in risposta: – La Signora ci ha contattati poco fa e non abbiamo avuto molto tempo per riscaldare la casa. Se vuole però, le preparo un bagno caldo. – Grazie Ella, ma non preoccuparti. – le feci. – Me la cavo benissimo, tu e Ludwig potete andare. Vi ringrazio. – Dovere, Signorino. –. Oltrepassammo il grande giardino ed entrammo dal portone principale. La villetta era ben illuminata e odorava vagamente di chiuso. Non era cambiato nulla dal mio ultimo soggiorno: l’ingresso era rimasto tale e quale, contornato dagli antichi dipinti appesi al muro marmoreo, perfettamente bianco e liscio. La scalinata che portava ai piani era stata da poco lucidata e il tappeto che contornava tutta la stanza era soffice, nonostante i probabili secoli passati dalla sua fabbricazione. In cima alle scale comparve la figura alta di un uomo. Ludwig era un uomo di mezza età, alto quasi quanto me, con capelli grigiastri e lunghi, raccolti perennemente in una bassa coda legata da un fiocco nero. Nemmeno un capello ne usciva. Vestito con eleganti abiti neri, come suo solito, prese a scendere le scale. – Signorino Reeze! – mi salutò spalancando le lunghe braccia. – Bentornato! Come sta? – Vivo, grazie! – risposi accennando un sorriso sarcastico. Ludwig mi studiò con i suoi occhietti circondati da occhiali perfettamente puliti. – Possiamo fare qualcosa per lei? Un bagno, magari? – chiese, passando il suo sguardo da me a Ella. – No, grazie mille. Come ho già detto a Ella, da adesso ci penso io. Voi potete andare. – Bene. – rispose il maggiordomo. – Se ha bisogno, non esiti a chiamare. – Senz’altro. –. Li salutai sulla soglia della porta, dando loro la buonanotte e infine chiusi il portone. Trovatomi solo, inspirai lentamente e mi guardai attorno prima di salire la scalinata. Per un periodo non troppo breve della mia vita, avevo considerato quel posto una prigione, per poi riconsiderarlo come la prima vera casa che avessi mai avuto. Certo, la Fortezza era il posto in cui vivevo abitualmente, ma se pensavo a ‘casa’ l’unico posto che mi veniva in mente era la tenuta. Salite le scale, buttai l’occhio sul salone alla sinistra, dall’aspetto antico ma allo stesso tempo accogliente. Ludwig si era premurato di accendere il camino di pietra che si trovava in fondo alla stanza e ora il fuoco scoppiettava allegramente, gettando ombre sugli scaffali pieni di libri della parete circostante. I cuscini dei divano erano stati sbattuti per bene, così come i tappeti. Posai la borsa su una mensola della cucina e mi avvicinai all’ampia vetrata che affacciava sull’orizzonte. La tenuta si trovava sulla parte più alta di un fiordo che affacciava direttamente sul mare. Da quell’altezza si poteva scrutare tranquillamente il mare sottostante, anche se ora per via del buio questo non si distingueva dal cielo. Rimasi a scrutare il paesaggio per molto, finché il fuoco alle mie spalle si fece più debole. Mi avvicinai al camino e aggiunsi della legna, ricordando di quando Selma mi faceva spaccare interi alberi per sfogare la furia. Alla fine, quegli immensi trochi diventarono tutti cibo per quel camino. L’intero magazzino del giardino era stato occupato da tutta quella legna. Presi un libro a caso dalla libreria e mi appollaiai su un divano, iniziando a leggerlo. “Ore d’ozio di Lord Byron”, pensai non appena lessi le prime parole. Nemmeno a farlo apposta, mi ero ritrovato a leggere qualcosa adatto alla situazione. Solo che le mie non sarebbero state ore e, sicuramente, non avrei oziato. Lessi finché il cielo non divenne chiaro e limpido e i primi pallidi raggi solari iniziarono a entrare dalle finestre. Mi alzai abbastanza intorpidito e uscii fuori a respirare l’aria. L’odore della salsedine era in assoluto il mio odore preferito. “Dafne ha il tuo odore preferito.”, mi dissi e il mio stomaco ebbe un sussulto. A quell’ora sicuramente avrebbe appreso della mia partenza e, forse, in breve me la sarei ritrovata davanti, furiosa e stupenda come sempre. Mi allarmai: sapevo che Angel non mi avrebbe mai tradito, ma Dafne era capace di fare qualsiasi cosa quando era incazzata. Se lo avesse messo sotto tortura, non avrebbe retto molto. “Non lo metterà mai sotto tortura, scemo!”, mi dissi, ma un po’ d’ansia mi rimase addosso. Non appena il sole fu abbastanza alto, chiamai Ludwig e gli chiesi di farmi strigliare un cavallo. Lui non se lo fece ripetere due volte e in un’ora era in giardino che mi aspettava con un magnifico stallone nero al seguito. – Buona cavalcata, Signorino! – mi augurò mentre salivo in groppa e partivo al trotto verso la foresta. L’animale rispondeva perfettamente ai comandi e, a differenza di altri cavalli che avevo montato, non mi temeva. Attraversai il bosco dirigendomi verso la valle, dalla quale sarei poi arrivato alla spiaggia più vicina. Quel posto mi era mancato molto: ogni pianta, animale, suono, odore, mi riportavano alla mente memorie che non ricordavo nemmeno di avere. Ricordi tremendamente felici. Non appena gli alberi si fecero più radi, feci partire il cavallo al galoppo. Il vento in faccia mi faceva sentire l’adrenalina scorrere nelle vene. Ma non quella da ‘sete di sangue’, bensì quella da gioia incontrollabile. Pace. Libertà. In poco tempo, avvistai la distesa di sabbia davanti a me. Feci fermare l’animale e lo lasciai libero nella distesa d’erba antecedente la spiaggia. – Fa’ il bravo e aspettami qui, d’accordo? – gli dissi carezzandogli il muso. Poi mi diressi immediatamente verso la spiaggia, quasi correndo. Tolsi le scarpe per godermi la sensazione della sabbia sui piedi nudi e respirai a pieni polmoni quell’aria magnifica. Sapeva di sale, di umido, di maestosità. Quando finalmente raggiunsi la riva, non riuscii a trattenermi dal sorridere. Spalancai le braccia e alzai la testa per godermi meglio il vento e gli schizzetti d’acqua. Era tutto fantastico ma mancava ancora qualcosa: Dafne. Le avevo promesso che l’avrei portata con me un giorno e avevo sperato che il mio nuovo soggiorno alla tenuta fosse stato in sua compagnia, ma purtroppo i miei piani avevano la brutta abitudine di non andare mai come volessi. Mi spogliai e gettai i vestiti lontano dalla riva per poi buttarmi direttamente in acqua. Era piacevolmente tiepida sulle mia pelle. Nuotai per ore, divertendomi a sfidare le onde che iniziarono a innalzarsi. Alla fine, riuscii perfino a stancarmi. Tornai alla riva e mi sedetti sulla battigia, intento a scrutare l’orizzonte. Niente al mondo era meglio di una nuotata in mare. “A parte Dafne.”, pensai, iniziando a odiare la mia stessa mente per quelle uscite del cazzo. Era ovvio: non c’era nessuno migliore di Dafne per me, niente avrebbe mai potuto essere meglio dei suoi baci, abbracci, del suo corpo sul mio… – CAZZO!!! – urlai facendo innalzare in volo qualche gabbiano che se ne stava tranquillo sulla spiaggia. Avrei dovuto controllarmi, smettere di pensare così ossessivamente a lei in ogni momento della mia vita. Dopo essermi asciugato, mi rivestii, tornai a prendere il cavallo e di nuovo alla tenuta. Al mio rientro, Ella si era presa la briga di farmi trovare il bagno pronto. – Oggi il tempo è particolarmente bello per una cavalcata, vero? – disse mentre mi porgeva vestiti puliti. – Qui il tempo è sempre perfetto per qualsiasi cosa. – risposi. – Ma allora si trasferisca qui, no? – scherzò lei. – Alla fine, siete voi Guardiani a decidere quando congedarvi dai vostri doveri. – Non in presenza di una Suprema. – la corressi, ed ecco che nuovamente la mia mente planò su Dafne. – Giusto. – fece lei. – A proposito, com’è la nuova Mater? La Signora dice che ha tutto il potenziale per diventare una grandissima Guardiana. – La Signora dice il vero. – ammisi. – Dafne è il meglio che potessimo chiedere. –. La mia voce si spense ed Ella ebbe l’accortezza di non aggiungere altro. La congedai e mi infilai dentro alla vasca, godendomi il tepore. Erano quasi le quattro del pomeriggio e Dafne non si era fatta viva. Sospirai di sollievo; se non si fosse presentata in quella giornata, non lo avrebbe fatto nemmeno nei giorni successivi. Forse la mia assenza avrebbe fatto riflettere anche lei. “O forse mi porterà ancora più rancore.”, pensai. Dopotutto ne avrebbe tutte le ragioni. Dopo il bagno mi ritirai a meditare in giardino, finché non mi accorsi del tramonto imminente. Rimasi ad osservare quello spettacolo da dentro la casa, godendo di ogni secondo. Dafne non si fece viva, rincuorandomi.

Nei giorni che seguirono, mi cimentai in ogni possibile attività: aiutai Ludwig ed Ella a pulire la casa, lessi tantissimi libri, dedicai almeno due ore al giorno alla meditazione, mi allenai nella lotta libera, alla spada, al tiro con l’arco, passai ore a nuotare con il mio amico quadrupede (che avevo scoperto chiamarsi Jeger) che mi accompagnava durante tutti gli spostamenti, tenendomi compagnia. Non mi resi conto che fossero passate già due settimane, fino a che Ludwig non mi portò un messaggio di Selma, datato 13 ottobre. – Davvero è passato tutto questo tempo? – chiesi al maggiordomo incredulo. Lui mi sorrise: – Il tempo vola quando ci si diverte, n’è vero Signorino? – Troppo… – ammisi. Presi un foglio di carta e scrissi rapidamente una risposta a Selma per accertarla di stare bene. – Domani ho intenzione di provare l’arrampicata, quindi non aspettatemi. – avvertii Ludwig prima che se ne andasse. – Buona fortuna, allora! – rispose lui e si congedò con Ella al suo seguito. Il giorno dopo partii ancora prima dell’alba, in groppa al mio ormai fedele destriero. Il viaggio che ci aspettava era abbastanza lungo: a circa 30 km dalla tenuta, c’era una spiaggia che a cui si affacciava uno scoglio alto una quindicina di metri, la cui parete non era stata ancora erosa da acqua e aria. Decisi che quello sarebbe stato il luogo perfetto per darmi a del ‘sano’ sport estremo. Man mano che avanzavamo, il paesaggio cambiava: i boschi si aprivano in immense radure, per poi diventare di nuovo boschetti, campi di bellissimi girasoli e prati sconfinati. Ero totalmente immerso nella natura, incurante di qualsiasi altra cosa. Angel aveva avuto ragione: avrei dovuto staccare la spina molto tempo prima. Faticavo ancora a gestire i miei pensieri su Dafne; a volte, di notte, fantasticavo su cosa facesse o su come stesse, per finire sempre a pensare al peggio. Naturalmente, se fosse successo realmente qualcosa, Angel non avrebbe esitato a richiamarmi e, visto che fino a quel giorno non avevo ricevuto nessuna chiamata, le cose stavano andando bene. O almeno stavano andando. Sentivo però un orrendo senso di vuoto ogni volta che pensavo a lei. La sua mancanza a volte si faceva sentire in modo straziante. Raggiungemmo la meta poco prima di mezzogiorno e lasciai Jeger a riposare sulla spiaggia, mentre io studiavo il mio ostacolo. Non era la prima volta che mi arrampicavo sulla roccia, spesso lo avevo fatto anche in battaglia, ma stavolta era diverso: questa era la mia sfida, come del resto lo era tutta la mia permanenza alla tenuta. Stavo imparando nuovamente a gestirmi, come tanti anni prima. Fissai bene la corda attorno al mio busto, tenendo l’altra estremità in mano. Trovai una conca abbastanza stabile e vi lanciai la corda, issandola alla parete. Iniziai così l’arrampicata, attento a dove mettessi mani e piedi. Per fortuna anche il vento mi era favorevole. In mezzora riuscii ad arrivare a metà scoglio, fermandomi qualche istante, ben aggrappato alla parete per guardare in basso. Era una cosa stupida, ma mi piaceva ‘guardare in basso’, a differenza di altri. Scalai la parte che mi restava e quando finalmente fui in cima mi voltai a guardare il mondo che mi circondava, compiacendomi di me stesso. Poi, all’improvviso, mi balzò in mente un’idea folle e degna della mia spericolata compagna: mi trasformai. Dopo tutto il tempo passato a reprimere quella parte di me, presi coraggio e lasciai che l’altro me venisse fuori. Riuscii a sentire la vita intorno a me e ogni suono e odore venne amplificato. Scoppiai a ridere dalla gioia per poi prendere una rincorsa e gettarmi giù dallo scoglio, dritto nel mare. Il tuffo che feci, mi spinse parecchi metri sotto la superficie dell’acqua e mi sorpresi nello scoprire che riuscivo a restare senza aria. Riemersi dopo essermi fatto un giro piuttosto lungo (e aver disturbato parecchi pesci con la mia strana e inquietante presenza). Alla fine, riemersi lanciando un grido simile a ruggito, allarmando il povero Jeger. Decisi di tornare nella forma umana per non spaventare l’animale e, dopo qualche ora passata al sole, tornai in groppa al cavallo per tornare a casa. Quando arrivai alla tenuta, il sole era tramontato da un po’ e non vi trovai nessuno. Ella si era premurata di farmi trovare vestiti puliti e Ludwig di riscaldare la casa. Dopo il bagno, mi sistemai comodamente in salotto a leggere e, con l’arrivo del nuovo giorno, ripresi con le mie abituali attività.

