6. La birra che ti stende su quella cazzo di schiena

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Nonostante tutto, stare con Iacopo mi fece bene, come sempre — e 127 Ore era veramente un gran film, specialmente assaporato nella goduria assoluta dell'alta definizione. Ci vedemmo anche il giorno successivo e la sera dopo ancora. Era giunto il sabato e nonostante Iacopo premesse per starcene a casa a spararci uno dietro l'altro Bad Taste e Splatters gli schizzacervelli di Peter Jackson (il tutto condito da abbondanti libagioni di birra e fagioli con tonno e cipolla), insistetti per uscire. Nemmeno io ne avevo una gran voglia, a dire il vero, ma l'idea di passare l'ennesimo sabato sera chiuso in casa mi faceva sentire più sfigato del solito. Chiaramente, le mie recenti vicissitudini sentimentali avevano avuto il loro peso nel darmi quella sensazione. Dovetti prendere metaforicamente a calci in culo sia me stesso che Iacopo, ma quando alla fine ci ritrovammo seduti ai tavolacci di legno del Newcastle Pub, fui contento di averlo fatto. Iacopo aveva messo su la sua faccia un po' scazzata, ma giudicai che sarebbe bastata una bella pinta per farla sparire.

Il Newcastle era il nostro pub preferito, perché era piccolo, buio e quasi tutto rivestito di legno; in più, eravamo certi che gente come Rinaldi e compagnia non ci avrebbe mai messo piede, visto che gli altoparlanti sparavano solo hard rock e metallo fino a notte, non si servivano drink da fighetti ma solo rozzissime birre e cicchetti superalcolici e la clientela consisteva per la maggior parte in tizi coperti di borchie e cuoio e con i capelli molto lunghi. Il proprietario era il più metallaro di tutti, un panzone cinquantenne con il gilet di pelle aperto sul petto nudo e villoso, i capelli biondastri che scendevano fino alle spalle ma sparivano del tutto sulla cima del cranio e le braccia tappezzate di tatuaggi; il suo soprannome ufficiale era Màlstin — da Yngwie J. Malmsteen, per via dell'innegabile somiglianza fisica — e si vantava della sua amicizia personale con i Venom, un cafonissimo gruppo di Newcastle che vi consiglio di andare ad ascoltare di corsa, in caso non li conosceste. Proprio in onore di Newcastle, dove aveva vissuto per diversi anni, Màlstin aveva battezzato il pub con il nome che portava e vi serviva la celebre Newcastle Brown Ale: la birra che ti stende su quella cazzo di schiena, diceva lui. 

Bisogna anche aggiungere che Màlstin si era guadagnato il nostro rispetto dimostrando sempre una somma indifferenza per le regolamentazioni che gli imponevano di non servire alcolici ai minori di anni sedici: io e Iacopo eravamo infatti assidui frequentatori fin dai tempi del quarto ginnasio.

Dopo aver visto Viola andar via con Mr. Pubblicità del Pantene anche venerdì, ero ben determinato a non pensare a lei per tutto il weekend. Se per raggiungere questo obiettivo ci fosse voluto un litro di Newkie Brown, ebbene, l'avrei trangugiato.

"Abbelli, che vve porto?" tuonò Màlstin, quando gli facemmo un cenno dal nostro tavolo. La lunga permanenza nel Regno Unito non aveva minimamente intaccato il suo accento.

"Due Newcastle medie," risposi. Il barista sorrise come chi ha ricevuto le notizie migliori di tutta la giornata. Dall'impianto stereo del locale, i Nazareth strepitavano il loro inno balordo al Razamanaz.

Le birre non tardarono ad arrivare, fresche e schiumose come sempre.

Màlstin appoggiò i boccali sul tavolo. "Ecco a voi le Newkie Brown," annunciò. Si pulì la fronte sudata con uno straccio che aveva visto giorni migliori. "Allora, vecchi bastardi, che se dice? Siete qui per festeggia' o per annega' i dispiaceri nell'alcol?"

Iacopo mi bruciò sul tempo. "Io per godermi la musica e la compagnia, lui per colpa di una pischella..." rispose, indicandomi con la mano. Feci un sorriso tirato per nascondere la voglia di tirargli un calcio sotto il tavolo.

"Ah! Le donne!" esclamò Màlstin, con l'aria di chi la sa lunga. "Se non ce fossero loro a far veni' la ggente a 'mbriacasse, dovrei chiude l'attività! E 'nsomma, Leo, chi sarebbe questa?"

"No comment, Màlstin," replicai, agguantando la pinta e scrutando sia il barista che il mio amico con lo sguardo dello stasera non è aria.

Il barista rise. "Certo, certo, non voglio infierire," disse, allontanandosi. "Enjoy, ragazzi."

Mugugnai qualcosa in risposta. Grazie al fantastico contributo di Iacopo, sentivo lo scoglionamento che ritornava: urgeva tracannare al più presto. Brindammo.

E così, le nostre lingue si sciolsero e cominciammo a parlare di tutte quelle cose che ci stavano a cuore: i film, la musica, le tristi regole sociali alle quali dovevano sottostare i nostri coetanei, la bellezza delle nuove tecnologie, la Roma, che anche quell'anno se la sarebbe presa in quel posto, ma sempre meglio che essere laziali; e poi la classifica delle birre e dei superalcolici, i libri, i fumetti, i vecchi tempi, i vaghi progetti di fondare una band. I pensieri si susseguivano confondendosi e veleggiavano lontano sulle ali dell'alcol. Aggiungemmo due bicchieri di Jack Daniels alle birre ormai terminate. Màlstin mise nello stereo uno dei suoi pezzi culto di tutti i tempi, 30 Days in the Hole degli Humble Pie, un lurido blues elettrico nel quale si rendeva omaggio al sesso, alla droga, al rock'n'roll e anche alla nostra birra.

Newcastle Brown, I'm tellin' you, it can sure smack you down
Take a greasy whore and a rollin' dance floor
It's got your head spinnin' round

Non si poteva dar torto agli Humble Pie: in effetti la mia testa stava girando parecchio. La Newkie Brown mi aveva ammorbidito e il Jack mi aveva dato il colpo di grazia. Le parole di Iacopo si dissiparono nell'etere, mentre mi perdevo in una fantasia delirante: Viola che entrava dalla porta d'ingresso del Newcastle, attraversava il locale aggraziata come un cigno fra i rospi e si sedeva al tavolo, di fronte a me, sorridendo quel sorriso che mi aveva ribaltato l'esistenza...

Mi alzai bruscamente e Iacopo mi fissò, allarmato.

"Oh, tutto bene zi'?" domandò, con voce una impastata che giunse alle mie orecchie come da una grande distanza. "Ma che, devi anda' a sbratta'?"

Scossi la testa, mentre il pub mi roteava intorno. "Vado fuori a prendere un po' d'aria."

Senza aggiungere altro, afferrai il bicchiere mezzo vuoto e uscii dal locale, allontanandomi di qualche metro lungo il marciapiede per stare lontano dai capannelli di fumatori. Mi furono subito chiare tre cose: ero ubriaco, mi era tornata in mente Viola (altro che non pensarci per tutto il fine settimana!) e, in più, i miei tormenti amorosi erano accompagnati dal ricordo di un pezzo dei Bon Jovi, She Don't Know Me, che aveva sostituito nella mia testa i riff degli Humble Pie (cosa per la quale Màlstin sarebbe rimasto molto deluso, se lo avesse saputo).

"She don't know me..." canticchiai, barcollando contro il muro e prendendo un sorso di whisky. "She don't see me... she can't hear me..."

Nessuno ti capisce come Jon Bon Jovi quando stai male per colpa di una ragazza, poco ma sicuro.

"Got to tell her that I love her..." andai avanti, per poi concludere, a voce più alta e in uno slancio di autocommiserazione: "She doesn't even know my name!" Allargai le braccia in un gesto teatrale e il Jack rimasto schizzò tristemente sul marciapiede.

Mi abbandonai lungo il muro, fin quando non restai seduto a terra con le gambe piegate, la schiena curva e il bicchiere vuoto fra le dita. Attraverso il calore fasullo generato dall'alcol, percepii vagamente che quella notte di fine gennaio era freddissima e mi stavo gelando il culo sull'asfalto. Non mi importava: morire assiderato non mi sembrava una cattiva prospettiva, in quel momento.

Con la coda dell'occhio, vidi che Iacopo mi aveva raggiunto e si era seduto accanto a me.

"A frate', ma guarda come stai," mi rimbrottò, mettendomi una mano confortante sulla spalla. "Stai popo a bambinello."

"Guarda che hai bevuto quanto me," gli ricordai.

"Sì, ma io reggo l'alcol molto meglio."

Il che era abbastanza vero. Alzai la testa a fatica e guardai la fredda luna indifferente con leopardiana intensità.

"Zi', te ricordi quando andavamo alle medie?" domandai.

"A Leo, ma che cazzo c'entra?" ribatté Iacopo, senza poter trattenere una risata.

In effetti non c'entrava nulla ma, nel tentativo di deviare il corso dei miei pensieri, mi erano venute in mente, senza un reale motivo, le scuole medie. Come spesso mi capitava, un singolo ricordo aveva dato origine a un fiume di memorie che mi aveva trascinato nel passato.

"Niente, zi'," risposi, desideroso di condividere con il mio amico quel flashback, "stavo solo pensando al giorno della Fiesta."

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