Erano le dieci di mattina quando decisi che non aveva più senso far finta di dormire: dovevo andare in soggiorno e affrontare i miei e le loro domande. Aspettare ancora non avrebbe fatto scomparire il livido che mi contornava l'occhio sinistro. Accidenti a te, Diego il bellimbusto di merda.
Dopo che ero finito al tappeto, Aureliano e Nadia si erano fatti avanti per impedire all'ex fidanzato di Viola di pestarmi ulteriormente. Prima che la cosa potesse degenerare in una rissa — Aureliano aveva il sangue agli occhi e brandiva la sua spada di plastica come fosse Excalibur, Viola stava ricoprendo Diego di insulti e Nadia gli aveva appena tirato un calcio negli stinchi con i suoi stivaloni — erano comparsi dal nulla due enormi buttafuori, identici in tutto e per tutto al golem che stazionava fuori dall'ingresso. Con le loro mani-tenaglie avevano afferrato me e Aureliano e ci avevano sbattuti fuori dal Setup senza cerimonie — Viola e Nadia erano state ignorate, nonostante i loro tentativi di spiegare l'accaduto a gran voce, mentre Diego era stato, evidentemente, considerato innocente in virtù della sua intrinseca splendidezza. Magari gli avevano anche offerto un drink per consolarlo. Roba da far bollire il sangue.
Ero tornato a casa dopo mezzanotte, dando fondo a tutte le mie arti ninja per non svegliare nessuno e ritirarmi silenziosamente in camera con una busta di piselli surgelati in faccia. L'occhio si era gonfiato lo stesso, però, acquisendo un colorito violaceo a prova di fondotinta. Mi alzai e guardai per l'ennesima volta nello specchio: non c'era modo di nascondere ai miei genitori i danni causati dalle nocche del bellimbusto.
Con un sospiro, aprii la porta e mi diressi in soggiorno. Dalla finestra entrava la luce del primo sole di marzo. Rebecca aveva finito di fare colazione e si stava godendo la sua ora di laptop mattutina, occhi incollati allo schermo, appollaiata sulla sedia in una posizione che solo una bambina di nove anni avrebbe potuto trovare comoda; papà stava stirando qualche camicia con un occhio sui politici che litigavano in tv, mentre mamma era sul divano, immersa nell'ultimo libro di Augias. Un delizioso quadretto di serenità domenicale, che stavo per infrangere senza rimedio.
Mio padre alzò lo sguardo su di me. "Ah, buongiorno! Allora..." iniziò, con un sorriso che incespicò e cadde immediatamente.
"Posso spiegarvi tutto," annunciai, in piedi sulla soglia, a disagio.
"Leo! Che ti è successo alla faccia?" esclamò la mamma, posando il libro. Sgranò gli occhi, poi nella sua espressione sorpresa si fece strada una vena di furore genitoriale. "Non dirmi che hai fatto a botte di nuovo. Non dirmelo, perché non ci voglio credere!"
Rebecca fu l'ultima a lasciarsi distrarre dalle sua attività. "Hai fatto a botte di nuovo?" domandò, avida di dettagli. "E stavolta t'hanno menato pure peggio!"
"Ottima osservazione, Becca," ribattei, seccato.
"Non è possibile, guarda come sei ridotto," disse mia madre, alzandosi e venendomi incontro per esaminare il danno. Dalla sua espressione, sembrava che stesse guardando qualcuno finito sotto un autotreno e trascinato a faccia in giù per un centinaio di metri. "Sei andato al pronto soccorso a farti controllare l'occhio?"
Oh, merda. "No ma', guarda, ieri notte avevo solo voglia di tornare a casa e mettermi a letto, dopo quello che era successo..."
"Ma come? E se ci sono delle lesioni?" strepitò la mamma. "Vuoi restare cieco da un occhio? Vestiti subito e andiamo."
"Che palle," brontolai, "ma non è niente..."
"Leo, fai come dice tua madre," arrivò la voce di papà, in rinforzo all'autorità matriarcale. "E modera i termini."
Strinsi i denti, tesi la mascella, feci per alzare gli occhi al cielo ma mi resi conto che ne avrei ricavato solo ulteriori cazziatoni, quindi mi misi le mani in faccia per trattenermi e mi inflissi, ovviamente, un male cane sul lato sinistro. "Ahia," non potei fare a meno di gemere.
"Poi mentre andiamo mi dici cosa è successo," intimò mamma. "Tutto, dall'inizio alla fine. Non è possibile, fare a botte due volte nel giro di un mese e ridurti così. Ma che cosa succede, Leo? Ti sei messo in qualche giro strano?"
Sembrava che l'incazzatura materna stesse rientrando nei ranghi della preoccupazione.
"Ma che giro, ma'..."
"Guarda che lo sappiamo che spacciano droga a scuola tua," proseguì lei, imperterrita, mentre perlustrava la stanza alla ricerca delle chiavi della macchina. "Non ne abbiamo mai parlato perché sappiamo che sei un ragazzo di buon senso, non ti sei mai messo nei guai; non volevamo starti col fiato sul collo. Ma se hai dei problemi con dei tizi poco raccomandabili ce lo devi dire, hai capito? Non importa se c'entrano la droga, o il bere, oppure..."
"Ma', non c'entra niente la droga!" sbottai, agitando le mani esasperato. "E nemmeno l'alcol o, che ne so, le scommesse sui cavalli! Ma che è, un film di Tarantino? Volete che vi dica tutto? Daje, ecco il resoconto: ero al Setup con i miei amici e uno stronzo — scusate il linguaggio — ha cominciato a trattare male la sua ex davanti ai miei occhi. Io mi sono arrabbiato e gli ho detto che la doveva smettere. Quello mi ha dato un cazzotto in faccia. Fine." Esalai un sospiro pesante, mi passai una mano tra i capelli e andai avanti con più calma: "Stavolta non ho nemmeno tirato una pallonata o un pugno o niente. Non l'ho praticamente toccato." Ok, questo escludeva la coltellata di gomma, ma ero abbastanza sicuro che i miei non l'avrebbero mai scoperto. "Volevo difendere una persona, e alla fine ce le ho prese e basta."
Rebecca inarcò le sopracciglia, mi fissò con il mento posato sul pugno e soffiò dalle labbra una risatina con un sottile pffft.
"Ovviamente," commentò, trasformandosi all'istante nella perfetta miniatura di una quindicenne sarcastica.
"Becca!" la redarguirono in coro entrambi i nostri genitori, mentre io mi limitavo a guardarla storto. La marmocchia cambiò posizione sulla sedia, incrociò le braccia e mise il broncio, come chi viene perseguitato ingiustamente.
"Quindi sarebbe una coincidenza?" domandò papà, la tv e il ferro da stiro ormai dimenticati. "Non c'è nessuna relazione fra questi due eventi, nei quali sei finito in una rissa dopo che non ti era mai successo in vita tua?"
Beh, nessuna relazione a parte Viola, pensai. "Nessuna," affermai, con tutta la dignità e il contegno che riuscii a mettere insieme.
I miei genitori si guardarono con la faccia di chi vuole disperatamente credere a qualcosa, ma teme che accadranno eventi catastrofici se si lascerà convincere del falso.
"Guarda, parliamone meglio al pronto soccorso, ok?" disse la mamma, che immaginai desiderasse avere un po' di tempo per pensarci su, prima di dare risposte avventate. "Dai, vatti a vestire. Se siamo fortunati, torniamo per l'ora di pranzo."
Decisi che fare la parte del figlio obbediente e contrito era la strategia migliore per uscirne senza problemi. "Ok, cinque minuti e arrivo."
Mi stavo infilando i jeans, quando il mio cellulare trillò.
Ahò tutto bene zio? diceva il messaggio su Whatsapp da parte di Aureliano. Come va la faccia?
Nammerda, grazie, risposi, ma con un emoji sorridente imbarazzato, per stemperare. La cosa peggiore so' i miei a questo punto.
Che stai a fa? domandò Aureliano. Io sto qua sotto con Nadia. Scendi?
Qualche secondo dopo: Scusa l'improvvisata, volevamo vede' se stavi bene.
Sorrisi e mi dissi, non per la prima volta, che ero fortunato ad avere degli amici come i miei. Questo pensiero mi fece venire in mente Iacopo e un sottile, ma acuminato, senso di colpa si fece strada nella mia contentezza. Dovevo chiamarlo e aggiustare le cose il prima possibile.
Grazie frate'! Purtroppo sto andando al pronto soccorso con mia madre, risposi ad Aureliano. Du palle. Magari dopo?
La replica fu: Possiamo venire anche noi?
Poi: Se a tu madre non je rode troppo er culo, ovviamente.
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Scendi, sto qua sotto!
Teen Fiction⭐VINCITRICE WATTYS 2021⭐ Leo ha sedici anni, un migliore amico che deve spesso impegnarsi a tirar su di morale e una vita tranquilla passata tra i film, la musica, il tavolo di Dungeons & Dragons e le birre al pub sotto casa. Questo, naturalmente, f...