Buongiorno! Come va la vostra mattinata? Lo so, lo so, sono in ritardo, qualcuno di voi me l'ha già ricordato su Facebook :P ... oggi però ho una sorpresina per voi che spero possa farmi perdonare... :)
Buona lettura!
Venerdì, 25 luglio 1997 (Anna, 18 anni)
È dalle dieci di questa sera che mi aspetto che Marco entri in camera mia come le altre sere. Le luci sono spente da un pezzo, ormai sono quasi le quattro e, a questo punto, ho seri dubbi sul fatto che questa notte passerà da me.
Ripercorro mentalmente la giornata di oggi, ripenso al fatto che i miei genitori siano ormai consapevoli che stiamo assieme, alla litigata che ho fatto con mio padre oggi pomeriggio perché, una cosa è più che certa, non approva la nostra storia e mi ha detto a chiare lettere che Marco porta solo guai e che devo lasciarlo. Ovviamente non ci penso neppure ma a questo punto non possiamo sbandierarlo ai quattro venti, per questo speravo che Marco si facesse vedere per parlarne con lui, condividere questa discussione che ho avuto e che riguarda tutti e due. Marco, però, mi fa aspettare per ore, a fissare quella maledetta porta che resta sempre vuota, non mi fa dormire, non mi fa quasi respirare.
Vorrei potermi muovere da questo letto, correre in stanza da lui e abbracciarlo. Infilarmi nel suo letto e dormire accanto a lui. Improvvisamente mi tornano alla mente le parole del primario e mi chiedo se mai riuscirò a correre di nuovo, cosa significa che la mia gamba riprenderà le sue funzionalità al novantacinque per cento? Significa che posso fare solo determinate cose e altre no? Che potrò farle tutte in maniera ridotta? Mi appunto mentalmente di fare queste domande al medico che passerà tra qualche ora per il controllo ma, in questo momento, la mia principale preoccupazione resta comunque il fatto che Marco non c'è e non arriverà.
Mi allungo a fatica verso il comodino accanto al mio letto, afferro le parole crociate che mia madre mi ha portato stamattina, la penna e anche un tovagliolo di carta, residuo del pranzo dei miei genitori. Appoggio il giornale sulla mia pancia, ci stendo sopra il tovagliolo, e comincio a scrivergli una lettera. Ci metto l'anima nelle parole che riverso sul foglio ingiallito, ci scrivo quanto mi manca, quanto vorrei rivederlo, quanto mio padre si sbagli completamente sul fatto che dobbiamo lasciarci. La scrivo di getto, la rileggo un paio di volte e mi accorgo che assomiglia molto a una stupida lettera da ragazzine alla prima cotta ma non mi importa, ho bisogno di sentirlo, di vederlo e se potessi mi alzerei dal letto per andargliele a dire di persona queste parole... ma sono bloccata qui, a guardare quella porta e chiedermi perché non sia venuto stanotte.
«Allora, come ti senti?» L'infermiera mi domanda con una gentilezza tale che gran parte delle mie paure scivolano in un angolo del mio cervello che faccio fatica a raggiungere.
«Mi sento come se avessi avuto un incidente» le sorrido.
La donna sembra divertita, poi si avvicina per i controlli che ogni sacrosanta mattina devo sorbirmi. Sono qui, a letto, non posso muovermi neppure per andare al bagno, come pensano che possa cambiare la mia situazione? Magari è proprio questo che li spaventa, che non cambi, che non migliori, che siano costretti a tenermi qui una vita intera.
«Posso chiederti un favore?» È giovane, mi permetto di darle del tu.
Lei mi sorride ma non mi dice niente.
«Potresti dare questa a Marco?» Le chiedo allungandole la lettera.
Si ferma, mi guarda diversi interminabili secondi ma non accenna a prenderla.
«Lo sai che non posso vero?»
No, non lo so... non mi è mai neanche venuto in mente che non potesse farlo, altrimenti non glielo avrei chiesto.
«Ti prego... dovrò fare la pipì in un contenitore di plastica per i prossimi mesi, non riuscirò mai a dargliela prima che sia dimesso» mi rendo conto di essere completamente senza nessuna vergogna ma è davvero frustrante non poter fare nulla di quello che vorrei. «Ti prego» sussurro quando vedo un segno di cedimento.
La ragazza mi guarda, sospira, prende il foglietto e se lo mette nel taschino della divisa.
«Non posso passare, però, prima di aver finito il mio turno, ok?» Mi dice con l'aria un po' severa, come se mi dovesse rimproverare ma non avesse nessuna voglia di farlo.
«Grazie» sussurro vergognandomi un po' per aver fatto pressioni.
La ragazza scuote la testa, mi sorride e poi esce per continuare il suo giro tra i pazienti. Io invece rimango lì, ad aspettare che Marco entri da quella porta. Le cinque diventano ben presto le sei, poi le sette, le otto, le nove... non chiudo occhio, i miei continuano a parlarmi, la mattinata scivola via completamente. Il pranzo diventa un'agonia mentre il pomeriggio sembra eterno e l'unica cosa che riesco a fare è chiudere gli occhi per qualche ora e recuperare il sonno perso durante la notte. Arriva l'ora di cena, poi quella per i miei di tornare a casa, l'ora del giro delle infermiere, le luci spente e un'altra notte in attesa che Marco rientri da quella porta ma di Marco non c'è neppure l'ombra.
Aspetto lì, come una cretina, nella speranza che ci sia del movimento in corridoio. Resto lì e penso mille volte alle parole che mi ha detto solo ieri mattina, che non mi avrebbe lasciato per delle cicatrici, eppure eccomi qui, ad aspettare che si faccia vivo, con le palpebre pesanti e gli occhi che bruciano come se mi avessero versato dell'acido.
Marco sembra scomparso, l'infermiera a cui ho dato la lettera sembra scomparsa... e anche tutte le mie certezze sembrano averli seguiti perché a questo punto non mi chiedo più "quando" rivedrò Marco, ma "se" lo rivedrò e l'angoscia che mi prende facendo questo pensiero mi fa mancare il respiro. Inizio a piangere, consapevole del fatto che sono distesa su questo letto senza poter fare nulla se non aspettare che qualcuno mi dica dove sia finito Marco. Ho anche pensato che sia improvvisamente peggiorato, che le sue condizioni si siano aggravate, ma dubito che i miei genitori siano così cattivi da tenermi nascosta una cosa del genere... e la conclusione a cui arrivo mi fa ancora più male perché è chiaro che sia proprio Marco a non volermi più vedere.
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[COMPLETA]Come in quella vecchia Polaroid
Chick-LitAnna è una ragazza all'ultimo anno del liceo; è carina, posata, dolce, studiosa ma non un topo da biblioteca. Ama uscire con le amiche, leggere libri e guardare film. Marco è un venticinquenne moderatamente ricco, scapestrato, con un unico vero amic...