Buongiorno! Come state? È lunedì e oggi c'è anche un nuovo capitolo di Girls on the road, se volete andarlo a leggere...
Buona lettura! :)
Mercoledì, 23 luglio 1997 (Anna, 18 anni)
È tutta la giornata che aspetto che i miei se ne vadano a casa. Sono arrivati questa mattina alle sette e sono rimasti fino stasera alle nove, quando l'orario delle visite è terminato. Mia madre ha insistito per imboccarmi, nonostante le abbia ribadito più volte il concetto che sono le mie gambe ad essere messe male, non le mie braccia, per fortuna quelle sono perfettamente funzionanti. Hanno cercato di fare discorsi leggeri, di farmi ridere, di non farmi pensare all'incidente. Ci sarebbero anche riusciti se non fosse che i loro volti sono stanchi, tirati, l'argomento "Marco" sia assolutamente tabù e si comportano in maniera eccessivamente gentile, anche per i loro standard.
Ho imparato fin dai primi minuti a controllare le smorfie di dolore che mi compaiono sul volto al minimo movimento che faccio, perché la prima volta che se ne sono accorti i miei, mi sono ritrovata in mezzo a un turbine di infermiere chiamate dai miei genitori in preda al panico. Ho male ovunque, sempre, è come un forte dolore ai denti, solo che su tutto il corpo. Esattamente come per i denti, alla fine ti ci abitui pure, diventi intrattabile, qualsiasi cosa ti infastidisce, ma alla fine non puoi farci niente e ti rassegni, almeno finché non decidi che, magari, cambiando posizione potresti stare meglio. Appena ci provo sembra che mi stiano infilando tizzoni ardenti nelle ossa, così stringo i denti e ci rinuncio, rimango zitta, soffro in silenzio e sfodero un sorriso per non far capire niente ai miei.
Le ore scorrono lentissime, soprattutto da quando i miei genitori varcano la soglia, le infermiere fanno il loro giro, spengono la luce e io resto lì, a fissare la porta come se quella fosse la parte vitale della mia giornata. Mi aspetto che da un momento all'altro Marco entri da quella porta, come ha fatto l'altra notte, e venga a trovarmi. Non so se passino minuti oppure ore, a me sembrano comunque interminabili, mi sembra di vivere dentro una fotografia dove tutto è fermo immobile e io sono l'unica a percepire lo scorrere del tempo... o il non scorrere, dipende dai punti di vista.
Alla fine poi Marco entra nella mia stanza, con fare circospetto come un ladro al suo primo furto. Entra e mi sorride, spingendosi su quella sedia a rotelle che non so nemmeno se gli serva.
«Ti sei fatto male anche tu alle gambe che devi usare la sedia a rotelle?» Mi rendo conto che è la prima volta che gli chiedo come sta e un po' me ne vergogno.
Ieri sera eravamo troppo scombussolati per parlare di quello che ci è successo.
«No» Marco mi sorride e mi si avvicina come ha fatto l'altra notte. «Ma mi sento meno stanco se giro con questa. Da quanto ho capito il mio polmone destro è collassato e hanno dovuto piantarmi un ago nel torace per farmi respirare di nuovo. Diciamo che in questo momento non sono ancora pronto per una campestre» mi sorride quasi imbarazzato e io mi sento quasi morire.
Sembra gravissimo quello che ha avuto e io sono qui a lamentarmi del mio di dolore. Io ho solo qualche osso rotto, lui aveva un polmone collassato!
«Devi tornare subito in camera tua» gli ordino puntandogli il dito addosso.
Marco ridacchia tenendosi le costole dal dolore.
«E non ridere!» Esclamo poi.
«Allora tu non farmi ridere, ok?»
Mi strizza l'occhio e mi sorride e il mio mondo si capovolge un po', facendomi sospirare.
«Sono seria Marco, non voglio che peggiori per colpa mia»
Marco sorride e mi stringe la mano.
«In realtà hanno usato paroloni tanto grossi ma tra qualche giorno mi dimettono, quindi non sono poi così preso male» sussurra baciandomi delicatamente le dita.
Gli sorrido e gli accarezzo la testa. Quanto vorrei alzarmi e baciarlo fino a fargli mancare il respiro.
«Ti ho preso qualcosa oggi» mi dice poi frugando con le mani dietro la schiena e tirando fuori un libro. «Non è sicuramente il tuo genere ma è l'unica cosa che ho trovato all'edicola dell'ospedale... adesso mi sento ridicolo perché magari tu odi questo genere di romanzi... ma ho pensato che potrebbe passarti più velocemente la giornata se hai qualcosa da fare»
Afferro il libro e sorrido, certamente non leggo Harmony con pirati possenti a petto nudo in copertina, ma perché non cominciare adesso? È stato un gesto carinissimo e sono sicura che mi piacerà, anche solo per il fatto che me l'ha regalato lui.
«Lo leggerò sicuramente volentieri» gli accarezzo la guancia e lo guardo.
Sembra che sia passata una vita da quando eravamo accoccolati nel suo letto dopo aver fatto l'amore. Sembra che tutto sia scivolato in un angolo della mia mente come un bellissimo sogno destinato a rimanere tale. Impreco contro il destino che ha voluto regalarci un momento di pura felicità e poi ce l'ha strappata nella maniera più brutale.
«Dio, mi vergogno di averti preso questo libro orribile»
«No, Marco, sul serio. Adoro questo libro»
Ed è veramente quello che penso. È il primo regalo che Marco mi abbia mai fatto, come potrebbe non piacermi?
«Dimmi, la tua giornata è stata miserabile come la mia?» Gli domando per cambiare argomento.
Marco alza le spalle e mi bacia le dita una ad una come è solito fare. Adoro guardarlo mentre dedica così tanta attenzione a una parte così insignificante del mio corpo, come possono essere le mie dita.
«Solitaria. Tra l'altro oggi mi hanno messo in camera uno che si lamenta costantemente... mugugna senza mai dire una parola. Mi mette l'ansia, poveretto. Avrei voluto venire a trovarti ma ho pensato che ci fossero i tuoi genitori qui, così ho evitato» mi spiega a bassa voce, senza guardarmi mai negli occhi.
Ripensare a loro e a Marco che non può varcare la soglia di questa stanza perché, sono sicura, lo scaraventerebbero fuori dalla finestra, mi fa arrabbiare.
«Già, non sono tuoi grandi fan in questo momento» inutile nascondergli la verità.
Marco mi sorride alzando finalmente gli occhi su di me.
«Non essere arrabbiata con loro. È normale che si comportino così, io guidavo e guarda come sei ridotta... certo che il nostro primo giro in moto assieme l'abbiamo concluso col botto... letteralmente» ridacchia tenendosi con la mano libera il costato.
«Già... ma non farmi ridere, ho troppo male ovunque per potermi concedere di farlo» lo supplico cercando di trattenere una risatina che andrebbe a stimolare muscoli che non voglio assolutamente risvegliare.
Marco sorride e mi bacia ancora le dita. Restiamo così tutta la notte, a parlare di tutto e di niente, a conoscere i nostri segreti più intimi ma anche quelli più stupidi, come il nostro colore preferito. Parliamo come se non riuscissimo mai a saziarci l'uno dell'altra, parliamo come se le nostre vite dovessero diventare una soltanto. Parliamo nel buio della notte per paura, forse, che la luce possa svelare una realtà che potrebbe distruggere quella felicità fragile che ci stiamo costruendo. Parliamo di nascosto, sottovoce, per non rompere quella magia così effimera che potrebbe dissolversi... perché non sappiamo cosa siamo, io e Marco, non siamo amici, non siamo fidanzati, non siamo amanti. Sappiamo solo quello che non siamo perché quel maledetto incidente ci ha impedito di scoprire quello che siamo veramente.
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[COMPLETA]Come in quella vecchia Polaroid
ChickLitAnna è una ragazza all'ultimo anno del liceo; è carina, posata, dolce, studiosa ma non un topo da biblioteca. Ama uscire con le amiche, leggere libri e guardare film. Marco è un venticinquenne moderatamente ricco, scapestrato, con un unico vero amic...