Capitolo 30 (ANNA)

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Buongiorno e buona domenica! A me sta volando questo weekend e a voi? Vi lascio con un nuovo capitolo di Anna, fatemi sapere cosa ne pensate. :) 

Buona lettura!


Martedì, 8 luglio 1997 (Anna, 18 anni)

Fisso la porta dell'aula con un'intensità tale che per poco non la faccio esplodere. Sono arrivata venti minuti in anticipo rispetto al quarto d'ora che mi ero prefissata, i miei compagni di classe sono arrivati diversi minuti dopo e hanno capito subito che starmi alla larga è la migliore opzione questa mattina. Forse è per via della cera che ho, il colorito verdognolo che mi accompagna da ieri sera deve essere abbastanza spaventoso da farmi sembrare contagiosa. D'altra parte, passare la notte a vomitare a causa del nervosismo è quasi impossibile, devo essermi presa qualche tipo di influenza.

Stringo in mano con forza il bigliettino che ho trovato sulla bicicletta questa mattina. "In bocca al lupo. M." dice soltanto e questo mi basta per essermi fatta la strada che mi separa dalla scuola pedalando come una forsennata. Non appena ho varcato la soglia della scuola, però, ogni briciolo di ottimismo che mi ha trasmesso Marco è scivolato via come se fossi arrivata sotto una pioggia torrenziale. La mia sezione è stata estratta come la prima a cominciare gli orali e io sono la prima della mia classe, nonostante questo sia positivo perché posso finalmente liberarmi da questo peso che mi sta opprimendo, dall'altro lato sono terrorizzata e vorrei rimandare questo momento in eterno.

«Anna, sei pronta?» L'unico professore che conosco esce dall'aula e mi chiama dentro.

Ho chiesto che i miei compagni non fossero presenti, potevo scegliere, ho preferito non avere la gente che mi alita sul collo, oltre ai professori che non ho mai visto davanti e che mi mettono in soggezione.

Mi siedo al mio posto e non ho nemmeno la voce per presentarmi ed essere educata. La mia bocca è arsa e stringo talmente i denti da farmi male.

«Vuoi un goccio d'acqua?» Mi domanda il mio professore di italiano, l'unico che conosco di tutta la commissione di professori esterni.

Faccio cenno di no con la testa, incapace di emettere anche solo mezza sillaba. Come faccio a rispondere alle domande se ho la lingua incollata al palato? È presto detto: non rispondo. Sono talmente in confusione che non riesco nemmeno a capire la domanda. Sono talmente preoccupata di capire che cosa mi stia chiedendo che il mio cervello pensa solo a questo e non ad ascoltare effettivamente quello che un professore di mezza età, con la pancia e i capelli grigi, mi sta domandando. È costretto a ripeterla tre volte prima che finalmente la mia bocca decida di collaborare e, anche in questo caso, la mia voce esce esile, quasi un sussurro tremate. Noto con la coda dell'occhio il mio professore di italiano con una faccia sofferente. Mi basta vedere la sua espressione per capire che peggio di così non posso andare e la cosa che più mi lascia senza fiato è che da sola non riesco a rendermene conto. Io parlo e automaticamente il mio cervello dimentica le parole che ho appena detto.

In un momento di concitazione mi ritrovo fuori dall'aula con i miei compagni di classe che mi assalgono per capire quali domande abbiano fatto, mentre io non ricordo nemmeno di aver salutato, essermi alzata e aver raggiunto la porta. Esco in cortile senza nemmeno voltarmi indietro e faccio diversi respiri profondi per non vomitare. La testa mi gira, quindi decido di sedermi sul gradino per cercare di calmarmi. Guardo l'ora e mi rendo conto di essere rimasta dentro una ventina di minuti in tutto, è andata talmente male che non si sono neanche presi la briga di trovarmi un argomento che potesse aiutarmi a risollevare l'interrogazione... oppure l'hanno fatto e io non me lo ricordo nemmeno. Alzo lo sguardo verso il cielo, poi lo abbasso di nuovo sulla mia bicicletta. Mi rendo conto di stringere ancora il bigliettino di Marco, ormai quasi distrutto dalle mie mani sudate.

[COMPLETA]Come in quella vecchia PolaroidDove le storie prendono vita. Scoprilo ora