33. Scusate, sono un deficiente

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Nella storia di ogni gruppo, arriva prima o poi il momento in cui i musicisti che ne fanno parte smettono di essere delle persone che si riuniscono in una sala prove per suonare, e diventano una band.

Per noi, quel momento giunse tre settimane e mezza prima del concerto di Pasqua. Eravamo a metà della nostra versione di Paranoid, il classico dei classici con il quale avevamo intenzione di aprire il concerto, quando mi resi conto che il suono dei nostri strumenti si era armonizzato in una canzone: la mia chitarra e quella di Iacopo (al quale stavamo pagando la saletta per compensare i suoi problemi economici, e che aveva giurato eterna fedeltà al gruppo: al diavolo i cazziatoni dei suoi) si incastravano fra loro come due pezzi di Lego fatti per stare insieme; il basso di Aureliano non andava più a zonzo per gli amplificatori facendo dun dun dun, ma sorreggeva gli sforzi di tutti come un'impalcatura. Andrea aveva accelerato il tempo — come tendeva a fare spesso — ma invece di affannarci per correrle dietro e perdere progressivamente la strada, ci eravamo allineati alla sua ritmica.

Lara cantava grintosa e seguiva il testo con disinvoltura, dondolando i capelli, e dopo che ebbe pronunciato il verso "I can't see the things that lead to happiness, I must be blind!", Elio si lanciò nell'assolo di tastiera con il quale si era preso il compito di sostituire quello di chitarra (essendo io e Iacopo, mi tocca ammetterlo, ancora troppo scarsi per riprodurlo in maniera decente). Ritto in piedi, immobile e concentrato mentre noialtri ci agitavamo e scapocciavamo a ritmo di musica, il nostro tastierista utilizzò un suono di organo distorto per tracciare nell'aria un percorso di note frastagliate, senza sbagliare un colpo.

All'ultimo schianto di piatti da parte di Andrea, ci guardammo fra noi in silenzio. Tutti avvertimmo che c'era un'energia diversa nella stanza, anche Davide, che come al solito era lì con noi per farci da pubblico e supporto morale.

"Niente male, no?" commentò Aureliano. Convenimmo che ce l'eravamo cavata bene.

"La rifacciamo?" chiese Lara.

La rifacemmo.

Dopo aver ripetuto quel semplice pezzo di tre minuti, mi sentii per la prima volta davvero sicuro che saremmo riusciti a suonare al concerto, e forse, anche a farlo senza rimediarci una figura troppo meschina.

Due ore più tardi, uscimmo dalla saletta con il sole che iniziava ad abbassarsi dietro i palazzi di Via Otranto. Fuori dalla porta, ci aspettava una ragazza nerovestita e magra con i capelli corti e neri, che già conoscevo, almeno di vista.

"Lei è Francesca," ce la presentò Lara. "Aureliano e Davide hanno già avuto il piacere..."

"Sì, ma io purtroppo non mi ricordo niente!" esclamò lei, con una risata. "Chi sono Aureliano e Davide? Vorrei ringraziarli di persona per avermi salvato, al Setup... e scusate per avermi visto in quelle condizioni. Avevo alzato un po' il gomito."

"Un po', eh?" sogghignò Lara. Francesca allargò le mani con l'aria di dire che dobbiamo farci?

I miei due amici si fecero avanti e si presentarono.

"Se lo vedete, salutatemi anche il misterioso Michael Myers, ok?" disse Francesca. Entrambi annuirono, cercando di non guardare nella mia direzione, mentre io mi fingevo molto interessato a un buco sulla sella del motorino di Lara.

"Va bene gente, che ne dite di un pezzo di pizza?" propose Andrea, cercando di domare con un elastico il cespuglio dei suoi capelli. "Le prove mi mettono sempre una fame..."

La mozione venne approvata all'unanimità e pochi minuti dopo eravamo seduti ai tavolini della più vicina pizzeria al taglio, con le ganasce che andavano a tutta forza.

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