Capitolo 1

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Lo stavo facendo di nuovo, ma poco mi importava. Ne avevo bisogno per confondere il mio dolore. Il dolore del mio cuore usato come pezza molte volte. Il dolore dell'assenza di una persona che, veramente, mi dimostra di tenerci a me. Il dolore di una me troppo debole per potercela fare, per poter continuare a lasciarsi umiliare da tutti. Un peso troppo grande per chiunque, figuriamoci per una ragazza di 17 anni.

Ci sono alcune persone che si tagliano perché il dolore fisico delle ferite supera quello morale, altre perché vogliono mettere fine alle loro vite e alle loro sofferenze, e poi c'è chi, come me, si taglia perché solo così si rende conto di essere vivo.

E poi uno, due, dieci tagli, sono viva, sento il dolore, sono viva, sento il sangue scorrermi lungo il braccio e bagnarmi la maglietta, sono viva, viva, viva.

Ho bisogno di tagliarmi. Ho bisogno di sentirmi viva. Ho bisogno di capire che non sono una persona vuota senza: emozioni, sentimenti.

Il dolore che provo quando premo la lametta sul mio braccio mi fa capire che sono viva, che dentro oltre agli organi ho anche il dolore e quindi un emozione.

DRIIN, DRIIN, DRIIN

La sveglia suonava da più di cinque minuti ma non avevo voglia di alzarmi e incominciare una nuova giornata.

Non ho mai avuto una vita programmata, fin da quando ero piccola, sono sempre stata una ragazza che vive al momento e che non programma le cose che le succedono. Anche perchè, di sicuro, non avrei mai programmato di diventare un'autolesionista e di "uccidere" i miei genitori.

Mi alzo dal letto lasciando il caldo delle coperte e a piedi scalzi mi avvio verso il bagno ho proprio bisogno di una doccia. Passando davanti allo specchio, mi soffermo ad osservarmi a scrutare le mie occhiaie, le guance risucchiate verso dentro, il colore degli occhi spento e le labbra screpolate.

Sono una debole e questo non mi piace, ma non ho la forza di risollevarmi, anche perchè non ho nessuno su cui contare, nemmeno su me stessa.

Mi spoglio, tolgo le fasce che coprono i miei tagli e mi infilo sotto la doccia. L'acqua a contatto con i tagli brucia, ma ormai ci ho fatto l'abitudine.

Rimango sotto la doccia più di un quarto d'ora immersa nei miei pensieri. Le dita mi sono diventate ruvide a contatto con l'acqua e quindi mi decido ad uscire.

Mi vesto, copro le occhiaie, fascio i polsi ed infilo una felpa coprendo i polsi. Mi spiaccico un sorriso, falso, sulle labbra ed esco da camera mia, scendo di sotto e faccio colazione in compagnia del mio fratellastro, Theo.

" Buongiorno" mormoro nella sua direzione mi siedo ed incomincio a versarmi il latte in una tazza, insieme ai cereali. Lui non risponde nemmeno al mio saluto, lui semplicemente non mi parla. Non mi parla dal giorno in cui sono morti i nostri genitori, ovvero il mio patrigno e mia madre.

Da la colpa a me di quello che è successo come tutti del resto, anch'io do la colpa a me stessa. Da quel giorno tutti si sono allontanati da me, non avevo una vita perfetta, ma non faceva schifo come questa attuale.

Finisco la mia colazione, prendo la borsa e vado a scuola. Routine di tutte le mattine.

Entro a scuola e mi sembra che tutti mi fissano e non è solo la mia impressione sul serio lì tutti mi fissavano. Dal giorno della morte dei miei genitori avevano incominciato a chiamarmi 'Abby l'assasina'. Faceva male sentire quella parola pronunciata con odio da parte dei miei compagni di scuola, ma poco mi importava ormai non mi importava più niente, ormai la mia vita non aveva un senso e mi chiedo come mai ancora non mi sono uccisa. La morte è una scorciatoia  per me e a me le scorciatoie non sono mai piaciute e quindi prendo sempre la strada più lunga, la strada più sofferente, perchè io merito di soffrire, merito quel nomignolo e soprattutto merito gli sguardi d'odio da parte dei miei compagni.

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