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Naja


Mia madre mi accompagna dagli altri viaggiatori. Sono tutti in silenziosa
attesa, fermi nei pressi di una strada sterrata ai confini del villaggio. Tutto è pronto per il viaggio. Il gruppo di migranti è composto da una trentina di persone, tra uomini, donne e bambini. Due uomini dalla corporatura esile ci rassicurano, ci promettono di portarci al punto d'imbarco entro la notte e incassano il prezzo pattuito per il viaggio; quindi, dicono di salutare i parenti e di incamminarci. Rivolgo a mia madre uno sguardo dubbioso. Non vorrei partire. Lei si avvicina e cerca di darmi coraggio, ricordandomi che questa è una grande opportunità. Mi dà un bacio sulla fronte e mi chiede di ripetere ad alta voce il numero di telefono di mio padre. Faccio quello che mi chiede, ma con fatica. Non ho la forza di parlare. Mi manca l'aria.

"Lo ricordi perfettamente. Sono orgogliosa di te," mi dice teneramente, accarezzandomi il viso; poi un ultimo silenzioso abbraccio e, quindi, il distacco; un distacco che fa troppo male. Non la vedrò più, è inutile illudersi del contrario. Non riesco a deglutire e sento le lacrime inumidirmi gli occhi, ma non piangerò. Non le darò anche questo dolore. Le sorrido dicendole addio e raggiungo i miei compagni di viaggio che già si sono incamminati.

Mi sento stordita e impacciata, come se fossi sotto shock.  Cammino a testa bassa, calpestando a passo svelto il sentiero sterrato, e cerco di distrarmi guardando i pantaloni di stile occidentale che mi ha procurato mia madre. Chissà dove li ha presi. Sono comodissimi e mi permettono movimenti veloci. Li guarda anche la ragazza al mio fianco o, forse, guarda le mie gambe. Lei ha difficoltà a camminare. Porta le stampelle perché ha una gamba più corta dell'altra, ma il suo sguardo è talmente determinato che mi infonde coraggio.

Poco dopo, il sentiero cede il passo alla distesa sabbiosa del deserto libico e delle voci maschili dal tono rozzo prendono il sopravvento sul rumore dei nostri passi.

"Sono i sei arabi che ci porteranno al punto di imbarco," mormora Omak, mentre stringe gelosamente la mano di sua figlia, una ragazzina di non più di quindici anni.

Gli uomini sono armati, ci puntano i fucili e ci vengono incontro urlandoci di salire sui pick-up alle loro spalle. I bambini si agitano ma nessuno osa parlare. Tutto avviene in maniera frettolosa. Saliamo a bordo dei veicoli e partiamo.

Quando i pick-up si fermano è ormai buio. Gli arabi ci ordinano di scendere e ci conducono nei pressi di un capannone costruito con vecchi pannelli di lamiere arrugginite. Ci viene detto di entrare, ma Omak si rifiuta e dice di voler proseguire il viaggio per imbarcarsi quanto prima. Restiamo tutti in silenzio a guardare le espressioni severe dei nostri accompagnatori. C'è una forte tensione che non fa presagire nulla di buono e in pochi attimi accade il peggio. Uno degli arabi si avvicina a Omak e gli ordina di inginocchiarsi. Lui si rifiuta e l'arabo non si scompone, non parla, ma imbraccia il fucile e lo uccide con due colpi alla testa. È agghiacciante! 

Faccio fatica a realizzare ciò che ho appena visto, ma è tutto vero; me lo confermano il corpo di Omak che si accascia a terra e le urla strazianti della figlia che si inginocchia accanto al padre, maledicendo il suo carnefice.

Sono atterrita, guardo il viso impietrito degli altri viaggiatori e ripenso alle parole di mio zio: "Naja, parti senza esitare ma cerca di imbarcarti presto. Non restare in Libia. In Libia si muore ogni giorno, in mare una volta sola."

Gli arabi portano via il corpo di Omak e ci ordinano di andare nel capannone. Entriamo con timore. L'ambiente è lievemente illuminato dalla luce che filtra dall'esterno. Il cattivo odore apre la scena a uno spazio piuttosto grande, dove sono sistemate numerose brande l'una accanto all'altra. Il forte caldo mi spinge a togliere subito lo chador e cerco un bagno, ma rinuncio alla vista del secchio maleodorante addossato a una parete a mo' di latrina. Decido di dedicarmi ai bambini e condivido con loro le mie poche scorte alimentari; sono piccoli e spaventati, molti di loro viaggiano senza genitori e sono già molto stanchi. Anch'io ho bisogno di riposare, devo recuperare le energie se voglio arrivare alla fine di questo viaggio.

DARK STAR 2 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora