XI

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«work hard in silence»

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«work hard in silence»



«Allora Taehyung, non puoi andare a piedi, devi sederti per forza qui» Spiegò la signora, tenendo per i manici una carrozzina nera. Taehyung non si oppose, si sentiva troppo giù per replicare, cosa che la donna capì subito. Era solita a lavorare in quel reparto da anni e sapeva come, quell'età, una situazione del genere potesse distruggerti, non solo fisicamente, ma anche a livello psichico.

E per Taehyung era proprio così. Distrutto a livello fisico e a livello emotivo. Si sentiva instabile. In bilico.

In bilico era la definizione giusta. Stanco, senza forze. Non sapeva cosa doveva fare, non voleva sbilanciarsi. Un minimo peggioramento avrebbe reso la situazione ancora più drastica, e a lui, francamente, in quegli attimi passò per la testa che fosse anche la cosa giusta. Mettere fine a tutto. Dall'altra parte, però, aveva promesso alle persone a lui più care che non avrebbe smesso di lottare. Per i suoi nonni, per i suoi genitori e... e per Jimin.

Entrarono nel reparto di radiologia.

Freddo e umido. Gli avevano appena spiegato che avrebbe dovuto fare un esame rumoroso e fastidioso. Un tubo lungo quanto tutto il suo corpo che emetteva suoni davvero strani e forti. Gli spiegarono che era un macchinario che serviva a creare delle immagini dettagliate del suo corpo, per dare un'ampia vista ai suoi dottori.

Prima di farlo entrare nella stanza bianca e gelida, lo portarono in un piccolo stanzino dove gli iniettarono un liquido trasparente nel piccolo aghetto che aveva nel braccio. Bruciava ed era fastidioso, però sopportava in silenzio. Aveva smesso di lamentarsi, lo considerava inutile. Preferiva tenersi tutto dentro.

Pochi minuti dopo essersi accertati che il farmaco non gli avesse dato fastidio, lo accompagnarono nella stanza dell'esame.

Il macchinario era stretto e metteva un senso di claustrofobia anche a chi non ne soffriva. Prese una grande boccata d'aria e si stese sul lettino, dove lo sistemarono per bene.

«Taehyung, devi stare fermo, immobile. Evita di fare qualsiasi minimo movimento o le immagini verranno distorte e dovremmo rifare tutto da capo, capito?» Disse gentilmente la donna. Il grigio annuì, spaventato. Non gli allettava per nulla rimanere fermo dentro quel grande e bianco tubo per tutto quel tempo.

Poco dopo fecero scivolare dentro il lettino e accesero la macchina. Rumori forti, ritmici e senza fine riempivano la stanza. Taehyung chiuse subito gli occhi, spaventato dalla piccola capacità della macchina. Serrò la mascella, rimanendo il più immobile possibile.

Voleva uscire da lì dentro, voleva urlare, ma non lo fece. Cercò di concentrarsi sui rumori, regolarizzando il respiro.

Aveva appena compiuto un passo avanti, si stava calmando.

Ci era riuscito, era riuscito a regolarizzare il respiro, chiudendo gli occhi e pensando a tutt'altro.

Gli venne addirittura da sorridere perché il suo primo pensiero fu proprio del biondo. Jimin, senza di te ora dove sarei? la sua mente vagava, pensando a tutte le volte che si era tranquillizzato proprio grazie a lui. Gli doveva molto, in quegli ultimi giorni ancora di più. Riteneva Jimin una persona speciale, di grande importanza, per la sua vita.

Jimin era quella persona che, nonostante tutto, ti rimaneva affianco, preoccupandosi sempre di come potessi sentirti o, semplicemente, di farti sorridere. Questo era lo spirito di Jimin. Uno spirito che coltivò durante gli ultimi anni, passati tra un ospedale e l'altro.

L'esame finì e Taehyung, appena fu fatto uscire dal macchinario, si alzò di scatto, in piedi, perdendo l'equilibrio.

«Ehi, ehi, calmo. Non vorrai mica essere spostato in ortopedia perché ti sei rotto qualche ossa?» Lo rimproverò il medico, facendo ridacchiare le due infermiere. «Ha ragione, mi scusi» rispose il grigio, osservando il pavimento.

Si sedette di nuovo sulla sedia e andarono verso un altro reparto, dove venne eseguita un'altra visita.

[...]

Taehyung era fuori la stanza dove la visita era appena terminata. Non riusciva a capite lo stupore dei medici, da quando aveva iniziato questa sfilza di esami. Alcuni sembravano contenti, altri molto confusi. Decise di rimanere zitto e di non chiedere nulla saranno loro a dirmelo, no?

L'infermiera uscì, porgendo la cartella al ragazzo, poi prese i manici della carrozzina e si incamminarono verso il suo reparto, dove Jimin lo stava aspettando.

Scosse la testa quando si accorse che aveva passato tutto il pomeriggio con il pensiero fisso del biondo in mente.

Sei insistente Jimin-ah.

Sospirò, sorridendo, appena varcarono le grandi porte del reparto, quando vide il suo compagno di stanza lì, appoggiato al muro, che lo stava aspettando.

«Posso alzarmi?» Chiese di fretta e l'infermiera annuì.

Si avventò verso il suo amico, abbracciandolo.

«Ti voglio bene, Jiminie.»

«Ehi, Taehyungie» ridacchiò Jimin stringendolo a sé «ti hanno fatto una dose grande di glucosio*? Sei così appiccicoso e dolce» risero entrambi, guardandosi negli occhi.

Jimin gli prese la mano, per l'ennesima volta, avviandosi verso la loro stanza. Chiuse la porta e fece appoggiare il grigio su di essa, avvicinandosi e poggiando le labbra sulle sue.

Mi era mancato così tanto, Cristo pensò Jimin, appena si staccarono, guardandosi dritti negli occhi.

«Sei bellissimo, Jimin-ah» mormorò il grigio, mordendosi il labbro.

Rimasero così per qualche istante, in silenzio. I loro respiri si mescolavano, grazie alla poca distanza, facendoli diventare un tutt'uno, proprio come stavano diventando loro due, senza rendersene conto.

*per chi non lo sapesse, il glucosio è lo zucchero.

Oncology | VminDove le storie prendono vita. Scoprilo ora