26. Odino sia lodato

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"Vedrai che a Iacopo gli sarà già passata l'incazzatura," mi rassicurò Aureliano. "Alla fine, che è successo? Era solo nervoso perché faceva freddo e non gli andava di andare in discoteca e quel coglione del buttafuori l'ha trattato male."

"Beh, veramente ci siamo detti qualche parola di troppo," risposi, avvertendo i sensi di colpa che tornavano a punzecchiarmi. "Io forse sono stato un po' stronzo. Anzi, senza forse."

Eravamo entrambi sotto casa di Iacopo. Nadia era tornata a casa, mentre io ero riuscito a staccarmi di dosso mia madre—finalmente rassicurata dal fatto che non ci fosse alcun tipo di danno grave al mio occhio (due ore in sala d'attesa perse per niente, come immaginavo) e dal mio proposito di trascorrere il pomeriggio impegnato nel mio consueto, innocuo passatempo: la partita domenicale a Dungeons & Dragons, che garantiva un rischio di subire violenza fisica pari a zero. Avevo il sospetto, però, che quella sera a cena avrei subito la seconda parte della ramanzina genitoriale.

"E vabbè," tagliò corto Aureliano, facendo con la mano il gesto di chi si getta qualcosa dietro una spalla, "che sarà mai! Tu chiedi scusa, lui chiede scusa, pace fatta. E se è ancora incazzato, se la fa passare, perché non penso che nessuno qui vuole far saltare la partita a D&D per colpa di questa cosa. Eddaje, su."

Non potei che ammirare il suo pragmatismo, anche se non ero del tutto convinto.

"E vabbè," gli feci eco. "Allora suono." Pigiai il tasto del citofono e aspettai.

Dopo qualche secondo, arrivò la voce di Iacopo. "Chi è?"

"Ohi Ia', siamo io e Aureliano," replicai. "Possiamo sali'?"

Iacopo sembrò esitare. "Aureliano non ha letto il messaggio che gli ho mandato?"

Guardai il mio amico, che si avvicinò all'interfono e parlò con voce stentorea. "No Iacopo, non ho letto un cazzo perché ho spento er telefono. Daje, apri, così ce dici tutto a voce e poi giochiamo."

"Veramente..." iniziò Iacopo, poi si fermò e mi sembrò di sentirlo sospirare. "Ok, salite."

Il cancello scattò. Io e Aureliano ci guardammo.

"Se Iacopo ha intenzione di dirci che oggi non si gioca perché je rode ancora er culo, dovrà affrontare il mio epicus furor, lo giuro sugli dèi," dichiarò Aureliano, varcando il portone.

"Ma perché tieni il telefono spento?" domandai, andandogli dietro.

Lui si adombrò e schiacciò il pulsante dell'ascensore con più forza del dovuto. "Perché altrimenti i miei non me danno tregua, con questa storia che sto sempre fuori, o con voi, o con Nadia... dopo l'ultimo colloquio coi professori sono diventati insopportabili," spiegò. "Sempre a chiama', a manda' messaggi: dove sei, che fai, hai studiato per domani? Che palle. Se spengo il telefono almeno devo subirmeli solo la sera a cena."

Entrammo nell'ascensore. Aureliano sbuffò e si tirò indietro i capelli. Io lo guardai, incerto se porre la domanda che mi pizzicava sulla lingua.

Alla fine, lo feci. "Senti, Aurelia', ma non è che te steccano quest'anno?"

Lui si voltò di scatto, fissandomi come se avessi appena suggerito che preferiva Fedez ai Manowar. Poi diede in una risatina nervosa. "Ma no, zio, che dici. Ok, alla fine del primo quadrimestre c'ho avuto qualche debito, ma mancano ancora tre mesi e mezzo alla fine della scuola, si recupera tutto, niente di grave..."

Raramente avevo sentito delle affermazioni meno convincenti in vita mia, ma decisi di lasciar perdere: ad Aureliano doveva già bastare la pressione che gli stavano mettendo i suoi genitori.

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