Capitolo 22 (MARCO)

945 38 7
                                    

Buongiorno! Eccovi il capitolo giornaliero... scommetto che questa volta farete un po' il tifo per Marco anche se è stato stronzo... :)

Buona lettura e buon fine settimana! <3


Domenica, 15 giugno 1997 (Marco, 25 anni)

Parlarle. Ho bisogno di parlarle. Che siano cinque minuti o cinque secondi non importa, ho bisogno di spiegarle perché mi sono comportato da stronzo venerdì sera. Non ho dormito e mangiato per due giorni, come potevo farlo quando l'immagine dei suoi occhi che si riempiono di lacrime è fissa davanti ai miei come se fosse marchiata a fuoco nel mio cervello?

L'ho vista entrare con le sue amiche, il cuore mi si è riempito di quella felicità che solo lei mi può dare e ho faticato molto per non sorridere come un cretino. Gli altri non se ne sono neanche accorti, sono bravo a fare la faccia da stronzo attorno a loro, ma dentro mi si è rimescolato tutto come se le mie viscere fossero un grosso calderone. Ho pregato che non si accorgesse di me, ho sperato che non vedesse che ero al bancone con gli idioti, poi ho visto le sue amiche girarsi attorno e, quando anche lei ha iniziato a vagare con lo sguardo, ho distolto il mio per non incrociarlo. La cosa assurda è che quando lei entra in una stanza sembra che il mio corpo, il mio cervello, il mio cuore, tutto di me sia attratto e rivolga attenzioni solo a lei. È estenuante cercare di ignorarla quando semplicemente la sua presenza mi fa essere vigile, attento, cosciente del fatto che sia a pochi metri da me in tutta la sua perfezione.

Poi mi è capitata davanti e il panico mi ha pervaso il petto appena ho visto Mattia far scivolare i suoi occhi e i suoi pensieri indecenti su di lei. Non ci ho visto più e l'unica cosa che mi è venuta in mente di fare è stata quella di allontanarla in maniera brutale. Sono stato cattivo con lei. Ogni parola che mi è uscita dalla bocca l'ha ferita come una coltellata, gliel'ho letto negli occhi che la stavo spezzando dentro, che stavo buttando via quel rapporto speciale che solo noi due abbiamo.

Mi ha evitato da quando siamo partiti stamattina per il solito giro della domenica, ho cercato di avvicinarmi, di parlarle ma lei non mi ha nemmeno salutato. Mi ha fatto stare male, ma lo so che me lo merito. Mi merito che mi gridi contro, che mi prenda a schiaffi, che mi insulti finché ha aria nei polmoni, ma lei mi sta riservando un trattamento ancora peggiore: mi sta ignorando, sta sorridendo a tutti, sta fingendo che sia tutto normale e che io non esista. Ma io posso leggerglielo negli occhi che sta male, l'ho vista abbassare la testa e fissarsi le mani per interminabili minuti, per poi rialzare lo sguardo verso chi le sta parlando con un sorriso triste che non le raggiunge gli occhi.

Durante il pranzo è sempre rimasta assieme al gruppo di adulti, non si è mai allontanata, forse perché così si sente più protetta, e la cosa che mi fa star male è che senta il bisogno che qualcuno la protegga da me, quando io vorrei solo stringerla tra le braccia e tenere il mondo fuori, farla stare bene in qualsiasi momento. Adesso però è sola, è seduta sulla panchina e sta mangiando il gelato alla vaniglia... lo so che non è il suo preferito, che cioccolato e fragola sono i suoi gusti preferiti, ma io sono riuscito a rovinare anche quello perché sono solo uno stronzo. Per un attimo esito, non sono convinto di quello che sto per fare, perché forse questo è un infierire su qualcosa che ho già rovinato... per un bisogno che ho io di sentirmi meglio, ma io non merito di sentirmi meglio, non merito di alleggerirmi la coscienza. Alla fine scaccio i miei dubbi dalla testa e mi avvicino a lei.

«Anna» sussurro.

La vedo irrigidirsi ma non si gira, continua a mangiare il suo gelato come se non fossi nemmeno presente. Ma lo so che finge, posso leggerlo dalla sua postura rigida che sente la mia presenza come io sento la sua.

«Anna, posso parlarti?»

Sono queste le parole che la fanno girare, furente e scontrosa come non l'avevo mai vista prima.

«Adesso hai voglia di parlarmi? Per dire cosa? Umiliarmi ancora come hai fatto venerdì? Mi dispiace, non ci sono le mie amiche e i tuoi amici ad assistere allo spettacolo» le sue parole escono glaciali, come se volesse farmela pagare per tutto il male che le ho fatto io.

«Ho bisogno di spiegarti» le parole mi muoiono in gola quando il sorriso amaro le compare sulle labbra.

«Non voglio sentire più niente di quello che esce dalla tua bocca» afferma risoluta.

«Anna, ti prego...»

«Marco, non voglio ascoltarti» alza la voce per la prima volta in vita sua.

Non l'ho mai sentita alzare la voce in questo modo, non solo con me, ma con nessuno in generale. Se c'è una persona calma e pacata è proprio Anna. Lei è quella che elargisce sorrisi a tutti, che spende una buona parola per far sentire meglio gli altri, che non si arrabbia mai neanche quando ne avrebbe tutte le ragioni... e io sono riuscito a tirare fuori il suo lato peggiore, quello arrabbiato, cattivo, quello che lei è sempre riuscita a gestire e nascondere.

«Marco, non credo che voglia parlare con te» è suo padre a distogliermi da quell'immagine che mi fa mancare il respiro dalla disperazione.

Alzo gli occhi su Giacomo, lo vedo con un mezzo sorriso comprensivo nei miei confronti ma, allo stesso tempo, deciso a difendere sua figlia anche con la forza, se necessario. Mi sento umiliato... umiliato dalle mie stesse azioni, dal fatto di essermi comportato come quei coglioni da cui ho sempre cercato di difenderla. Sposto lo sguardo e noto che gli altri stanno osservando la scena, pronti a intervenire nel caso decidessi di fare qualche colpo di testa perché, in fondo, sono io la testa calda, quello che si infila nelle risse, quello che beve e fa gli incidenti e mi rendo conto che hanno ragione. Sono io quello che ha rovinato tutto, che si è comportato esattamente come tutti si aspettano che mi comporti, come un coglione che non merita niente di buono nella sua vita.

Sorrido amaramente, annuisco a Giacomo e gli faccio intendere che non ho intenzione di insistere oltre, prendo le chiavi della mia moto, salgo in sella, l'accendo e metto il casco senza più voltarmi a guardarli. Quando imbocco la strada vado talmente veloce che le sagome degli alberi accanto a me sono solo colori confusi senza nessuna forma. Se una macchina dovesse, per qualche motivo, tagliarmi la strada in questo momento non riuscirei a evitarla e nemmeno frenare, ma mi rendo conto che non mi interessa. In fondo di merito di morire spalmato sul parabrezza di un'auto come quell'insetto infame e schifoso quale sono.

[COMPLETA]Come in quella vecchia PolaroidDove le storie prendono vita. Scoprilo ora