31. Mi fumerei volentieri una sigaretta

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Vedendomi arrivare, Viola staccò gli occhi pensosi dal cielo coperto di nubi, soffiò via una ciocca di capelli che il vento le aveva spinto sulle labbra e si strinse allo stipite della finestra per farmi posto.

La salutai e mi sistemai accanto a lei, affacciato alla finestra del secondo piano con le braccia appoggiate al davanzale. Entrambi facemmo scorrere lo sguardo sul cortile sottostante, il campo di pallavolo, i nostri compagni di scuola che si godevano la ricreazione.

"Mi dispiace che ci sei andato di mezzo," disse Viola. "Avevo paura che succedesse, ma speravo di essermi preoccupata inutilmente."

Dopo il mio sgradevole incontro con il bellimbusto, mi ero sentito in dovere di informare Viola dell'accaduto; lei mi aveva dato appuntamento per la ricreazione del giorno successivo, alla finestra più isolata del secondo piano, quella vicino all'archivio e al magazzino delle cianfrusaglie assortite — due porte che non venivano aperte da chissà quanti mesi.

"Lo speravo anch'io," confessai. Nonostante tutto, il piacere di stare così vicino alla ragazza dei miei sogni, con il mio gomito che toccava il suo e i suoi capelli mossi dalla brezza che mi sfioravano, era tale da oltrepassare anche la preoccupazione per il pestaggio che forse mi attendeva nell'immediato futuro; ero quasi grato a Diego per avermi dato una possibilità di rompere lo stallo con Viola e avere un pretesto per contattarla di nuovo.

Quest'ultimo pensiero mi fece quasi immediatamente sentire un idiota.

"Si è fatto vivo anche con te?" domandai.

Viola scosse la testa. "Oramai l'ho bloccato ovunque, anche sui telefoni delle mie amiche," spiegò. "Ho sempre paura di trovarmelo sotto casa, un giorno, ma per ora niente. Non l'ho più visto da quella sera al Setup."

Nervosamente, Viola si frugò in tasca e tirò fuori un pacchetto di Lucky Strike. "Fumi?" domandò, offrendomene una. Scossi la testa, sorpreso: non l'avevo mai vista fumare.

"Nemmeno io, di solito," affermò, con un risatina incerta. Sfilò una sigaretta e la posò fra le labbra con un gesto che mi fece desiderare di avere un accendino con me, per poter accostare la fiamma alla sua Lucky come l'investigatore privato di un film in bianco e nero. "Ho scroccato a Isotta. Mi ha detto di tenermi il pacchetto. Ho pensato che era la giornata giusta per farsi una botta di nicotina."

Viola accese la sigaretta con un Bic nero, prese un piccolo tiro ed esalò fuori dalla finestra. "Cosa ti ha detto Diego?"

"In sostanza, che si è rassegnato al fatto che non vuoi tornare con lui," riassunsi. Mai e poi mai avrei ripetuto le esatte, repellenti parole del bellimbusto. "In compenso, vuole che ci diamo un appuntamento da qualche parte per risolvere la cosa fra noi due, a pugni. Come veri uomini, dice."

Viola diede una breve risata amara che le fece sfuggire una boccata di fumo. "Tipico di Diego," affermò. "Non si smentisce mai. Non hai accettato, vero?"

"No, ma de che," la rassicurai. "Mica so' matto. Dici che lascerà perdere?" Ancora prima che quelle parole avessero lasciato le mie labbra, sentivo di conoscere già la risposta.

Viola scosse la testa. "Io alla fine ho dovuto dirgli chiaro e tondo che stavo per chiamare la polizia," disse. "Forse dovrei farlo comunque, e tanti saluti."

Immaginai cosa sarebbe successo se avessimo coinvolto le autorità: l'obbligo di fare una deposizione formale, i miei genitori che venivano a sapere tutto e ai quali avrei dovuto spiegare e rispiegare ogni cosa (con il probabile risultato che, ansiosi com'erano, non mi avrebbero più permesso di uscire di casa senza una scorta armata). E poi? Ci sarebbe stato un processo? Una condanna? E se Diego ne fosse uscito pulito e fosse venuto a cercarmi per vendicarsi? Se si fosse vendicato anche su Viola, in qualche maniera?

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