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...: Jesse?
sento in lontananza una voce femminile, e le assi sul pavimento cigolano.
...: Jesse? ehi, Jesse!
il letto si muove e apro lentamente gli occhi, ho la testa che scoppia.
...: perché non rispondi al telefono?
guardo Jesse, si stropiccia gli occhi e poi guarda la signora davanti a lui.
J: rispondo... solo che ho avuto da fare.
dice con voce ancora assonnata.
J: come hai fatto?
chiede indicando la porta.
J: ah già, avete la chiave.
si mette seduto e mi scuote le gambe.
J: ehi, ragazzina, svegliati.
mi stropiccio gli occhi e sbadiglio, poi lo imito e mi metto seduta anch'io.
...: guardati, non sai fare altro che scoparti straccione pescate in strada, perché non metti la testa a posto una volta tanto?
io: come scusi?
J: mamma!
sgrano gli occhi e guardo Jesse.
io: è... lei è tua madre?
Mamma Jesse: sì, e ora devo parlare con mio figlio, quindi prendi le tue cose e vattene.
mi alzo dal letto e prendo i miei vestiti sulla sedia, li avrà portati Jesse qui ieri.
lui si alza e si infila i pantaloni, poi mi ferma, io lo guardo senza saper cosa fare.
J: può stare qui ok? qualsiasi cosa devi dire può sentirla, non è un interrogatorio dell'FBI!
MJ: voglio che se ne vada Jesse, ci sono delle cose di cui dobbiamo discutere da soli.
io: non importa, non preoccuparti.
dico rivolgendomi a Jesse. lui fulmina con lo sguardo sua madre e poi guarda me.
J: aspettami qui fuori.
annuisco e poi esco dalla stanza, mi appoggio al muro per non cadere a causa di un giramento di testa, mi porto le mani al viso e sento la conversazione tra Jesse e sua madre.
lo sento sospirare.
J: piuttosto, ho ripensato molto alla conversazione dell'altro giorno. e capisco che papà ce l'abbia tanto con me e abbia deciso di... di tagliare...
MJ: la decisione non è soltanto sua.
J: no, lo so lo so. sto solo dicendo che... è stata una bella doccia fredda per me. ti avrei chiamata oggi, ho deciso seriamente di seguire quel corso alla business school. nono, davvero mamma, dico sul serio. vedi? cominciamo a parlare, si è aperto un dialogo tra di noi.
MJ: è tardi per aprire un dialogo Jesse.
tolgo le mani dagli occhi e vedo due tipi che stanno trasportando un mobile dalla stanza accanto.
J: ehi, ehi, fermi! ma che diavolo fanno?
mi spiaccico al muro per non impedirgli il passaggio, i due uomini mi guardano malissimo.
J: hai deciso di buttarmi fuori sul serio?
MJ: li portano in un deposito. quando ti deciderai a crescere potrai riavere i mobili!
J: guarda che siete tu e papà a dover crescere! Ginny voleva che stessi qui, c'ero solo io a occuparmi di lei! la portavo ai suoi appuntamenti, le facevo da mangiare, ogni giorno le facevo da mangiare. mi merito questa casa!
MJ: non è affatto vero che le facevi da mangiare ogni giorno.
J: tu cosa facevi?! eh? mentre lei stava a letto, morente, dove diavolo eri tu?
MJ: non ci provare Jesse.
J: e adesso, che cosa fai? ti rendi conto che stai trasformando tuo figlio in un senzatetto? brava! sei la migliore delle madri!
sento chiaramente il rumore di uno schiaffo e sussulto, richiudendo gli occhi.
MJ: perché ti comporti così? perché?!
faccio un respiro profondo per cercare di non intervenire, mi verrebbe voglia di entrare in quella stanza e renderle quello schiaffo, come può trattare suo figlio così? come può buttarlo fuori di casa?
MJ: hai due chiavi di casa e hai la chiave del lucchetto del garage. lasciale sul tavolo in cucina quando te ne vai.
sento dei passi verso la porta ma si fermano appena Jesse parla.
J: ma mamma, mamma. me lo dici dove vado?
ha la voce che trema.
MJ: non lo so, caro.
anche sua madre sembra che sta per piangere.
MJ: ma per favore, deciditi a cambiare vita.
la mamma di Jesse esce dalla stanza e mi passa davanti guardandomi malissimo.
J: chiaro... prima mi butti fuori e poi vuoi che cambio vita, ma che stronza!
gli urla contro.
aspetto che lei abbia sceso le scale per tornare in camera, Jesse fa su e giù per la stanza con le mani tra i capelli. appoggio velocemente i miei vestiti sulla sedia e vado da lui, prendendogli le mani.
io: ehi ehi...
lui apre gli occhi, sono pieni di lacrime. tira su col naso e guarda il soffitto per far sparire le lacrime.
J: stai bene? ieri non avevi un bell'aspetto.
io: dovrei essere io a chiedertelo...
J: no, davvero, come stai?
io: ho solo un po' di mal di testa, ma con un'aspirina passerà tutto, non è importante. tu invece...
lui ispira dal naso.
J: cazzo! hai sentito tutto vero?
annuisco.
io: avete alzato un po' la voce forse...
J: mi dispiace.
dice sfregandosi il naso con la manica della felpa. scuoto la testa.
io: non devi scusarti...
lui sospira e si lascia cadere sul letto, sedendosi.
J: cazzo...
mi siedo in parte a lui.
io: senti... io ho una stanza in più a casa mia... potresti venire lì e stare da me per un po', almeno fino a quando non si sistemerà tutto.
dico mettendogli una mano sulla schiena e accarezzandola. lui mi guarda.
J: no, ma cosa dici? non ti caricherò di un peso così sulle spalle, non tu.
io: un peso? no, non sei un peso, davvero. uso quella stanza come sgabuzzino, non preoccuparti, e poi sarà divertente avere un coinquilino.
J: io... non so che dire...
io: non serve che tu dica niente, devi solo accettare.
dico sorridendo.
J: beh... ci penserò ok?
annuisco.
io: la mia porta è sempre aperta.
J: grazie.
gli sorrido ancora.
io: ora sarà meglio che vada, tu hai le tue cose da fare e io le mie.
dico alzandomi e infilandomi velocemente i pantaloni.
J: ti serve un passaggio? ieri ti ho portata io qua, non hai nemmeno la macchina...
io: tranquillo.
dico mettendo la mia maglietta e porgendogli la sua.
io: farò due passi a piedi, ho voglia di camminare.
lui annuisce poco convinto e io prendo il mio zaino.
io: ci vediamo.
gli do un veloce bacio sulla guancia e poi esco dalla stanza, sentendolo sdraiarsi sul letto e sospirare.
raggiungo casa mia a piedi, ascoltando Let You Go di Machine Gun Kelly, in loop.
è quasi mezzogiorno quando arrivo a casa, non ho molta fame, probabilmente per il quintale di pasta che ho mangiato ieri notte con Jesse, quindi mi preparo un'insalata e dopo mangiato mi prendo l'aspirina per il mal di testa.
mi faccio una doccia per togliermi la puzza di sudore misto a erba dai capelli, poi essendo ancora molto stanca mi stendo sul divano e chiudo gli occhi, convinta di fare solo un breve sonnellino, ma si sa che quando mi sdraio con questa convinzione, dormo fino a tarda sera.
vengo svegliata dal mio telefono che squilla, guardo l'ora sull'orologio fisso sulla parete, sono quasi le nove di sera, lo sapevo.
guardo il cellulare, è un numero che non conosco, ma dal prefisso capisco che è un telefono fisso, rispondo con una voce da zombie.
io: pronto?
...: salve, sto parlando con Zoe Clayton?
io: sì, sono io. perché?
...: la chiamo dal Santa Clara Memorial Hospital, un nostro paziente in condizioni critiche ha chiesto di lei, potrebbe venire qui al più presto?
io: scusi... ma è sicura di aver chiamato la persona giusta? chi è stato ricoverato lì da voi?
chiedo confusa, tutto questo non ha senso.
...: Jesse Pinkman, ha chiesto di lei prima di entrare in sala operatoria. lo stanno operando proprio in questo momento.
io: c-cosa? Jesse ha detto?
...: sì proprio così, tra quanto pensa di essere qui? perché noi
allontano lentamente il telefono dall'orecchio, comincio a sentire i suoni ovattati, lontani, sento gli occhi riempirsi di lacrime e la libreria davanti a me si fa sempre più sfocata.
improvvisamente mi ricordo il discorso che ho fatto ieri con Jesse.
"ti sei mai sentito così solo, non capito, da non sapere con chi poterti confidare? con una sensazione di vuoto, così profonda, che credi di poterci cadere dentro da un momento all'altro?"
non pensavo di poter provare ancora quella sensazione.

Qualcosa Per Cui DrogarsiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora