7. Eroi degni di un poema omerico (un flashback in due parti - I)

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Molti anni prima della Newcastle Brown, degli Humble Pie, delle superiori, di Viola, di Rinaldi, dei Tre Stronzi e perfino di Alice Cooper, c'era stata la terza media. A dire il vero si trattava solo di tre anni prima, ma a me sembrava un tempo molto più lungo.

La terza media, dicevamo. L'inferno in terra. Il Vietnam è una serata al cinema con la tua pischella, in confronto. La classe era la terza B e io sedevo al primo banco a destra, a fianco di un coetaneo che non mi rivolgeva mai la parola, forse per paura che gli attaccassi la mia malattia: la malattia dello sfigato. Ogni giorno, metà del mio impegno andava nello studio, l'altra metà nel farmi più piccolo, silenzioso e dissimulato possibile. Avrei trattenuto il respiro per una mattina intera e mi sarei vestito solo di abiti color banco e muro-di-classe, potendo. L'alternativa era attirare l'attenzione di Filippo Garella e dei suoi amici.

La nostra scuola era governata con il pugno di ferro da una sola cricca: quella di Stefano La Torre, terza C, due volte ripetente, alto venti centimetri più di me e con due pugni come mazze ferrate. Filippo Garella era il suo rappresentante nella nostra classe: si vestiva come La Torre, parlava come lui, andava dovunque andasse lui e si assicurava che tutti quanti nella sezione B sapessero chi comandava. Purtroppo era riuscito a farsi bocciare solamente una volta, il che lo condannava a un'inevitabile posizione subalterna rispetto a La Torre e a una frustrazione da eterno gregario, che sfogava su di me e su chiunque altro in classe nostra o altrove gli sembrasse una facile preda. Tutti eravamo terrorizzati dai suoi ceffoni sulla nuca a tradimento, dai suoi calci rifilati con gli anfibi, dalle sue incessanti e crudeli prese per il culo, dai suoi taglieggiamenti di soldi e merende e soprattutto dal fatto che, se qualcuno avesse provato a reagire (c'era stato qualche pazzo, oh se c'era stato), sarebbero sopraggiunti a un suo segnale due o tre compari di pari dimensioni e ferocia, per farti capire che fino a quel momento ti era andata di lusso.

La Torre, Garella e gli altri membri di quella spregevole ghenga avevano dettato legge durante tutta la mia prima e seconda media: temuti, odiati, eppure ammirati per la paura che sapevano infondere, perché rispondevano male ai prof, rimorchiavano le ragazze e sembravano conoscere per istinto quali fossero i vestiti e gli accessori fighi. Davanti al loro predominio, la scelta era tra soccombere, fuggire o cercare di entrare nelle loro grazie diventando come loro. Era un po' come vivere nella Germania nazista, se Hitler fosse stato un discotecaro e le SS fossero andate in giro a impennare con il motorino.

In un modo o nell'altro, ero riuscito a sopravvivere ai primi due anni delle medie, ma al prezzo di imparare a essere invisibile e vivere in uno stato di paura costante. Alzarsi la mattina era una sofferenza e le ore di scuola passavano lente, nell'ansia che arrivasse da un momento all'altro l'epiteto cattivo, la matita lanciata in testa, il ceffone, lo sgambetto. Guardarsi alle spalle in ogni momento, non alzare la mano, non spiccicare parola in classe e non lasciare mai un oggetto personale incustodito erano diventate necessità quotidiane. Tra un'ora di lezione e l'altra controllavo meticolosamente tutto il contenuto del mio zaino, per assicurarmi che non mi avessero rubato niente — ma di solito mi avevano rubato qualcosa. Infine, l'ultimo anno era arrivato, ma quei nove mesi si prospettavano molto, molto lunghi e La Torre e soci sembravano essere tornati dalle vacanze ancora più cattivi e maneschi del solito.

La scuola era cominciata da un paio di mesi quando tutto cambiò. Era una giornata grigia e tetra di novembre; tirava un vento infido e minacciava pioggia. Era la ricreazione del dopo pranzo (quindi doveva essere un martedì o giovedì, giornate nelle quali alla tortura di essere a scuola si aggiungeva quella di rimanervi fino alle quattro e mezza) e io me ne stavo in cortile a cercare di godermi un po' di pace, stando ben attento a tenere le spalle al muro e a non farmi vedere da qualche truzzo mentre mangiavo una Fiesta.

Di solito ero molto bravo a mangiare merendine di nascosto, ma quel giorno dovevo essere particolarmente rilassato, chissà perché. Dopo appena un morso e mezzo, Spadoni di terza C, uno degli inseparabili di La Torre, fu sopra di me come uno sparviero.

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