Capitolo 22 • Penombra

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Angelica si addomentò piano piano, profondamente.

Riccardo se ne accorse quando gli giunse all'orecchio il suono del battito regolare del suo cuore. La adagiò meglio sul letto, la coprì affinché non prendesse freddo e restò per qualche istante a guardarla, trasognato.

Immaginò di avere la chitarra con sé e cantarle tutte le canzoni che voleva dalla sedia della scrivania, mentre lei era distesa sul letto e dondolava i piedi e il capo a ritmo.

Oppure in camera propria, dove luci e ombre amavano giocare insieme e alternarsi.

Osservò la scrivania di Angelica: un portatile aperto in stand-by, i libri di testo nuovi ancora impacchettati, qualche quaderno, un portapenne colorato, il diario di scuola, l'astuccio, degli evidenziatori e le chiavi di casa. Aprì il primo cassetto e vide dei fogli bianchi con alcune di quelle che sembravano decorazioni regalo; nel secondo c'erano buste di carta colorata, biglietti di auguri sia ricevuti sia privi di nomi, cartoncini azzurri, viola e rosa. Sfilò un cartoncino rosa, prese un trattopen nero cercando di non fare rumore e scrisse il testo della canzone che le aveva cantato. Firmò in basso a destra in grafia elegante e lasciò il cartoncino sul comodino, sotto il telefono in carica.

Camminò a passo felpato fino alla finestra, la scavalcò e atterrò con grazia dall'altra parte, fuori dall'abitazione. Si concesse di guardarla ancora una volta: aveva l'espressione distesa, pacifica, ed era semplicemente bellissima.

Avrebbe voluto dormire con lei, tenerla stretta a sé per tutta la notte, ma sentiva che era meglio così. Fai bei sogni, pensò.

Angelica, dal canto suo, fu un po' delusa di non risvegliarsi con Riccardo al proprio fianco... Finché non sentì sua madre gridare che erano in ritardo e che doveva sbrigarsi. Non sapeva come avrebbe giustificato la sua presenza, in tal caso.

Quando staccò il telefono dal caricabatterie, però, trovò il cartoncino rosa e sorrise. Niente le avrebbe rovinato l'umore quella mattina, nemmeno le lagne di suo fratello Michele.

Indossò un maglioncino bordeaux che aderiva alle sue forme senza stringere e un paio di jeans blu scuro a vita alta che invece stringevano appena. Ai piedi infilò un paio di stivaletti bassi, poi raccolse parzialmente i capelli e passò il correttore dove necessario. Un velo di mascara ed era pronta, più sorridente che mai.

- Angelica, cerca di accelerare un pochino i tempi, non posso sempre stare a scusarmi con le maestre di Michele. - la rimproverò la madre.

La ragazza annuì, ma sapeva che avrebbe continuato a fare di testa propria. Anzi, lo sapevano tutti.

Arrivò a scuola in perfetto orario, contro le previsioni della madre, e sedette vicino ad una ragazza che conosceva poco perché Beatrice era impegnata a parlare di autori latini con Nicola, mentre Riccardo era seduto fra Luca e Teo nel banco da tre, in fondo.

- Laura, giusto? - iniziò Angelica, rivolgendosi alla propria compagna di banco provvisoria.

- Sì, mi chiamo così. Tu sei Angelica, invece. - confermò l'altra.

Laura aveva i capelli biondi e mossi lunghi fino alla base del collo, i fianchi più larghi delle spalle e il petto piatto, labbra sottili, dita lunghe ed affusolate, sopracciglia quasi invisibili; a colpire era l'azzurro quasi etereo degli occhi, un colore straordinario.

- Allora, come ti trovi qui? - domandò Laura, per cortesia più che altro.

- Benone! Devo dire che non ho mai avuto troppa difficoltà a fare amicizia, ma tutti quelli che ho conosciuto fino adesso mi stanno molto simpatici. - sorrise Angelica, affabile.

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