27. Un ragazzo disinvolto

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Il lunedì mattina mi svegliai dieci minuti prima del suono della sveglia, feci una lunga doccia calda e mi vestii riservando alla mia immagine riflessa nello specchio un'attenzione ben superiore ai due virgola cinque secondi che di solito le tributavo. Scartai le felpe dei gruppi con cappuccio in favore di un maglione verde che, speravo, mi avrebbe fatto apparire una persona più seria.

Fuori di casa, Roma faceva le prove generali per la primavera: il sole brillava nel cielo pulito e il freddo pungente dei mesi precedenti appariva solo un ricordo. Mi strinsi la sciarpa attorno al collo, ma giudicai che, arrivata l'ora di pranzo, sarebbe stato abbastanza caldo da uscire senza; forse anche abbastanza da togliersi la giacca.

Andai a scuola senza fretta, ascoltando Dirty Diamonds dello zio Alice per caricarmi a dovere. Ero emozionato, ma intenzionato a non mostrarlo: davanti a Viola si sarebbe presentato un ragazzo disinvolto, tranquillo, a suo agio, non certo il fascio di nervi con le unghie masticate nel quale mi sarei trasformato se mi fossi deconcentrato per un solo istante.

Arrivai che la prima campana era appena suonata: la massa di studenti si stava riversando dalla strada al cortile, e da lì all'interno dell'edificio scolastico. Mi tenni a distanza di sicurezza, per evitare di incrociare qualche professore, poi mi diressi al baretto di Viale delle Milizie. Tutto preso dai miei pensieri, non feci caso al furgone della polizia parcheggiato vicino scuola.

Varcai la soglia del bar e feci vagare lo sguardo intorno: seduti ai tavolini e al bancone c'erano solo cinque o sei ritardatari che stavano finendo di bere il cappuccino.

Non agitarti, adesso, mi imposi. Viola arriverà tra un momento, non vuol dire che ti ha dato buca.

Tolsi gli auricolari e sedetti a un tavolino all'angolo, con lo zaino fra i piedi e gli occhi sulla porta del bar. Considerai di tirar fuori il telefono e mandare a Viola un messaggio con su scritto sono arrivato, ma poi scartai l'idea: mi avrebbe fatto sembrare troppo ansioso.

Devi essere disinvolto, mi ripetei per la milionesima volta. Per tenermi impegnato in qualche modo, aprii il diario di scuola alla pagina sulla quale avevo annotato le proposte avanzate per il nome della nostra band. Io avevo suggerito Sick Things, Videodrome e qualche altro, quasi tutti ispirati ad Alice Cooper o ai miei film horror preferiti, Iacopo mi era venuto dietro sul tema orrorifico con Texas Chainsaw Massacre e Zombi Holocaust, Davide aveva proposto Once in a Blue Moon, Aureliano una fila di nomi epici tra i quali Stronghold, Riddle of Steel, Bridge of Death e Swordmaster, Andrea affermava che ci voleva qualcosa di semplice e immediato come Lobotomia, Night Train o Scream, Elio era dell'idea opposta e aveva suggerito Priodontes Maximus (una specie di armadillo sudamericano, ci aveva informato), Enuma Elish (un poema babilonese che narra la creazione del mondo) oppure Questi Cazzi di Piccione (una citazione dell'immortale Frank Zappa).

Stavo scorrendo la lista di potenziali nomi quando Viola comparve sulla soglia del bar. Aveva gli occhiali da sole, la sua solita borsa e una giacca leggera con un grappolo di spille colorate appuntate sopra. Mi sorrise. Io le sorrisi di rimando e chiusi il diario con un gesto calmo e misurato, mentre, dentro di me, il mio stomaco aveva fatto un sobbalzo tipo montagne russe e il mio cuore aveva iniziato a correre una maratona. Ma niente di tutto ciò avrebbe scalfito la mia disinvoltura.

Viola tolse gli occhiali e il suo sguardo si appuntò subito sulla mia faccia pesta. Le sue sopracciglia si incresparono in un'espressione di sottile costernazione. Posò la borsa e si sedette davanti a me. Non riuscivo a credere di essere lì a prendere un caffè con lei, dopo tutti i mesi passati a osservarla da lontano. Era quasi un appuntamento!

"Ciao," esordì Viola. Accennò al mio occhio nero. "Mi spiace per... quello. Fa molto male?"

"Solo quando rido," replicai, con studiata nonchalance. Viola ridacchiò alla mia battuta e io sentii allargarsi nel petto un calore che era insieme sollievo, trionfo, speranza e folle desiderio. Ho una possibilità, pensai freneticamente, per la prima volta ho davvero una possibilità. Guardatemi, sono ironico e disinvolto anche con un livido in faccia!

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