Era davanti alla capanna di Lajvika. Non riusciva a muovere un muscolo. Tutto le appariva innaturale, irreale. Nonostante avesse il cuore in gola, nonostante sentisse le lacrime salirle agli occhi, fece un passo. Poi un altro.
Lentamente entrò in quella che era stata la sua casa per tre anni. Tre lunghissimi e fantastici anni ma che le sembravano passati troppo in fretta. Ora Lajvika non era più lì con lei. Non poteva più darle consigli, non poteva più ascoltarla, non poteva più insegnarle nulla. Andò diretta alla cassapanca e la aprì. Dentro vi trovò la sua spada, che assicurò alla vita con un laccio in pelle. Frugò lì dentro, cercando qualsiasi cosa che le potesse essere utile. Trovò l'arco della sua Maestra e le frecce. Ricordò tutte le volte che l'aveva portata a caccia e aveva cercato di insegnarle ad usarlo. Non aveva mai imparato: estrofletteva troppo il gomito e, puntualmente, con la corda, si faceva male al braccio procurandosi un livido violaceo che le restava per parecchi giorni. Ricordava come, una volta tornate a casa, le applicava una pasta che riduceva il gonfiore e la aiutava a guarire più velocemente. Le aveva insegnato ad avere rispetto per ogni forma di vita, dalla più piccola e apparentemente insignificante fino alla propria. Le diceva che, prima di tutto, doveva avere rispetto per se stessa, doveva amarsi intensamente, altrimenti nessun altro l'avrebbe fatto al posto suo. Ogni volta che abbatteva un animale, recitava una preghiera perché il suo spirito riposasse in pace e andasse sereno tra le braccia di Madre Natura.
Si riscosse quando sentì una lacrima cadere sulla sua mano. Non le asciugò, era giusto che piangesse. Doveva prima fare i conti con la sua perdita e poi avrebbe ricominciato a vivere. Si alzò in piedi e si voltò verso il focolare. Decise di accenderlo per cercare un po' di calore, ma si bloccò quando vide il corpo di Loishbeth. Carbonizzato.
"Oh mia Dea..."
Non poté trattenersi e corse fuori a rigettare quel poco che era riuscita a mangiare quella mattina. Era colpa sua? Era morta così per colpa sua? Era diventata un mostro.
Pianse, pianse lacrime amare, come il senso di colpa che sentiva crescere dentro di sé. "Perché?" quella maledetta domanda che l'aveva tormentata per anni era tornata. Qual era il morivo per tutto quel dolore? Perché tutti quelli che amava la lasciavano da sola? Perché, alla fine, se ne andavano tutti? Perché, ogni volta che sentiva di aver finalmente trovato la sua strada, il suo posto nel mondo, tutto le veniva strappato dalle mani? Non aveva diritto a un po' di felicità in questa vita? La vita era già difficile di suo senza che la prendesse anche in giro.
Tornò dentro, prese con delicatezza il cadavere della gatta e cercò un posto in mezzo al bosco per sotterrerla. Non aveva una vanga con sé o qualsiasi altra cosa che potesse aiutarla a scavare. Si rimboccò le maniche e iniziò a farlo a mani nude. Gli arti le divennero rossi in pochissimo tempo per il gelo della neve. Erano talmente freddi da fare male, ma quel dolore le serviva. Doveva trovare qualcosa che la distraesse dallo strazio che aveva nel petto. Creò la fossa per Loishbeth coprendosi le mani di graffi, rompendosi le unghie per quanto fosse duro il terreno. La pelle era talmente sensibile a causa del freddo che ogni piccolo dolore le arrivava al cervello come una stoccata micidiale. Una volta che la buca fu pronta vi depositò il corpo senza vita del famiglio. Lo ricoprì e recitò una preghiera alla Dea Madre perché accogliesse quella povera creatura con amore nel suo ciclo.
Col cuore pesante e gli occhi gonfi si diresse al lago dove iniziò a lavarsi lentamente le mani. Il freddo penetrava con decisione e le rendeva insensibili. Si aggrappò a quel freddo che annullava qualsiasi cosa. Si spogliò degli abiti strappati e, nuda e fragile, si immerse a poco a poco nell'acqua gelida. Mentre avanzava rompeva il sottile strato di ghiaccio che ricopriva la superficie. Mentre il freddo la inondava come uno tsunami, sentiva il fuoco che aveva dentro regredire, il calore rifugiarsi in un punto indefinito del suo essere, per lasciare spazio al freddo purificatore. Doveva lasciarsi andare per rinascere.
Le sue membra tremavano in maniera incontrollabile, per poi irrigidirsi e restare immobili. Si ritrovò a galleggiare con le braccia aperte e a fissare il cielo grigio. Era stanca, davvero stanca. Aveva solo voglia di chiudere gli occhi e dormire per sempre.
Agape. Agape, voltati.
Si voltò verso la riva e per un momento pensò di essere morta. C'era sua madre che la guardava.
- Mamma... -
Nuove lacrime corsero sul suo viso. Erano calde e confortanti.
- Non arrenderti. Non è ancora arrivato il tuo momento. Continua a lottare. -
Continuare a lottare? Come avrebbe potuto da sola?
- Te l'ha detto il Re. Presto non sarai più sola, devi solo avere pazienza ed essere fiduciosa. -
La raggiunse con poche mosse e Agape si alzò, mettendosi di fronte a lei.
- Sii una forza della Natura. Sii selvaggia e imprevedibile. Sii coraggiosa figlia mia. -
Sentì il suo abbraccio riscaldarla da dentro. Alimentare quel fuoco che, per poco, aveva deciso di sopprimere. Era parte di sé, anche se poteva solo distruggere.
Rimase in acqua ancora per un po', per schiarirsi le idee. Doveva darsi tempo. Doveva aspettare che le sue ferite si rimarginassero. Doveva guarire prima di poter aiutare gli altri. Prima di avere la sua vendetta. Voleva vendicarsi dell'artefice di tutto quel dolore. Damon. Lo avrebbe distrutto. Gli avrebbe fatto assaggiare il suo stesso veleno. Il terrore che avrebbe provato sarebbe bastato a ucciderlo.
Il suo fuoco avrebbe distrutto di nuovo, sì, ma per una buona causa. O almeno, per ciò che lei riteneva giusto. Avrebbe pagato per quello che aveva fatto e lei sarebbe andata a riscuotere il debito. Prese la sua spada e si diresse a larghe falcate verso la capanna. Accese il fuoco per scaldarsi, rimase a fissare le fiamme, mentre pensava a un modo per trovarsi faccia a faccia con colui che un tempo aveva chiamato fratello.
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Le streghe di Karua
Fantasy~ CONCLUSA ~ ~ DA REVISIONARE ~ Agape è la Strega per eccellenza, la megera che terrorizza Karua; per i suoi abitanti ella non è altro che un essere maligno, senza anima, mandata dal Demonio per distruggerli. Per le Shariwae, invece, rappresenta una...