La mia vita scorreva tranquilla, facendo passare altre due settimane che mi giovarono ancor più delle prime due. Dafne mi mancava tremendamente, ma avevo imparato a controllare l’istinto. Mi sentivo come rinato. Una delle ultime sere che avrei passato alla tenuta, invitai Ludwig ed Ella a fermarsi a cena che, ovviamente, cucinai io stesso. Non li avevo mai visti come servitù: grazie a Selma, avevo imparato a trattare tutti in egual maniera, che fossero sopra o sotto di me. Avevo chiesto più volte ai due di rivolgersi a me per nome, ma si rifiutavano di farlo. Per loro ero il figlio di Selma e come tale meritavo lo stesso rispetto della loro nobile padrona. – Devo dire che il Signorino è un ottimo cuoco! – esclamò Ella per complimentarsi con me delle mie doti culinarie. – Tutto merito della mia incredibilmente talentuosa maestra! – risposi, alzando il calice alla sua. La donna arrossì: – Ma la pianti! Anche se ammetto che sia stato un bravissimo allievo. – Allora te lo ricordi! – Come faccio a scordarmelo? Quello è stato il periodo migliore per questa casa. –. Continuammo a chiacchierare e ricordare gli anni che avevamo passato tutti insieme alla tenuta finché si fece davvero tardi per i miei due ospiti. – Potete restare a dormire qui, se volete. – dissi. – Le stanze non mancano e io, come sapete, non dormo. –. Ludwig si alzò lentamente e un po’ brillo: – Non si preoccupi, Signorino. Ci vedremo domani mattina. – Come volete, ma almeno prendetevi qualche ora libera. – insistetti. – Venite nel pomeriggio, qui ci penso io. – Grazie, Signorino! – risposero all’unisono. Li accompagnai alla porta, per poi sparecchiare e ripulire tutto, cosicché Ella non dovesse preoccuparsi di sistemare il giorno dopo. Una volta finito il lavoro, mi concessi un ultimo bicchiere di vino e finii per ricordarmi della primissima volta che arrivai lì. Non avevo mai provato una simile paura prima d’allora. Per giorni ero stato tenuto rinchiuso nelle prigioni, subendo le battutine delle guardie, giorno e notte. Mi davano tutti per spacciato. Io mi davo per spacciato. Alla fine, una sera, Selma venne da me assieme ad Angel e mi spiegarono che avrei passato un po’ di tempo lontano dalla Fortezza. All’inizio pensai che mi prendessero in giro: la Suprema non poteva allontanarsi dalla Fortezza per un tempo indefinito. Chi l’avrebbe sostituita? Poi, dopo qualche giorno alla tenuta, Selma mi confessò di essersi esonerata dall’incarico per stare vicino a me. Il dolore e la rabbia che provai per quella notizia mi fecero trasformare nuovamente, ma stavolta non feci del male a nessuno. Semplicemente scappai nella foresta, per poi tornare il giorno dopo. Selma era stata paziente con me. Mi insegnò a controllarmi, l’arte della meditazione e il potere che questa esercitava sulla mia rabbia. Ludwig ed Ella si erano fin da subito mostrati gentili con me, nonostante sapessero chi e che cosa fossi. Quello fu il periodo migliore della mia vita e tornare non fu affatto facile. All’epoca non avevo nessuna ragione per voler tornare alla Fortezza, sapevo benissimo cosa mi aspettasse. L’ultimo giorno alla tenuta avevo rischiato nuovamente di perdere il controllo, ma, grazie a Selma, ero riuscito a trattenermi. E poi arrivò il giorno della ‘punizione esemplare’ che quella merda di Magnus aveva deciso di infliggermi. A ripensarci, riuscivo a sentire ancora lo schiocco della frusta che mi penetrava la carne, l’odore del sangue e il dolore infinito. Grazie alla trasformazione e ai Guaritori, le ferite guarirono in fretta, ma l’umiliazione rimase per anni. Fu in quel momento che decisi di impegnarmi al massimo per far vedere a tutti che ero come loro, se non migliore, e così fu: le mie missioni andarono sempre egregiamente, mai una sola perdita, e pian piano diventai Capitano. I miei uomini impararono a conoscermi e a fidarsi ciecamente di me e il periodo della mia ribalta fece di me quello che ero. O meglio, quello che ero stato prima del suo arrivo. La odiavo ancor prima di conoscerla per aver allontanato Angel da me, era a causa sua che avevo dovuto farmi strada da solo e, quando la vidi la prima volta, l’odiai ancora di più. In cuor mio però, sentivo che qualcosa mi legasse a lei e così è stato. Dafne mi aveva ucciso, mi aveva riportato in vita e mi aveva dato la possibilità di averne una del tutto nuova, al suo fianco. Eravamo due persona distinte, differenti, ma il destino ci legava l’uno all’altra probabilmente da sempre. Ripensai di nuovo alla mia prima partenza dalla tenuta e mi resi conto di quanto la situazione fosse totalmente diversa: quella volta non volevo tornare, non ne avevo motivo. Questa, invece, sarei tornato perché c’era lei, la mia più grande motivazione. Decisi che non aveva più senso aspettare. Mi alzai e preparai la borsa: sarei tornato l’indomani. Attesi impaziente l’alba e poi l’arrivo di Ella e Ludwig. – E’ davvero sicuro di voler andare? – mi chiese Ella, dispiaciuta per il poco preavviso. – Ne sono certo. Ma tornerò presto e stavolta non sarò solo, promesso! –. Ludwig mi rivolse un sorriso compiaciuto e mi tese la mano. Io la strinsi con vigore. – Faccia buon viaggio. – disse. – E ci saluti la Signora e il Generale. Alla prossima, Signorino! – A presto, Ludwig, Ella! –. Strinsi forte la donna e attraversai il Portale che Ludwig si era preso la briga di aprirmi.

Impiegai più tempo del dovuto a giungere alla Fortezza, rimanendone perplesso. Christa, non appena spuntai fuori, sgranò gli occhi. – E tu cosa ci fai qui? – Che accoglienza! – esclamai. – Angel dov’è? – E’ appena partito. – rispose lei, ancora sotto lieve shock. – Partito per dove? – chiesi appoggiando la borsa a terra. – Pare abbiano trovato il Traditore. Sono tornati alla vecchia casa della Suprema. –. Sentii chiaramente il mio cuore cessare di battere. – Lei dov’è? – chiesi con un sussurro piatto, anche se sapevo già la risposta. Christa mi fissò improvvisamente allarmata: – E’ andata col Generale… – Apri il Portale. – Ma sei appena tornato! Non puoi ripartire subito, lo sai! – Christa. – il mio respiro si fece affannato e scandii ogni singola parola. – Apri. Quel. Portale. Ora. – No, Belfort. Non se ne parla. –. Diedi un pugno su quello che mi sembrò un albero e solo in quel momento mi resi conto di essere all’aperto. – Ma che cazzo… perché siamo fuori? – Non l’hai saputo? – Christa strabuzzò nuovamente i suoi occhi. – La Suprema ha ordinato dei lavori per modernizzare l’Armeria. Adesso siamo tutti qui finché non finiscono. – E il Consiglio glielo ha concesso? – stavolta quello meravigliato fui io. – Certo che lo ha fatto, è la Suprema, Belfort. – Wow… –. Passai un altro quarto d’ora a discutere con Christa che si era mostrata irremovibile. – Se non passa almeno un’ora, non ti muovi di qui. – disse per l’ennesima volta. – BENE! – esclamai. – Vado a cambiarmi e quando torno tu mi farai passare, altrimenti giuro che ti stacco la testa! –. Corsi in camera mia, non curandomi di nessuno e indossai alla svelta la tenuta da caccia, per poi riprecipitarmi al Portale esterno. – Eccoti qui. – fece la Guardia con ironia. – Iniziavo a sentire la tua mancanza. – Christa, apri quel maledetto Portale! – sbraitai. Lei in tutta risposta si guardò l’orologio sul polso. – Mancano ancora 35 minuti, Belfort. Mettiti comodo e aspetta. – ADESSO T’AMMAZZO! – Oh, arriva qualcuno! – esclamò e io fissai intensamente la luce del Portale che si apriva. “Ti prego…”, mi dissi. Stavo cercando in tutti i modi di accantonare i pensieri e di restare lucido, ma la sensazione che fosse successo qualcosa si ostinava a logorarmi l’anima. E poi ecco che vidi Angel apparire davanti a me e, subito dopo di lui Dafne. La mia Dafne. Quella piccola ragazzina stronza e impertinente. La donna con cui in quel preciso istante avevo deciso di passare il resto della mia vita, perché io l’amavo, porco cazzo se l’amavo.

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