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Era una mattina come le altre a Karua: si stava svolgendo il mercato cittadino e ogni abitante era impegnato nelle proprie faccende; c'era chi comprava frutta e verdura, chi discuteva animatamente con un mercante dall'aria poco affidabile, chi incontrava qualche conoscente per raccontare gli ultimi pettegolezzi. I bambini correvano liberi per le strade e si inseguivano, con le loro voci cristalline piene di gioia, mentre le madri li osservavano senza perderli di vista. I padri, invece, o erano impegnati con i turni di guardia o stavano sbrigando qualche faccenda. Sembrava la mattinata perfetta per godersi la vita. Il sole era alto nel cielo e la primavera stava arrivando. I primi fiori avevano iniziato a sbocciare e i merli erano tornati dal sud; adesso popolavano i cieli con le loro piume nere e lucenti. Il verde stava lentamente riprendendo il suo posto e tutto sembrava tranquillo. Questa apparenza veniva smontata dalla presenza di guardie reali. Quel giorno erano molto più numerose del solito.
Erano lì per lei, che se ne stava seduta nella sua cella, ad osservare il tutto. Ormai la speranza l'aveva abbandonata da troppo tempo. Prima era toccato a sua madre e adesso era il suo turno. Non capiva come avessero fatto a scoprirle, come avessero fatto a capire che avevano dei poteri. Erano sempre state attente, non avevano mai dato nell'occhio, non avevano mai fatto nulla che potesse far sospettare di loro. Non credeva assolutamente che suo padre avesse fatto la spia: amava sua madre e lei più di ogni altra cosa al mondo, non le avrebbe tradite per nessuna ragione, nemmeno per tutto l'oro che il re avesse avuto da offrire. Eppure adesso lei si trovava in prigione, piena di lividi e bruciature, debole e dolorante per tutte le torture subite. Se ripensava al giorno prima desiderava che la morte venisse a prenderla al più presto. Ripensò al ferro bollente premuto contro la sua carne, agli aghi che la trapassavano da parte a parte, alla frusta che le squarciava la pelle e al sangue che colava dalle ferite. Ripensò alle mani dei soldati che la toccavano, mentre lei era legata nuda, inerme e indifesa, al loro fiato sulla guancia e al dolore che le avevano causato, a quel sangue diverso, a quello strazio intimo che l'aveva spezzata, molto più delle torture, molto più di quanto avesse mai fatto qualsiasi altro strumento utilizzato per farla confessare. L'avevano spezzata e non avrebbe più avuto l'occasione di ricomporsi, di raccogliere i pezzi e provare a vivere di nuovo. No. Il suo destino stava per compiersi per volere di altri. Non capiva il perché di tutto quell'odio, di tutto quel disprezzo verso le donne come lei. Ne aveva viste tante morire nel corso degli anni ma mai avrebbe pensato che sarebbe stata una di loro.
Anche se era una misera consolazione pensava che, dopo quello che la attendeva tra poche ore, sarebbe stata in pace, non avrebbe più dovuto nascondersi, non avrebbe più dovuto avere paura di essere se stessa. Cercava di calmarsi, ma l'attesa la stava uccidendo da dentro. Non c'era nessuno a sorvegliarla in quel momento, nessuno a cui chiedere cosa l'attendeva, nessuno con cui condividere quegli ultimi momenti di terrore. Heylin era sola ad aspettare l'ora della sua morte.
Quando vennero a prelevarla era ormai mattina inoltrata. Sentì la porta della cella aprirsi e si ritrovò davanti il Primo Generale.
L'uomo la guardò con disprezzo, restandole distante. Ordinò ai suoi soldati di portarla fuori. La slegarono dalle catene che la tenevano bloccata e la trascinarono fuori dalle prigioni. Quando fu fuori, Heylin percepì uno sguardo su di lei. Vide un gatto soriano che la fissava intensamente con i suoi occhi verdi; lei lo guardò di rimando, cercando nel suo sguardo intenso una risposta. Il micio li seguì fino in piazza, muovendo la coda innervosito.
La ragazza guardò cosa la attendeva e iniziò a divincolarsi, cercando in tutti i modi di fuggire, ma i soldati erano troppo forti. "No, non voglio morire così, non voglio!". La pira si stagliava di fronte a lei minacciosa.
- No! No, vi prego! Non il rogo, per favore! - urlò disperata al Generale.
- Fatela tacere! - ordinò l'uomo ai suoi sottoposti.
Loro la imbavagliarono, cosicchè non potesse più dare fastidio. La ragazza continuava a divincolarsi, le sue urla erano soffocate dalla stoffa che le avevano legato attorno alla bocca. Il gatto miagolava agitato, con il pelo ritto sulla schiena ma nessuno, oltre a Heylin, sembrava notarlo. I soldati provvederono a immobilizzare la strega al palo, mentre lei si divincolava e cercava in tutti i modi di fuggire. Alla fine si arrese e iniziò a piangere disperata, chiedendosi se dovesse proprio finire così. Non c'era ancora la folla che si era aspettata, forse erano tutti troppo occupati con le loro faccende per vedere l'esecuzione della "figlia del Demonio".
