Capitolo 4 (1.2)

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Roger's PoV

Sono abbastanza eccitato per questa nuova avventura, lo devo ammettere. Sono stufo di frequentare noiose lezioni private rinchiuso nella villa all'interno della quale vivevo, e soprattutto ho bisogno di allontanarmi dalla mia famiglia e da tutte le pressioni e le responsabilità che mi addossano.

"Un Taylor deve portare avanti il nome della famiglia", era questa la frase che mi sentivo ripetere più spesso.

Non che da più piccolo io non desiderassi sentirmi simile ad un adulto, con la convinzione e l'illusione di non dovere sottostare ad alcuna normativa, eppure le priorità negli ultimi tempi si sono largamente riproporzionate.

Fino a qualche anno fa, sapevo qual era e quale sarebbe stato il mio posto nella società, non mettevo minimamente in discussione le parole dei miei genitori che per me erano legge. Eppure con l'età avevo iniziato a pormi le prime domande fra le quali: "È giusto quello che mi vogliono far fare? Programmare la mia vita senza chiedermi un parere, organizzare ogni minimo dettaglio in modo che niente e nessuno sia fuori posto?"

Non era semplice spirito di ribellione, quanto più che altro una voglia di libertà imparagonabile a qualsiasi altro sentimento e desiderio mai provato in precedenza. Era una cosa nuova per me, e le mattinate passate in compagnia del mio insegnante privato intento a tentare di farmi apprendere nozioni che ritenevo inutili erano diventate sempre più pesanti.

I pranzi erano asettici e privi di un qualsiasi dialogo aperto: mio padre o mia madre iniziavano a parlare, prevalentemente dei progetti per il pomeriggio, ed io restavo in silenzio ad ascoltarli, o perlomeno a fingere di farlo.

Ed in seguito veniva la parte più noiosa della giornata, quella dedicata alle relazioni e all'interazione con le altre persone. I legami con la gente mi hanno sempre affascinato, a patto che queste persone non si rivelino noiose e prive di qualsiasi accenno di personalità. I nostri abituali ospiti erano una famiglia facoltosa nel mondo dei maghi: una coppia di marito e moglie e due figlie femmine, una di sedici anni e l'altra mia coetanea, quattordici anni da poco compiuti. Mal sopportavo le loro attenzioni, sempre così infantili e superficiali, e non vedevo l'ora che quelle due oche se ne andassero per arrivare al momento in cui potermi fare una doccia ed, eventualmente, schiarirmi le idee con una passeggiata.

Avevo preso un libro in una biblioteca babbana di Londra, all'insaputa di tutti. Avevo chiesto ad una governante, che sin dalla mia più tenera età era la mia confidente, di procurarmi qualche testo interessante che non possedesse alcuna traccia di autori appartenenti al mondo magico. La donna, Anna, subito aveva provveduto e ricordo il suo sorriso fiero mentre mi porgeva il testo da lei scelto: Shining.

Oltre ad avere apprezzato molto la trama, ricca di suspense ed elementi terrorizzanti, avevo notato la spiccata personalità di Wendy, la moglie dell'uomo protagonista del racconto. Era una donna sempre stata succube dei desideri e del volere del marito, che non si azzardava a fare osservazioni sul comportamento del consorte, almeno inizialmente. Shining era la storia di una donna capace di ribellarsi al controllo pressante del proprio marito, e che in un modo o nell'altro cerca di trovare una via d'uscita alla situazione nella quale si trova.

Da quel romanzo nel mio cuore era germogliata la convinzione di potere cambiare qualcosa nel controllo pressante dei miei genitori, convinzione che con il tempo e grazie a numerosi episodi si era radicata in me e si era fatta sempre più forte e decisa.

Lo leggevo spesso nei momenti nei quali non ero obbligato a fare altro. Non lo dissi mai ai miei perché la nostra è una famiglia purosangue tradizionalista: al contrario dei miei principi, i miei genitori sostengono che i maghi si possono sposare solo ed esclusivamente con le persone del loro stesso ceto sociale. Pensare di dirgli di avere letto un romanzo babbano era assolutamente impensabile.

𝐡𝐨𝐠𝐰𝐚𝐫𝐭𝐬' 𝐪𝐮𝐞𝐞𝐧 [𝐜𝐨𝐦𝐩𝐥𝐞𝐭𝐚]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora