42. Se questo fosse un romanzo

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Il lunedì mattina era così assolato e piacevole che non sembrava nemmeno un lunedì.

Nel baretto di Bob si respirava un'aria fragrante di cornetti e cappuccini. Guardai l'ora: avevo ancora quindici minuti prima del suono della campanella. Intorno a me, era tutto un ripassare concitato e uno scambiarsi pareri e preoccupazioni sulla giornata scolastica che stava per iniziare.

"Buongiorno, Leo!" salutò Liliana, affiancandomi e schiacciando la sua guancia contro la mia. "Cornetto e cappuccino? Offro io."

"Sì, volentieri," risposi, guardandomi intorno alla ricerca di un tavolino libero, senza trovarlo. "Ma volevo offrire io, per..."

"Leo," mi interruppe lei, prendendomi per le spalle con studiata esasperazione. "Che cosa lo prendi a fare, il caffè, con un'amica ricca sfondata, se manco la lasci offrire?"

"Mi arrendo."

Avremmo dovuto bere il cappuccino al bancone, anche quello affollato di studenti che sgomitavano per una colazione. Ci infilammo fra due quartini brufolosi, uno dei quali — un aspirante punk con i capelli dritti, un lucchetto al collo e una maglietta sporca dei Rancid — al passaggio di Liliana abbandonò il suo contegno nichilista da ragazzo dello zoo di Berlino, sbarrò gli occhi e ruotò la testa come un gufo per seguire i movimenti sinuosi della mia compagna di classe. Io e Liliana facemmo finta di non vederlo.

Era rimasto un solo sgabello su cui sedersi, e lo offrii cavallerescamente alla ragazza che mi accompagnava. Lei ordinò, scambiò un paio di convenevoli con Bob (ormai non mi stupivo più del fatto che Liliana conoscesse tutti), poi rimase ad ascoltarmi, sorseggiando assorta il cappuccino, mentre le raccontavo di tutto ciò che era successo sabato sera.

"Sei stata tu, quindi, a chiamare Gabriele e gli altri?" domandai infine.

Lei annuì. "Benedetta ti ha sentito mentre urlavi come un pazzo in balcone. Beh, lei e altre venti persone," ridacchiò, intingendo il suo cornetto mignon. "Io ero in cucina e non mi sono accorta di niente; ho fatto appena in tempo a tornare in salotto che tu sei corso via. Ho chiesto a Benedetta, lei mi ha detto che eri fuori di testa, che avevi nominato un bellimbusto di merda — ovviamente Ricci — e che avevi detto aspettami che ce vengo. Ho capito che, nove su dieci, stavi andando a Piazza Cavour, allora ho chiamato Gabrio — per fortuna stava a Trastevere col resto della comitiva. Sono partiti a razzo. Meno male che Di Lorenzo c'ha la macchina!"

"Non riesco a credere che siano venuti ad aiutarmi," commentai. "Questo non me l'aspettavo proprio. Ah, comunque grazie, Liliana. Non so proprio come ringraziarti... e poi dovrò andare a ringraziare Gabriele e tutti gli altri uno per uno."

"Di niente. E poi, perché pensavi che non sarebbero venuti?" Liliana mi scrutò inarcando un sopracciglio. "Secondo me, ti sei proprio messo in testa che siete tu e Iacopo, da soli contro tutta la scuola. Lo vedi che hai i complessi di persecuzione? Siamo compagni di classe, Leo. Magari non usciamo insieme il sabato sera, chiaramente abbiamo interessi diversi, ma mica potevamo lasciare che Ricci e i suoi ti facessero a pezzi senza alzare un dito." Bevve l'ultimo sorso di cappuccino, schioccò le labbra con aria deliziata, poi fece brillare il suo sorriso da Stregatto. "Non dovresti sottovalutare, comunque, il fatto che Gabrio e gli altri non vedevano l'ora di avere un pretesto per fare a botte con quelli di Piazza Cavour. In pratica li ho invitati a nozze! Anche se forse avrebbero dovuto mostrare un po' di prudenza, viste le stecche che hanno preso."

"Ok, messaggio ricevuto," sorrisi. "Cercherò di abbandonare i miei complessi di persecuzione."

Liliana si batté la mano sulla fronte. "Un momento! Mi stavo dimenticando... ma con Viola?"

Anche io non ci avevo quasi più pensato (il che era sbalorditivo in sé e per sé). Raccontai sbrigativamente di come era andato il mio tentativo di chiedere a Viola un appuntamento.

"Ma no, uffa! Che peccato," si lamentò Liliana. Mi diede una pacca sulla spalla. "E vabbè Leo, si vede che non era destino. Ci sono tanti pesci che nuotano nel mare, come si suol dire. Certo, non ti vedo proprio affranto," aggiunse. "Stai a vedere che alla fine è meglio così!"

"Chi lo sa," dissi, senza sbilanciarmi. Nemmeno io sapevo bene come sentirmi, riguardo a Viola.

Liliana saltò giù dallo sgabello e stiracchiò le braccia, seguita ancora una volta dagli occhi a palla del quartino punk. "Tra un po' suona. Meglio andare, prima che facciamo tardi." Aprì il borsellino, allungò cinque euro a Bob e prese il resto. "Quindi, cosa ne dici, Leo: questa storia è finalmente conclusa? Chiuso con Diego Ricci, chiuso con Viola?"

Come per una segreta associazione di idee, quella domanda fece affiorare alla mia mente il pensiero di Lara che affondava il cucchiaino nel gelato al cioccolato 70% e annunciava che non aveva mai assaggiato nulla di così buono. Dove c'è una conclusione, del resto, c'è sempre una pagina bianca per scrivere un nuovo inizio.

"Beh, se questo fosse un romanzo," replicai, raccogliendo lo zaino e mettendomelo in spalla, "penso che ci starebbe bene un breve epilogo, prima della parola fine."

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