Capitolo 5

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Stavo dormendo nel mio letto, sognando unicorni e arcobaleni; quando il mio telefono incominciò a vibrare. Strano di solito non vibra mai. Certo che non vibra nessuno mai mi cerca. Allungo la mano sul comodino lo afferro e con occhi assonnati guardo chi è.

Louis!

Non volevo parlare con lui. Non volevo parlare con nessuno. Volevo solo essere lasciata in pace. Ma prima che me ne rendessi conto il mio dito aveva già premuto sul tasto verde.

"Pronto" dissi titubante.

"Abby! Mi dispiace per ieri sera, lo sapevo che non ti dovevi allontanare da me"

"Louis, va benissimo così, tranquillo adesso sto bene e poi mica mi potevi controllare per tutta la serata" mentii non stavo bene, per niente.

"Scusami di averti lasciata da sola." fece una pausa "non avrei dovuto."

"Scuse accettate, adesso la smetti di torturarti con i sensi di colpa?!" chiesi sarcasticamente.

"La smetto, ma sei sicura di stare bene?" "Sicurissima".  Bugiarda. Ma questa vocina spuntava sempre nei momenti meno opportuni. Aveva un tempismo perfetto.

"Ti va di fare colazione insieme, ti passo a prendere?" mi chiese titubante.

"Per me va bene" dissi con un sorriso sulle labbra. Strano. Io che sorrido a prima mattina? Non è da me!

Mi disse che sarebbe passato a prendermi tra venti minuti più o meno. Ed io ero ancora in pigiama. Scesi dal letto corsi in bagno e mi infilai sotto la doccia.

Amo l'acqua. Sia se fredda che calda. Amo l'acqua in generale. Lava me, ma lava via anche i brutti pensieri, le insicurezze, le troppe paure e le accuse.

Esco dalla doccia. I polsi facevano male, li medicai. Mi vestii con un paio di pantaloni e una maglia presi a caso nell'armadio. Mi truccai ed ero pronta per la mia colazione con Louis. Solita felpa. Cuffie nelle orecchie ed esco fuori ad aspettare Louis.

Questo vecchio cortile che ha un cancello sbiadito, una scritta sul muro che mi ricorda qualcosa, una strada che porta alla mia vecchia scuola. Una moto che passa come un pensiero di fretta.

Mi si fermò una macchina blu d'avanti. Era Louis. Tolgo le cuffie. Salgo in macchina sorridendo e mi accorsi che ultimamente stavo sorridendo troppo e non posso. Quindi al sorriso lascio un espressione un pò delusa. Lui la notò.

"Cosa c'è che non va?" mi chiese dubbioso.

"Oh, niente stavo solo pensando" lo rassicurai.

Non mi ero nemmeno accorta che eravamo partiti.

Accesi la radio e appogia i piedi sul cruscotto, come ero solita fare quando viaggiavo in macchina con mamma.

"Comoda?" mi chiese ridendo.

Risi. A volte vorrei fermare il tempo in quegli attimi, come questo, in cui sto ridendo e mi scordo che vivere corrisponde a morire, a rilento.

Il viaggio fu abbastanza silenzioso, ma non uno di quei silenzi pieno di tensione. Solo uno di quelli dove non si sa che dire e si sta in silenzio per paura di dire qualcosa di sbagliato.

Voltai il viso verso Louis. Mi domando perchè è voluto uscire con me.

Di ragazze ce ne stanno tante e anche più belle di me. Io sono una semplice ragazza. Capelli castani, occhi blu, bassa, magra. Non avevo niente di straordinario. Anzi avevo gli occhi spenti, le occhiaie e i polsi maciullati. Però lui è voluto uscire proprio con me. Strana la vita.

Si voltò verso di me, sentendosi osservato e mi sorrise.

Arrivammo a destinazione. Ovvero un bar non molto lontano da casa.

Entrammo e le poche persone che c'erano si voltarono per vedere chi era entrato, appena ci videro tornarono ognuno ai propri caffè.

Ci sedemmo in un tavolo un pò distante da quelli occupati.

Arrivò la cameriera per prendere gli ordini. Ordinai un caffè macchiato e un cornetto. Louis invece solo il caffè.

Se ne andò e dopo poco tornò con i nostri ordini.

Incominciai a bere il caffè. Parlammo del più e del meno. Nessuna domanda o risposta esilarante. Sorrideva sempre. Il suo sorriso era qualcosa di straordinario. Uno spettacolo. Lo spettacolo piú bello che io abbia mai visto.

Io invece non sorridevo mai. Non sorridevo mai perchè sarei risultata ipocrita. Non sorrido perchè dentro ho una tempesta. Una tempesta che causa trombe d'aria. Una tempesta che strappa i fiori dal terreno, con odio. Una tempesta che resta lì, dentro di me.

Finimmo la nostra colazione. Adesso aveva smesso di sorridere e mi stava guardando con occhi attenti, come se volesse cogliere ogni mio gesto, movimento. Abbasso gli occhi, vergognandomi. Le mie guance stavano per prendere fuoco e il mio cuore incominciò a battere così forte, con il rischio di uscirmi dal petto.

Non mi sono mai sentita così... bene!

"Mi racconti perchè ti chiamano 'Abby l'assassina'? mi domandò. Sapevo che sarebbe arrivata quella domanda ma non pensavo proprio in quel momento.

Non ce l'avrei fatta nemmeno oggi.

Ne ero sicura!

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