Capitolo 3

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Ero pronta per uscire con Louis e andare a quella festa. Avevo messo un paio di pantaloncini neri, una maglia bianca semplice e la giacca di pelle per coprire i polsi. Mentre giravo per i cassettoni per cercare un paio di calze da mettere, mi sono imbattuta in una foto dei miei genitori, non so perchè la tenevo ancora lì, forse per paura. Già paura di dimenticare i loro volti e quindi la tenevo ancora sotto tutti i miei vestiti tra il maglione di mamma e la camicia di papá. Nella mia memoria riaffiorano i ricordi e mi lasciano nodi in gola. Accarezzo con le dita il volto di mia madre, nella foto, sorrideva ed era così bella. I primi tempi tenevo la foto nella tasta della giacca destra in alto sarei divetata matta mai lavessi persa, anche se è solo un immagine in un indumento, avvertivo di averli adosso e mi sentivo più coperta. Conservo ancora quello che mi hanno detto, tutti i loro consigli, parlo dopo che rifletto, lo dirò ai miei figli di non cercare appigli e non mollare mai, ma non riuscirò a dirgli quanto bene gli vorrai. Avevo posato la foto, ma loro sarebbero stati sempre nella tasca della giacca destra in alto, in un sorriso inaspettato e in un appuntamento con il mio destino.

Era così assorta nei miei pensieri che non mi accorsi di una macchina che si era fermata davanti casa mia. Riposi la foto con cura sotto i miei vestiti ed uscì da casa.

Corro lungo il vialetto e salgo in macchina, saluto Louis e lui parte. Appoggio la fronte al finestrino e mi rilasso, guardando i passanti e le vecchie case di Doncaster.

"Tutto bene?" mi chiede Louis appoggiando una mano sul mio ginocchio.

"Certo" risposi facendo un sorriso finto. Non stavo bene, non stavo bene per niente avevo lo stomaco sottosopra e tremavo. Stavo per andare nella tana del leone.

Arrivammo dopo cinque minuti, la casa era stupenda, era grande, aveva due piani e una piscina.

Scesi dalla macchina e la stessa cosa fece Louis, venne verso di me e mi misi il braccio intorno alle spalle.

Suonammo alla porta e venne ad aprirci un ragazzo che da come camminava si poteve dedurre che giá era ubriaco.

Entrammo in casa e un paio di persone lì vicino si girarono a guardarci, mi strinsi di più a Louis.

"Sta tranquilla, nessuno si avvicinerà a te, fino a quando ci sono io con te" mi sussurrò all'orecchio e mi rilassai come se la sua voce era una specie di calmante per i miei nervi.

Lo guardai e vidi che mi sorrideva, ricambiai il sorriso.

"Non accettare da bere da nessuno se non da me" mi avvertì.

Annuì e mi trascinò lungo il corridoio arrivammo in una stanza piena zeppa di persona di tutti i tipi: ubriache, drogati.

Tutti che si stusciavano, in quella stanza non c'era aria faceva un caldo insopportabile. Louis non mi mollava mai. Era la mia ombra, ovunque.

Dopo un paio di ore, ero stremata, avevo ballato così tanto che avevo i capelli attaccati alla fronte e piedi doloranti. Avevo sete e quindi mi fermai e chiesi a Louis se potevamo andare a prendere qualcosa da bere.

Mi versò della birra in un bicchiere e me lo passò. Incominciai a bere.

Vivere d'artisti, bere e sentirsi protagonisti. Passare metá del tempo a far finta di divertirsi, nascondo gli occhi tristi come se ci riuscissi. A parlare con se stesso non ce poi molto da dirsi.

Per quanto il tempo può rimarginare una ferita, io non sono ancora morta, ma rivoglio indietro la mia vita.

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