Intanto, dietro la catasta di legno si erano radunati una ventina di gatti, di tutte le razze e colori, e stavano ad osservare la scena e continuavano ad arrivarne. Ben presto l'aria fu piena di versi felini, di miagolii insistenti e soffi rabbiosi. Gli abitanti, che avevano iniziato a radunarsi per poter assistere all'esecuzione, lo presero come un cattivo presagio. Nonostante tutto, rimasero a guardare: un rogo era sempre uno spettacolo da non perdere, soprattutto se si trattava di una strega.
Heylin era terrorizzata e, quando riuscì a togliersi il bavaglio, iniziò a urlare, a implorare che qualcuno facesse qualcosa, non potevano essere davvero così crudeli da volerla davvero vedere morire bruciata. Ma nessuno rispose alle sue invocazioni d'aiuto. Solo i gatti dietro di lei sembravano disperati alla vista del soldato che si avvicinava alla pira, con una torcia in mano. Alcuni di loro si avvicinarono all'uomo, ma vennero scacciati malamente.
Quando il legno ai suoi piedi prese fuoco, la ragazza istintivamente si ritrasse il più possibile, aggrappandosi al tronco che aveva premuto sulla schiena. Prima che il fuoco attecchisse troppo, una guardia le legò una corda attorno al collo, cosicchè non potesse muoversi troppo e che tutti potessero vederla in viso mentre moriva.
Le genti iniziarono a urlare, a insultarla mentre il fuoco si avvicinava sempre di più a lambirle le dita dei piedi. Un terrore cieco si fece largo nella sua mente, mentre le fiamme si alzavano, impedendole di vedere qualsiasi cosa. Si riflettevano nei suoi occhi pieni di lacrime, il fumo rendeva l'aria irrespirabile e iniziò a tossire, i polmoni erano asciutti, non riusciva a inspirare, il calore era insopportabile e ben presto il dolore lo fu di più. Sentiva i piedi bruciare, la carne sfrigolare e il fuoco risalirle lungo le gambe, bruciarle la gonna e arrivare alle braccia.
Era troppo da sopportare e lei non poteva fare altro che urlare e implorare la Dea che qualcuno venisse ad aiutarla, non voleva morire, non voleva...
All' improvviso le fiamme sparirono, il calore cessò e poté finalmente respirare di nuovo. Prese una boccata d'aria, ma le doleva il petto. Si accasciò a terra, tossendo e guardando il cielo. Entrò nel suo campo visivo una donna anziana, o almeno così le sembrava, dato che aveva i capelli bianchi. La sua vista era appannata ma non voleva chiudere gli occhi per paura che poi non li avrebbe più riaperti.
- Non ti preoccupare, presto sarai al sicuro. - le disse la donna misteriosa.
Heylin era troppo debole per alzarsi da sola, quindi la salvatrice dovette prenderla in braccio.
Agape osservò la folla davanti a sé, mentre da dietro le giunsero alle orecchie diversi miagolii disperati. Guardò il Primo Generale con aria di sfida, chiedendosi se avrebbe osato intervenire. Né lui né gli altri soldati fecero nulla. Erano paralizzati dalla paura.
"Molto bene, il mio viaggio di ritorno sarà tranquillo."
La donna scese dalla pira, con la giovane in braccio, priva di sensi. Doveva portarla immediatamente da Kayla, lei avrebbe saputo cosa fare. Avanzò in messo alla folla, che si aprì per farla passare; tutti la guardavano con paura od odio. Lei li guardava impassibile. Mentre avanzava verso il suo destriero, sentì qualcosa strusciarsi sulle gambe; abbassò lo sguardo e notò un bel gatto soriano che la seguiva. Si voltò indietro, notando che anche tutti gli altri felini si stavano accodando a loro due. Agape montò sul suo cavallo e si diresse verso la fine del regno, verso la foresta.
All'uscita di Karua tutti i gatti si fermarono, tranne uno che continuò a inseguirla.
La Salvatrice si voltò e vide che la guardavano, i loro occhi le sembravano scrutare i recessi più reconditi della sua anima e, per un momento, se ne sentì inquietata. Poi vide il soriano che la stava seguendo. Rallentò per permettere al felino di salire e poi ripartì a tutta velocità verso il Castello delle Shariwae.

Heylin si svegliò in una stanza che non conosceva. Cercò di mettersi a sedere, ma il dolore alle gambe e alle mani glielo impedì. Ricadde sulle coltri, facendosi sfuggire un gemito di dolore dalle labbra. Venne affiancata da una giovane donna, avrà avuto forse venticinque anni, aveva i capelli tagliati corti, a caschetto.
- Ti sei svegliata per fortuna. Io sono Kayla. - le disse sorridendo.
- Dove mi trovo? - chiese con voce roca.
- Sei al Castello delle Shariwae, non devi preoccuparti, sei al sicuro adesso. -
- Dov'è lei? -
Kayla le sorrise, sapendo benissimo a chi si riferisse.
- Se vorrai vederla sarà qui tra poco. Non sforzarti però, sei ancora debole. -
La ragazza annuì, rilassandosi e lasciando che le medicasse le ferite. Quando tolse le bende dalle gambe urlò.
- Scusami, ma devo toglierle per poterti curare. -
Heylin si morse le labbra per non urlare nuovamente. Cercò di concentrarsi su dove si trovava ora. Il Maniero nel bosco. Quante volte avevano pensato di fuggire da Karua, lei e la sua famiglia, per poter vivere in pace e andare proprio dove si trovava adesso lei. Al pensiero di sua madre impiccata davanti a lei le venne da piangere. Lacrime amare iniziarono a scendere dai suoi occhi e Kayla, pensando che fosse per la medicazione, le disse:
- Non piangere, stai tranquilla, ho quasi finito. -
Applicò, sulla sua pelle martoriata, un impacco che sapeva di fresco e poi ricoprì il tutto con altre bende. In quel momento, la porta venne aperta e Agape fece il suo ingresso, in tenuta d'allenamento. Guardò la ragazza distesa nel letto e le sorrise, un sorriso triste e quasi di scuse. Le si avvicinò chiedendole come stesse.
- Io sto... bene, vi ringrazio. - rispose Heylin, arrossendo alla vista della donna. Non pensava che la sua salvatrice potesse essere così giovane. Sembrava avere solo qualche anno in più di lei, ma i suoi occhi erano saggi, segnati da profonde occhiaie.
- Mi dispiace non essere intervenuta prima che ti bruciassi, ma ho incontrato alcuni... ostacoli mentre mi dirigevo in piazza. -
La giovane si affrettò a ribattere:
- Non è stata colpa vostra, non avete nulla da biasimarvi. Forse, se fossimo state più attente questo non sarebbe successo... -
Agape la fissò intensamente e stava per lasciarsi sfuggire che, anche se si fosse nascosta nel miglior modo possibile, non sarebbe servito. Non aveva ancora capito come, ma Damon riusciva a tracciare le Shariwae ed era un grosso problema che andava risolto al più presto. Non ne aveva parlato con nessuno ancora, dato che non voleva assolutamente che dilagasse il panico nel Castello. Aveva dato ordine che chiunque fosse interessato a imparare a combattere avrebbe dovuto presentarsi quella mattina nella sala d'addestramento. Si erano presentiti solo pochi ragazzi, tutti maschi, e aveva avuto ben poco da fare con loro, dato che sapeva già destreggiarsi bene con la spada. Aveva bisogno che chi viveva al Maniero si tenesse pronto per un eventuale attacco da parte di Karua. Aveva il terribile sospetto che la faccenda delle Shariwae non si sarebbe risolta solo con la diplomazia, ma che sarebbe stati obbligati a scendere in campo.
- Wa Agape, state bene? -
La donna si riscosse dai suoi pensieri e si concentrò sulle due ragazze che aveva di fronte.
- Sì, sì, so bene non preoccuparti Kayla. Non ti ho ancora chiesto qual è il tuo nome. - disse, rivolgendosi alla più giovane.
- Il mio nome è Heylin. -
Tutte e tre si voltarono verso la porta, quando sentirono un miagolio sonoro provenire da fuori. Entrò nella stanza il gatto soriano che le aveva seguite fino al castello.
- Nijù! - esclamò la ragazza, felice come non mai di vederlo. A quel richiamo il felino si fece avanti, alzando la coda e saltando sul letto, mettendosi in grembo alla giovane Shariwa e iniziando a fare le fusa.
- Pensavo che non ti avrei più rivisto! - disse, fissando intensamente il micio negli occhi, come se potesse leggergli nel pensiero. Il felino poggiò le zampe anteriori sulle spalle della ragazza e strofinò il muso contro il suo naso, lasciandosi stringere in un abbraccio.
- Lo so che non mi avresti mai lasciata lì, ma non avresti dovuto rischiare. -
- Stai parlando col tuo gatto? - chiese Kayla stupita. Anche Agape la guardava incuriosita.
- Sì, capisco il linguaggio animale. Io li ascolto e loro mi parlano. E' questo il Dono che mi ha riservato la Dea. -
Agape si illuminò da dentro: un'altra Shariwa consapevole.
- Conosci il culto della Dea? - le chiese, forse con troppa enfasi.
Heylin le rispose in maniera affermativa, aggiungendo che Nijù fosse il suo Famiglio. Notando gli occhi stanchi della giovane, Agape si chiese se non fosse il momento di andare e lasciarla riposare. Decise di uscire per permetterle di recuperare le forze. Nonostante Heylin fosse contraria al vederla andare via, si accasciò sui cuscini, con gli occhi che si socchiudevano e Nijù le si acciambellò vicino al viso, per vegliare sulla sua compagna. La Salvatrice uscì, avvertendo una sensazione strana nel petto.

Tornò nella sala degli allenamenti, decisa a scrollarsi di dosso quel fastidio all'altezza del cuore. Distrattamente, si chiese che cosa potesse mai essere.

Le streghe di KaruaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora