14. Forse penserai che sono nato vecchio

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Il venerdì pomeriggio, dopo scuola, mi misi in cammino per raggiungere casa di Gaetano-detto-Elio.

Il mio amico abitava nel quartiere Parioli, in un alto e lussuoso appartamento affacciato sul panorama dell'Auditorium e dei quartieri situati più in basso, nei quali risiedeva la plebaglia (tipo il sottoscritto). Ero uscito di casa con l'intenzione di prendere i mezzi, ma il bus come al solito si era fatto attendere. Alla fine, stanco di stare al freddo sotto la fermata, con il rischio di trasformarmi in uno stoccafisso, avevo inforcato le cuffiette del lettore mp3 e mi ero messo in marcia verso i Parioli maledicendo l'inefficienza dei trasporti pubblici romani.

Quel giorno erano gli AC/DC ad accompagnare i miei passi: mi ero incamminato con i rintocchi di campana di Hell's Bells nelle orecchie, avevo costeggiato l'Auditorium e preso la salita di via Gaudini mentre Brian Johnson domandava insistente What Do You Do for Money Honey con la sua ugola di carta vetrata, per giungere di fronte al citofono di Elio proprio sull'ultimo schianto di chitarre e piatti di Let Me Put My Love Into You. Il lato B dell'album, con la title-track e il pezzo più bello, You Shook Me All Night Long, mi aspettava per il viaggio di ritorno.

"Ohi Elio, scendi? Sto qua sotto."

Non entravo mai in casa Biancaniello se potevo evitarlo: l'appartamento, luminescente e lussuoso, rivestito di marmi pregiati e ingombro di suppellettili che non sarebbero state fuori posto in un museo, mi faceva sentire come un elefante in un negozio di Swarovski, sempre con il timore di fare un movimento sbagliato e sporcare o rompere qualcosa di inestimabile. Inoltre, Elio conviveva con due dachshund sociopatici, che rispondevano agli improbabili nomi di Karlheinz e Stockhausen e, per qualche motivo, me l'avevano giurata dal primo momento in cui avevo varcato la soglia dell'abitazione: al minimo accenno della mia presenza, i malefici cani iniziavano ad abbaiare e ringhiare come cerberi, chiaramente impazienti di affondare le loro zanne nelle mie tenere carni. Di solito, Elio li rinchiudeva nella loro camera quando ero presente (sì, i due cani avevano una stanza tutta per loro), ma continuare a sentirli strepitare dietro la porta chiusa mi metteva addosso dei gran nervi, come se quelle creature scalmanate potessero liberarsi e assalirmi da un momento all'altro; preferivo, quindi, restare lontano da loro il più possibile.

Agitai la mano in direzione di Elio quando lo vidi arrivare dall'androne del condominio, imbacuccato dalla testa ai piedi con cappotto, sciarpa, guanti e berretto di lana (soffriva molto il freddo); solo il suo lungo naso e i suoi occhi neri, dietro gli occhiali fuori moda, erano scoperti.

"Buonasera mio caro," mi salutò Elio, e subito rabbrividì. "Ti prego di non lasciarmi qui fuori al gelo un minuto più del necessario."

"Certo che no," lo rassicurai. "Andiamo al solito bar e ci prendiamo un bel caffè."

Il bar distava solo di due minuti di camminata veloce. Sedemmo a un tavolino di legno tirato a lucido, di fronte a un grande specchio che ingigantiva l'interno, già ampio, del locale. Togliemmo i cappotti e il resto delle nostre imbottiture invernali: il bar era riscaldato a dovere, forse anche troppo.

"Dunque," iniziò Elio, ravviandosi i corti capelli scuri, precocemente radi sulle tempie, "qual era il favore immenso al quale accennavi nel tuo messaggio? Non per sminuire il semplice piacere di trovarmi in tua compagnia a sorseggiare una bevanda calda, naturalmente..."

"Fammi ordinare e ti dico tutto."

Davanti alla mia tazzina di caffè espresso zuccheratissimo, raccontai a Elio della questione della festa e dei vestiti, e di come speravo potesse aiutarmi prestandomi qualcosa di suo. Presi in considerazione di invitarlo a venire con me, ma non lo feci; dopo il rifiuto di Iacopo, avevo deciso che, se il compleanno di Liliana avesse dovuto trasformarsi in un'esperienza imbarazzante (o peggio), non volevo coinvolgervi anche i miei amici.

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