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La piccola capanna si stagliava nell'oscurità, illuminata dai raggi della luna. Agape guardò verso quel disco lattescente, riempiendosi gli occhi con quella visione che aveva osservato tante volte. Aveva sempre notato i suoi cambiamenti, le sue fasi, i suoi colori, la sua bellezza... ma non le era mai sembrata così splendente, fulgida, viva.
- Forza, entra. -
Lajvika oltrepassò la soglia e attese la ragazza. Lei lanciò un ultimo sguardo al plenilunio ed entrò. Non appena fu dentro, un forte odore di erbe le colpì le narici. Si guardò intorno, incuriosita. Cesti pieni di piante erano sparsi un po' ovunque, un tavolo basso, grezzo, era posizionato al centro della casa e sopra c'erano pestini, strani intrugli, ampolle, bottiglie dall'aria vecchia. In un angolo vi era un sacco di juta imbottito, probabilmente il letto della donna. In una nicchia un po' nascosta ardeva un fuoco vivace. Agape si diresse verso di esso, in cerca di un calore confortante. Si sedette di fronte alle fiamme, osservando i loro movimenti, ascoltandone il crepitio e sentendone il calore benefico sulla pelle chiara.
Sentì dei passi dietro di sè e si volse, vedendo Lajvika che le veniva incontro con una coperta tra le mani. La aprì e Agape sentì il tessuto ruvido e caldo poggiarsi su di lei, trasmettendole subito tepore.
- Vi ringrazio, siete molto buona con me eppure non mi conoscete nemmeno. -
La donna le sorrise.
- Bisogna aiutarsi tra Shariwae, non credi? - dicendo ciò, mise un pentolino ammaccato sul fuoco, facendo riscaldare l'acqua. Agape osservò le sue mani. Avevano le dita lunghe e nodose, le unghie spezzate, ma non erano sporche.
Rimasero in silenzio, restando ad ascoltare lo scoppiettio del fuoco, ognuna persa nei propri pensieri. Ad un certo punto Lajvika si alzò e prese delle erbe, le mise in due tazze sbeccate, le riempì con l'acqua calda e ne porse una ad Agape.
- Quindi, anche voi siete una Shariwa? - chiese la ragazza.
- Sì, è esatto. Non ho poteri strabilianti come i tuoi, ma Madre Natura mi ha donato l'abilità con le erbe. Grazie ad anni di studio e di Fede, posso curare qualsiasi malanno. -
Agape guardò il tavolo, dove erano sparsi semi, erbe, piccoli rami. Si chiedeva come funzionassero.
- Io conosco ben poco delle Shariwae, di Madre Natura... Non sono venuta qui per Fede, per imparare ad usare i miei poteri o per essere una guida... Sono scappata per disperazione. -
- Come abbiamo fatto tutte, alla fine. -
- No, non tutte. Ci sono anche delle Shariwae a Karua. È vero, non sono al sicuro, ma sono riuscite a integrarsi. Io non avrei mai potuto. - concluse rassegnata, rigirandosi una ciocca di capelli tra le dita.
- Non è nella diversità che risiede il problema. Il problema è la conformità, nel volersi uniformare. Il tuo essere diversa è un dono, credimi. -
Agape la guardava con occhi stupiti, sentendo il tepore del te che la scaldava da dentro, come le parole che la donna le aveva rivolto.
- Ho creduto anche io per tanto tempo di essere sbagliata, di dover cambiare per essere accettata, di dover sopprimere il mio vero io. Poi ho capito che non era la vita che volevo, che volevo essere libera. E così eccomi qui. -
La donna sorrise, guardando le fiamme e la loro danza ipnotica. Intanto Agape sentiva i muscoli rilassarsi e le palpebre che lentamente si chiudevano.
- Per stasera ti darò queste pellicce per dormire, domani provvederemo a costruirti un giaciglio vero e proprio. -
- Non ce n'è bisogno, non voglio disturbarvi oltre. Resterò qui questa notte e poi andrò via, non voglio davvero essere un peso. -
Levjika la guardò e sorrise ampiamente.
- Capisco, e dimmi, hai qualche conoscenza della foresta, dei suoi abitanti, delle sue piante, delle sue rocce? Sai come muoverti, come procurarti da mangiare, come sopravvivere agli inverni gelidi e alle piogge torrenziali? -
- No... -
Agape capì che non era possibile poter andare a zonzo nella foresta se prima non conosceva le regole base della sopravvivenza. Conosceva come sopravvivere a suo fratello ma non alla foresta. Le venne quasi da ridere, si era gettata a capofitto in un altro luogo ostile.
- Adesso riposa Agape, domani è un altro giorno. -
Prese le pellicce e le dispose vicino al fuoco, ormai morente, ci si stese sopra e chiuse gli occhi, sentendo tutta la stanchezza di quella notte.

Stavano camminando nel verde, Agape stava attenta a dove metteva i piedi e intanto ascoltava ciò che le diceva la sua ospite.
- Dimmi un po' Agape, tu credi in Dio? -
Lei, intanto, stava cercando di districare dell'erba che le si era avvolta intorno alla caviglia - No, non credo in nessun fantomatico Dio. Sia perché i miei genitori non credevano, sia perché non mi era permesso avvicinarmi alla Chiesa. -
- E per quale motivo? - le chiese, mentre si chinava per esaminare delle erbe.
- Per il mio aspetto. Il Sacerdote pensava che fosse opera del Diavolo e così tutta Karua, quindi non volevano che andassi ad appestare la "casa del Signore" con i miei peccati. -
Lajvika si lasciò scappare un risolino.
- In tutti questi anni non sono cambiati per niente. Sempre gli stessi sciocchi, resi ciechi dalla loro religione fasulla. -
Agape osservava le piante intorno a sé, cercando di scorgere gli animali. Ricordava quando, tanti anni fa, al mercato aveva visto un cavallo veramente strano e sapeva che veniva da lì. E poi il cervo. Non lo avrebbe mai dimenticato.
- Agape, potresti tenermi il cesto delle erbe, per favore? -
- Certamente. -
Avanzarono, Lajvika in testa e la ragazza subito dietro di lei, con quell'enorme cesto tra le mani. Da lì salivano gli effluvi delle erbe appena colte che solleticavano il naso alla giovane. Quegli odori forti le davano alla testa.
- Lajvika, che cosa intendevate quando parlavate della "religione fasulla"? -
La donna, mentre raccontava, continuava a raccogliere erbe.
- Vedi Agape, secoli fa Karua non era come la conosciamo oggi. Non c'erano re e regine, non c'erano nobili e plebei, non c'era la religione che gli uomini professano. -
- Mi è stato detto che è la religione ufficiale del regno, che era stata portata da dei Liberatori che purificarono le terre dalle streghe. -
- In parte è vero. Il Dio che osannano nel regno fu portato in queste terre da degli stranieri, ma non furono dei liberatori, come li vogliono dipingere. Furono piuttosto degli invasori. Le "streghe", come le hai chiamate tu, non erano altro che Shariwae, donne devote alla Dea Madre. Furono scacciate nella foresta, costrette a lasciare quello che avevano, alcune furono seguite dai mariti e dai figli, altre riuscirono a non farsi scoprire e altre ancora furono catturate e trucidate con l'effige di Strega. Che parola funesta! Un'etichetta per farci temere, quando in realtà erano loro i veri mostri. -
- Ma come riuscirono a cacciarle? Insomma, non erano sole, probabilmente c'era una comunità unita... non so... un grande villaggio... -
- Gli invasori riuscirono a cacciarle perché gli uomini natii di queste terre diedero loro una mano. Erano stanchi di non poter comandare, che fosse una Donna il capo della comunità. A loro non interessava che fosse Madre Natura ad averlo deciso, che fosse nell'ordine naturale delle cose che le donne avessero dei poteri. Non capivano che nella donna risiede la magia più grande di tutte: quella di creare una vita. Gli uomini hanno sempre avuto una visione un po' - come dire - egoista della vita. Le Shariwae sapevano che gli uomini e le donne erano stati creati per essere uguali, con le loro differenze certo, ma essere viventi, Figli di Madre Natura e Lei li voleva e li vuole sullo stesso piano. Nel suo Regno gli uomini e le donne sono amati in egual misura, esattamente come tutti gli altri suoi Figli. Ma gli uomini - e non solo loro, anche molte donne -, non avevano poteri, non avevano la Fede in Lei, non provarono mai quell'amore tipico della Dea.
Erano gelosi dei poteri delle Shariwae e avevano paura che un giorno potessero rivoltarglisi contro e ridurli in schiavitù. Per questo colsero l'occasione di cacciarle quando arrivarono gli stranieri da Sud. Insieme fondarono un nuovo regno, il regno di Karua. -
- Però le Shariwae non scomparvero del tutto, giusto? -
- Esatto. Si dice che qui, nella Foresta del Nord, ci siano ancora dei gruppi di Shariwae che vivono indisturbati della follia degli uomini. Ma io personalmente non le ho mai viste; e credimi se ti dico che, da quando sono qui, di cose ne ho viste e imparate. -
Agape si sentiva un po' come un'allieva con Lajvika; le sembrava quasi di essere tornata bambina. Si sentiva al sicuro; sebbene la conoscesse da neanche un giorno, percepiva una connessione, un legame con quella donna. La osservava nelle movenze, nell'aspetto, nei modi di fare... la incuriosiva. Come aveva fatto a sopravvivere per tutti quegli anni - e a detta sua sembravano tanti! - nella foresta, senza poter contare su nessuno, senza l'aiuto di qualcuno? Indubbiamente era una donna forte e piena di risorse, forse nascondeva qualche segreto, forse, in realtà, era uan Shariwa molto più potente di quanto non volesse far credere.
All'improvviso Agape sentì un prurito fastidioso all'altezza della scapola e dovette appoggiare il cesto per terra per potersi grattare. Lajvika la guardò sorridendo - Con il tempo ti abituerai a questi vestiti, devi solo avere pazienza. -
La ragazza annuì, cercando di sedare il fastidio che le aveva aggredito la schiena.
Ripresero a camminare, in silenzio, e man mano che avanzavano, il cesto si riempiva sempre di più. Agape non aveva mai pensato che una manciata di erbe potesse essere così pesante. Aveva tante domande per la testa, ma non aveva il fiato per farne nessuna. Sentendo la fatica, ripensò alle uniche volte precedenti in cui si era davvero sforzata: Alan. Le mancava la sua compagnia e tirare di spada. Per qualche settimana, quello era stato il suo modo di fuggire dalla realtà, di sentirsi felice. E le mancava.
- Riposiamoci un po'. Metti pure giù il cesto. -
Agape si riscosse e vide Lajvika sedersi in riva a un lago. Non si era accorta che erano arrivate a una piccola radura: al centro c'era un lago e proprio di fronte una cascata da cui sgorgava acqua cristallina. La ragazza poggiò le erbe a terra e si sedette accanto alla donna, guardando la cascata. Il fragore dell'acqua che precipitava le riempiva le orecchie e la rilassava. Chiuse gli occhi e si lasciò trasportare dai rumori della foresta.
- Lajvika, come fate a sopravvivere qui? Insomma, se vi serve qualcosa che qui non c'è, cosa fate? -
- Semplice, vado a procurarmela a Karua. -
Agape si alzò di scatto e la guardò.
- Io mi procuro da vivere facendo infusi, tisane, paste, creme. Tutto con le erbe. Il giorno del mercato mi copro bene e vado a venderle. Così ottengo soldi, posso andare a comprare quello che mi serve e aiuto le persone. -
- E non hanno mai sospettato che poteste essere una Shariwa? -
La donna rise.
- No, fin dal primo giorno in cui andai al mercato dissi che ero una sacerdotessa in una chiesa lontana da qui, che venivo da un altro regno devoto al loro stesso Dio. Racconto loro che gli infusi che vendo sono stati prima benetti dal "Creatore" e loro ci credono. Sono piccole bugie a fin di bene. -
Agape sorrise, d'accordo con lei. Guardò in alto, verso il cielo azzurro e in quel momento le venne in mente sua madre. Chissà se sarebbe stata contenta della sua scelta. Chissà cosa le avrebbe detto per rassicurarla, per aiutarla. Ma non poteva più parlarle, non poteva più abbracciarla o sorriderle. Le mancava, le mancava terribilmente. Non si sarebbe mai tolta dalla mente la scena della sua morte.

La folla urlava, strepitava. Lei era sul patibolo, con la corda intorno al collo, come se fosse un gioiello. Sorrideva, era serena, non sembrava curarsi della gente intorno a lei che le gridava contro gli insulti più coloriti.
Aveva ucciso la regina. Andava punita. Era una strega, un essere maligno, la puttana del Diavolo.
Ma per lei era sua madre. Non avrebbe urlato il suo nome, non avrebbe pianto. Non si sarebbe fatta vedere debole da chi la odiava. Non gli avrebbe dato questa soddisfazione. Aveva occhi solo per sua madre, per il suo sorriso dolce, per i suoi occhi buoni.
Il suono secco della botola risuonò nella piazza, i piedi nudi penzolarono nel vuoto, con ultimi spasmi di vita. Poi l'urlo di giubilo della folla.
La trascinarono via a forza, suo fratello e Sannok. I giorni seguenti pianse tutte le lacrime che aveva, gridò il proprio dolore e si appoggiò al fratello, unica roccia rimasta della famiglia.

Erano passati anni da quel giorno, eppure il dolore era vivo, presente. E sapeva che non sarebbe mai andato via.
Si mise a sedere e osservò la cascata.
"Devi andare sempre avanti. Non guardarti indietro, o un giorno non riuscirai più a distinguere la realtà dai ricordi". Doveva restare salda.
- Che ne dici, torniamo a casa? -
La ragazza guardò Lajvika e annuì. Fece per prendere il cesto con le erbe, quando la donna la precedette.
La ragazza prese a guardarsi intorno, cercando di riconoscere le piante che erano nel cesto, restando a d ascoltare le voci della natura.

Stavano per arrivare alla capanna, quando Agape iniziò a non sentirsi bene. Le ronzavano le orecchie in maniera decisamente fastidiosa. Provò a grattarsele, ma nulla. Man mano che procedeva, il ronzio si faceva più insistente, diventando un brusio indistinto, poi migliaia di voci scoppiarono nella sua testa, urlando di rabbia.
Vendetta! Vendicaci, Salvatrice! Solo tu puoi liberarci!
Fece appena in tempo a entrare in casa, che la ragazza cadde in ginocchio con le mani premute sulle tempie.
- No! Basta! -
Lajvika, sentendola gridare, si voltò di scatto e le si avvicinò, chiamandola. Cercava di farla tornare in sé, ma la giovane non rispondeva, era come intrappolata in un'altra realtà.
- Agape! Agape mi senti?! Rispondimi, ragazza! -
Lentamente le voci si quietarono, lasciando la sua mente vuota e in pace. Si sedette, cercando di riprendere fiato.
- Che cosa è successo? -
- Io... Io non lo so... Sento delle voci, che mi parlano, che urlano... -
Scoppiò a piangere e la donna la strinse, cercando di tranquillizzarla.
- Stai tranquilla, posso provare a fare un infuso che le farà tacere. Adesso abbiamo molte cose da fare: vieni. - si avvicinarono al tavolo, dove Lajvika aveva già diviso le erbe in piccoli mucchietti. - Voglio che tu le raggruppi e le leghi con questa spago, va bene? -
La ragazza annuì, ancora scossa. Scoprì che maneggiare le erbe le piaceva, la rilassava, ma i loro odori intesi la infastidivano un po' e, in poco tempo, si ritrovò a combattere contro un feroce mal di testa. Dopo quelle che le parvero ore, finalmente tutte le erbe erano state legate e controllate.
Insieme prepararono il nuovo giaciglio per la ragazza, con paglia fresca, un tacco di iuta e delle lenzuola grezze. Le diede delle pellicce per coprirsi e una tisana.
- Bevi, ti aiuterà a dormire e a rilassarti. -
La ragazza, sentendo prima l'odore, decise che era il caso di mandar giù tutto d'un fiato. Si scottò lingua e gola, ma almeno non sentì il sapore ripugnante dell'infuso.
Si coricò e chiuse gli occhi, mentre in sottofondo la voce di Lajvika che pregava e ringraziava Madre Natura la cullava verso il sonno.

Le streghe di KaruaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora