Capitolo 35 - Streets of London

88 11 0
                                    

Un buffetto sul naso mi sveglia mentre il treno lentamente frena. Apro gli occhi e mi accorgo che siamo arrivati a Liverpool Street.

«La prossima è la nostra» dice Teddy tamburellando le dita sulle ginocchia, tenendo gli occhi fissi sul finestrino come se, in quel modo, il treno potesse arrivare più velocemente. Mi stiracchio e riprendo una posizione normale sul sedile. «Scusa, non sono stata molto di compagnia» mormoro sbadigliando. Teddy fa spallucce e si alza per prepararsi a scendere. Nessuno intorno a noi è in piedi ma decido di assecondare la sua ilarità, così mi faccio guidare verso le porte automatiche. Qualche minuto dopo scendiamo e percorrendo la strada verso l'uscita inizio a respirare quella strana sensazione che una città come Londra riesce a dare a una povera campagnola come me. Il traffico, il caos, la pioggerellina lieve che non scalfisce nemmeno un po' gli abitanti sempre di corsa. Il susseguirsi degli uomini d'affari, delle signore in tacchi a spillo uniti da un solo coro: "permesso", "scusa", "posso passare, per favore?". Prendiamo la metropolitana fino a Trafalgar Square, dove una strana manifestazione musicale, con strani strumenti da ogni parte del mondo sembra voler assordare tutta Londra. Teddy, tuttavia, si guarda intorno come se non avesse mai visto la città, allarga le braccia come a dire "Guarda un po' che meraviglia!". «Sembra che tu sia qui per la prima volta» «Un po' è così» dice abbracciandomi e facendo scivolare avvicinando la sua bocca al mio orecchio «Non sono mai stato così lontano» «Vorrei sentirmi anche io così quando torno a casa» «Oxford non ti farebbe sentire così?» «Forse» dico incerta. Vorrei dirgli che ora tornare a Oxford sarebbe come guardarsi allo specchio e non riconoscersi, vorrei dire tantissime cose che, so per certo, rovinerebbero l'atmosfera. Così, mi lascio guidare da lui. E lui sembra sempre sapere dove andare, come se sapesse che mostrarmi i suoi luoghi di Londra è un po' come mostrarmi una parte intima di sé stesso. «Ancora non ho capito una cosa» «Dimmi» bofonchia addentando un biscotto al cioccolato. «Perché siamo a Londra oggi?» «C'è la remota possibilità che oggi i miei ci raggiungano per un tè. Devono darmi delle scartoffie da firmare così ho pensato di...» «I tuoi? Tu hai dei genitori?» dico, rendendomi immediatamente conto di aver formulato la domanda nel modo più stupido esistente. «Ottima deduzione, Sherlock» ride «Loro sanno che non sei solo?» «Elementare, Watson» risponde mimando con la mano la lente di una lente di ingrandimento. **

Passeggiando per Hyde Park osservo Teddy sorridente dopo la sua spesa folle nel reparto bambini di Harrods: due trenini giocattolo e un peluche decisamente troppo grande per un uomo di quasi trent'anni. Ma chi vogliamo prendere in giro? Non esiste un'età e non esistono peluches troppo grandi.

Gli alberi appena in fiore sono abitati da piccoli scoiattoli che si fanno vedere a malapena a causa della folla che di sabato popola il parco. Stranamente, infatti, nemmeno una nuvola copre il cielo di Londra in questa timida giornata di fine aprile. Pare che tutti abbiano già scordato il freddo glaciale dell'altro giorno per procedere al cambio di stagione. Pantaloni corti e t-shirt vengono sfoggiate senza paura da turisti e londinesi intrepidi. Osservo Teddy. Indossa una camicia di flanella a fantasia scozzese blu e nera. Le maniche risvoltate fino al gomito lasciano intravedere le braccia tatuate. Cerco pigramente di distinguere alcuni dei disegni colorati: tante piccole figure si accalcano le une sulle altre coprendo praticamente in modo totalmente casuale la superficie delle sue braccia. «Senti, non te l'ho mai chiesto» avanzo io «Che significato hanno i tuoi tatuaggi?» Teddy sorride, alzando il sopracciglio, come se quella domanda gliela avessero già fatta in mille prima di me. «Sai che sei la persona che ci ha messo più tempo a chiedermelo?» «Beh, non potevo certo dirti "Ehi, ciao sono Piper! Oh mio Dio, ma che cosa sono quelli?"» esclamo. «In realtà non hanno il classico significato simbolico che per molti devono avere i tatuaggi» «No, infatti, immaginavo» dico cercando con le dita la bottiglia di Ketchup tatuata sul suo avambraccio «Questa non mi sembra molto significativa» «Mi piace il Ketchup. Questo è il significato» «Che vuol dire? Anche a me piacciono i tortellini in brodo, ma mica me li tatuerei in fronte» «Allora, tu parti dal presupposto di dover dire chi sei attraverso i tuoi tatuaggi» «Mmmh» «Io sono così: non ho avuto grandi rivelazioni durante un viaggio in Perù, ma mi piace il Ketchup» «Okay...» «Però, sì, è vero. Qui ci sono io. Ci sono le iniziali dei miei genitori, l'anno in cui ho comprato il mio primo computer, il disegno del mio pupazzo preferito...» «Questo cos'è?» chiedo indicando un piccolo cerchio attorno al quale campeggia il numero "42". «Questa è la risposta alla vita, l'universo e tutto quanto» dice facendomi l'occhiolino «Hai fame?»

Us against the world - In revisioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora