Capitolo 59 (ANNA)

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Mercoledì, 12 agosto 1987 (Anna, 8 anni)

Eravamo al mare come ogni anno nelle due settimane centrali di agosto. Era un mercoledì particolarmente caldo ma io non la smettevo di saltare su e giù perché ero particolarmente eccitata. Gli amici di mio padre stavano per raggiungerci al mare e io ero contentissima perché finalmente potevo avere qualcuno abbastanza grande, ma non un adulto, con cui andare in giro per il campeggio senza la supervisione dei miei genitori.

Li aspettavamo già per pranzo ma avevano tardato e, quando alle tre avevo visto avvicinarsi la macchina carica per le vacanze, ero corsa loro incontro per salutare Valeria, la loro figlia di sedici anni che ogni anno veniva al mare con noi. Era una ragazza a posto, una che non si vergognava a portarmi in giro con lei e i suoi amici nonostante fossi parecchi anni più piccola.

La macchina si era fermata vicino alla piazzola dove avrebbero piantato la tenda, erano scesi i genitori ed erano andati subito a salutare i miei ma Valeria non c'era. Ricordo di essermi avvicinata alla macchina e di aver sbirciato dentro per vedere se, per caso, si era semplicemente addormentata sul sedile posteriore ma ogni mia speranza era crollata quando avevo visto solo i cuscini su cui avrebbero dormito i genitori.

Mi ero avvicinata di nuovo alla nostra tenda, completamente contrariata dalla scoperta appena fatta. I grandi stavano parlando con voci quasi ridotte ad un sussurro e io faticavo a capire che cosa si stessero dicendo. Avevano bevuto il caffè e poi la grappa, avevano parlato ancora un po' ed ero rimasta in silenzio in attesa di una spiegazione che non arrivava, così avevo preso coraggio, mi ero avvicinata a loro e avevo chiesto.

«E Valeria?»

La reazione sui loro volti era, più o meno, quella che avevano tutti quando vedevano un loro caro vittima di un incidente: facce tristi, lacrime trattenute malamente, sorrisi forzati e di circostanza.

Non avevo ottenuto nessuna risposta ma mio padre si era alzato, aveva preso la bicicletta, mi aveva fatto salire dietro di lui e mi aveva portato a mangiare il gelato. Tra una pallina e l'altra del mio cono mi aveva spiegato che Valeria era andata a Milano in vacanza dai parenti. Io non riuscivo a capire il perché una persona intelligente e simpatica come lei potesse preferire una città noiosa e senza mare come Milano piuttosto che le spiagge, il sole e le partite di pallavolo in spiaggia.

Io e mio padre avevamo mangiato il gelato, avevamo fatto un giro al mare, eravamo persino andati a prendere un giornalino che a me piaceva tanto ma che non volevano comprarmi. Piano piano il mio disappunto quel giorno era scomparso, la felicità per i regali aveva presto sostituito la tristezza per non avere nessuno con cui giocare quell'estate al mare. In fondo avevo otto anni e un sacco di altri giochi divertenti con cui tenermi impegnata durante la giornata.

Ricordo che mio padre mi aveva chiesto di non nominare più Valeria per quell'estate e, quando gli avevo chiesto perché, lui mi aveva risposto che i genitori erano tristi perché lei aveva scelto Milano invece che andare al mare con loro e il solo fatto di nominargliela li faceva piangere. Così avevo detto di sì, alzando a malapena la testa dal mio giornale nuovo e, quando eravamo tornati in tenda, mi ero sentita in colpa perché la mamma di Valeria aveva gli occhi arrossati per il pianto. Sicuramente l'avevo fatta diventare triste io perché le avevo chiesto dove fosse la figlia appena erano arrivati.

[COMPLETA]Come in quella vecchia PolaroidDove le storie prendono vita. Scoprilo ora