16. Molto alcolico e molto dolce

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Quando la porta dell'appartamento di Liliana si aprì, fui investito dalla musica a palla e dal vociare di decine di persone come da un'onda in riva al mare. Strinsi i denti e varcai la soglia, trattenendo a stento l'impulso di schiacciarmi le mani sulle orecchie.

Nella faraonica abitazione della mia compagna di classe c'era a malapena spazio per muoversi. Non avevo idea di quante persone ci volessero per riempire un attico di quelle dimensioni, ma Liliana doveva essere riuscita a invitarle tutte. Corpi rivestiti di abiti eleganti strusciavano l'uno contro l'altro, dimenandosi a ritmo di musica come in una bolgia dantesca. L'aria era appesantita da profumi, deodoranti, sudore e sigarette.

Venire qui è stata una pessima idea, gemette la voce disfattista. Avevo voglia di cercare un bagno e chiudermi dentro per le successive tre ore.

Liliana si fece strada tra la folla per venirci incontro. Era uno schianto con il suo vestito nero e i tacchi. Il trucco faceva sembrare ancora più grandi i suoi languidi occhi castani; i capelli erano una cascata di soffici onde scure. Rinaldi fece un passo avanti a braccia aperte, ma Liliana lo aggirò, rivolgendogli un sorriso e un cenno della testa, e venne ad abbracciare me per primo, versando qualche goccia del drink che brandiva nella mano sinistra.

"Ciao Leo!" esclamò. "Che bello che sei venuto!"

Liliana era così calda, morbida e profumata, e quell'abbraccio così inaspettato, che impiegai qualche secondo a riprendermi. Avevo appena cominciato a muovere le braccia per abbracciarla in risposta, che lei già si era staccata da me ed era andata a salutare Rinaldi e Giulia.

"Buon compleanno, Liliana," dissi, ancora stordito.

"Grazie!" sorrise lei, abbracciando e baciando la coppia d'oro della nostra classe. "Ma siete freddissimi, fuori si gela proprio! Andate a prendervi qualcosa da bere."

In un vortice di capelli ondulati, Liliana fu inghiottita dalla folla. Rinaldi e Giulia puntarono qualche altro splendido e scomparvero in quella direzione.

Rimasto solo come un cane, decisi che il suggerimento di bere aveva un suo senso. Cominciai ad avanzare verso il soggiorno, schivando bicchieri ondeggianti ad altezza uomo, sigarette accese e piatti di carta stracolmi di cibarie e tenuti in bilico; la musica mi percuoteva le tempie con i suoi bassi rimbombanti. Raggiunsi il tavolo, feci un cenno a un paio di persone che stavano in classe con me, sgomitai fra quelli che si accalcavano attorno ai vassoi per un pezzo di pizza, una manciata di patatine, una pastarella. Nel frattempo, continuavo a guardarmi intorno alla ricerca di Viola, ma di lei non c'era traccia. Mi chiesi se si sarebbe fatta vedere: del resto, non mi sembrava che fosse mai stata davvero in confidenza con Liliana.

Allungai le mani sui vassoi e inghiottii qualche cibaria a caso per non versare l'alcol sul nulla, poi afferrai una bottiglia di birra e la stappai contro il bordo del tavolo con un colpo di mano, grazie a un trucchetto insegnatomi da Màlstin. Dedicai un solitario brindisi a me stesso e bevvi a canna.

Dopo tre lunghe sorsate, abbassai la bottiglia e chiusi gli occhi soddisfatto, abbandonandomi a un lungo rutto liberatorio che, immaginai, nessuno potesse sentire con la musica tenuta a un volume così alto. Riaprii gli occhi per trovarmi faccia a faccia con un paio di bionde mai viste prima, forse di terzo liceo, che mi fissavano schifate da dietro i loro calici di prosecco, spostandosi di lato un passetto alla volta. Feci finta di niente e mi appoggiai al muro per continuare a sorseggiare.

"Certo che il finger food lascia un po' a desiderare stasera," sentii dire a una delle due, che stava rigirando una tartina fra le dita.

"Un po' una poracciata," concordò l'altra. "Però apprezzo lo sforzo con il cocktail bar."

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