Avevo fatto solo due passi fuori dal portone del liceo quando i miei occhi, ormai allenati a quell'esercizio, scorsero la figura di Viola in mezzo alla folla che si attardava in cortile dopo il suono dell'ultima campanella.
La ragazza che stavo osservando mi dava le spalle ed era già in prossimità del cancello di ferro battuto che chiudeva l'uscita, ma non avrei potuto confonderla con nessun altra. Mi fermai dov'ero, sentendomi travolgere dall'emozione, e fissai lo sguardo sulla nuca di Viola, cercando di indurla telepaticamente a voltarsi.
Voglio solo guardarti in faccia un'ultima volta, pensai. Solo un momento. Non ce la faccio ad aspettare fino a domani.
Viola si girò. Non verso di me, verso Claudia che le stava dicendo qualcosa, ma andava bene lo stesso. Potevo guardarla in viso ancora per qualche secondo. Presto si sarebbe incamminata verso casa: avrei dovuto aspettare il suono della prima campanella del mattino seguente, per ritrovare i suoi occhi verdi, le sue mani aggraziate e sempre in movimento, i suoi lunghi capelli biondi ondulati, sempre un po' in disordine, che si arricciavano dolcemente sulle punte.
Vedevo Viola solo tre volte al giorno: all'entrata di scuola, durante la ricreazione, all'uscita. Passavano diciannove ore tra l'ultima volta che la vedevo, e la prima del giorno successivo: diciannove ore che mi sembravano diventare, col passare del tempo, sempre più lunghe.
La situazione è preoccupante, vecchio mio, dovetti riconoscere. Viola Padovesi, che frequentava il primo liceo nella sezione F (io ero in primo B, Iacopo in primo D) era stata solo un bel viso da ammirare e un pensiero piacevole sul quale soffermarsi, almeno fino alla fine dell'anno scolastico precedente. Poi qualcosa era cambiato. Avevo due ipotesi in merito: o non vederla per tutta l'estate aveva avuto un effetto aggravante sulla mia infatuazione, oppure il sole dei mesi caldi l'aveva fatta sbocciare come un fiore esotico, perché era tornata dalle vacanze almeno dieci volte più bella di come me la ricordavo. Potevano anche essere vere tutte e due le cose, a ben pensarci.
In quale momento, avevo spesso rimuginato, mi ero innamorato di lei? Qual era stato il giorno nel quale il suo limpido sorriso aveva scagliato per la prima volta una dolorosissima e squisita freccia nel mio cuore? Impossibile dirlo. Era come la vecchia storia della rana nella pentola: se la getti nell'acqua bollente, la rana salta fuori; se invece la depositi nell'acqua fredda e accendi il fornello per cucinarla a fuoco lento, la sventurata ranocchia resterà tranquilla a nuotare fin quando non sarà cotta a puntino.
Ecco, era proprio così che mi sentivo in quel momento. Cotto a puntino.
Viola raccolse la borsa e si sporse verso le compagne di classe per la rituale serie di doppi bacetti sulle guance. Non si tratteneva mai a lungo dopo il suono della campanella, e le persone che salutava raramente la accompagnavano sulla strada di casa. Tutta la sua vita era fuori dal liceo: una vita della quale non sapevo nulla. Chi era la sua migliore amica? Andava d'accordo con i suoi? Dove abitava? Che film guardava la sera, che musica ascoltava quando infilava gli auricolari nelle orecchie? Conoscevo a malapena il suono della sua voce, per averle rivolto la parola una singola volta, l'anno precedente.
Un languore caldo, come un appetito che non può essere soddisfatto, mi si allargava nello stomaco mentre la guardavo andar via. Mi incantai a guardare il dondolio della sua chioma bionda sul cappotto di lana. I miei occhi scesero ad osservare il movimento svelto delle sue gambe lunghe e ben tornite. Quelle gambe erano state disegnate da un artista. Il languore prese a sgocciolare giù dallo stomaco, fino ad aree situate più in basso...
Un urto sgarbato contro la spalla sinistra mi riportò alla realtà. Due terzi dei Tre Stronzi mi superarono sghignazzando.
"Sveglia, Felici!" rise Santarelli, che mi aveva appena spinto con il suo braccio lardoso. "Stai in mezzo ai cojoni come un palo della luce." Nemmeno potevo dargli tutti i torti: mi ero bloccato a guardare Viola proprio davanti al portone di scuola.
"E chiudi la bocca, che c'entrano li cazzi," rincarò Matteo Di Rosa, il suo degno compare. I due si allontanarono dandosi di gomito come il gatto e la volpe. Arrossii, pensando alla faccia da ebete che dovevo avere avuto mentre contemplavo tutta quella bellezza.
Razza di deficienti, pensai, senza degnarli di ulteriori considerazioni. Guardai di nuovo verso Viola per cogliere un ultimo lampo di luce dalla sua chioma; la ritrovai già fuori dal cancello e pronta ad allontanarsi lungo Viale delle Milizie.
Una serie di fitte mi trafissero cuore, stomaco e un altro paio di organi adiacenti, al pensiero di non vederla fino alla mattina seguente. I miei piedi si mossero ed iniziai a tenerle dietro.
Non sapevo cosa volessi fare a parte seguirla, ma non ero ancora pronto a salutarla.
La seguo soltanto per un pezzettino, giusto per vedere in che direzione va, pensai.
A quella voce nella mia mente ne rispose un'altra, che parlava un tono molto più animato, quasi isterico. Già, perché pedinare una ragazza che ti piace non è da maniaco sessuale e da psicopatico, mi comunicò. Proprio per niente. Fermati, cazzo, dove vuoi andare?
Non mi fermai. La filigrana d'oro dei capelli di Viola si avvicinava. I suoi passi sul marciapiede sporco erano musica in movimento.
Iacopo entrò di botto nel mio campo visivo dal lato sinistro. "Ahò, ecco dove stavi!" esclamò. "Pensavo che eri già andato via."
Inchiodai sulla suola delle scarpe e maledissi silenziosamente il mio amico per essersi messo fra me e l'oggetto del mio anelito.
"Senti, ma allora stai a passa' da me 'sto pomeriggio?" mi domandò Iacopo. Viola si stava inesorabilmente allontanando. Non guardare lei, imbecille! Guarda Iacopo!
Con fatica immane, torsi la testa nella sua direzione. Iacopo sembrava solo moderatamente immusonito, per i suoi standard: aveva mezza frangia davanti agli occhi e le mani cacciate nelle tasche del suo felpone degli Slipknot, quello nero con la scritta People = Shit (un efficace riassunto del suo approccio alle relazioni sociali).
Mi costrinsi a sorridere. "Sì, certo zì," risposi. "Siamo solo noi due?"
Iacopo fece spallucce, con fare indolente. "Vuoi chiama' qualcuno? Come te pare..."
Ho capito, devo pensarci io a fare un paio di telefonate, mi dissi, non senza una certa irritazione.
Mi sentivo così amareggiato e pieno di desiderio frustrato che nemmeno la prospettiva di trascorrere il pomeriggio in compagnia dei miei amici riusciva a entusiasmarmi. Nei miei pensieri c'era spazio solo per Viola. Iacopo stava dicendo qualcosa, ma smisi di ascoltarlo per guardare oltre la sua testa, verso quella sottile figura bionda con la borsa appesa su una spalla.
Viola arrivò al semaforo, guardò a destra e a sinistra, attraversò e poi scomparve in direzione della metropolitana.
Le fitte allo stomaco erano diventate un peso di granito nelle viscere.
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Scendi, sto qua sotto!
Teen Fiction⭐VINCITRICE WATTYS 2021⭐ Leo ha sedici anni, un migliore amico che deve spesso impegnarsi a tirar su di morale e una vita tranquilla passata tra i film, la musica, il tavolo di Dungeons & Dragons e le birre al pub sotto casa. Questo, naturalmente, f...