Che cosa c'è in un nome?

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Rose Weasley.

È il mio nome, la mia firma e anche la mia condanna... Dico così perché sembra proprio che tutta la mia vita giri intorno al fatto che io mi chiami Rose Weasley.

Ma poi, che cosa c'è in un nome?

Ciò che noi chiamiamo con il nome di rosa, anche se lo chiamassimo
con un altro nome, serberebbe pur sempre lo stesso dolce profumo?

Shakespeare, in sostanza, diceva che il nome non è affatto capace di fare il suo mestiere. Che il nome è solo un limite. Cerchiamo continuamente di definirci, di inquadrarci... Quando essere non è altro che un turbine di colori, di tramonti e di ciliegi in primavera, di baci rubati, di danze sotto la pioggia, di fuoco e di stelle, di strade confuse, di scelte sbagliate, di amori proibiti, di sbronze dal sapore irlandese, di profumo di libri, di chiacchiericci filosofici e di monologhi come questo.

L'essere è indefinibile e incontenibile.
Siamo troppo per ridurci ad un susseguirsi di lettere che si sfacciano per noi.

Siamo fatti di pura essenza dell'infinito; come potrebbero, i nostri cuori, accontentarsi di sole parole?
Come potrebbero, le nostre menti porre fine alla ricerca di quella felicità perduta, che ritroviamo e che continuiamo a perdere, alimentando quel circolo vizioso anche chiamato vita? Come potrebbero, le nostre anime accontentarsi di un nome e di un cognome?

Tuttavia, nel mio caso, un po' di frasi che suonano bene insieme, della poesia seicentesca pescata da un libro di autori babbani, una spruzzatina di noia estiva, e un tocco di esistenzialismo professato alle due di notte durante la genuina crisi isterica di routine, non sono d'aiuto.

Non mi fate la predica, so perfettamente che chi mi ama davvero non darà retta agli sfacciati e infondati pettegolezzi su di me, che prima o poi, comunque, leggerà tra le pagine del Settimanale delle Streghe, non si fermerà all'apparenza, non si avvicinerà spinto unicamente dalla voglia di conoscere la figlia del Ministro della Magia, non farà amicizia solo perché il mio padrino ha salvato il mondo e non si stupirà del cognome, ma della mia, com'è che l'ha definita mia madre? Ah già... Spiccata personalità.

Quello che non capisco è: anche gli altri miei cugini devono per forza aver avuto lo stesso problema. Insomma Al, il mio migliore amico, tra parentesi, ha preferito tornare indietro nel tempo, per poco non bloccandoci tutti in un universo alternativo in cui Voldemort governava l'intero mondo magico, pur di non fare i conti con il giudizio del padre.

Eppure sembra proprio che da quando è tornato da quell'avventura abbia fatto scorta di Felix Felicis, perché all'improvviso gli va bene essere un Serpeverde, gli va bene avere schiere di ragazze che fanno la fila per qualche minuto con il suo lato da bad boy, gli va bene essere il figlio di Harry Potter.

Ha trovato se stesso.
E come lui, hanno fatto James e Fred, gli studenti preferiti di Gazza, le due nuove ragioni, per cui la McGranitt non fa che ripetersi: «Ancora due anni, Minerva, ancora due anni»

E come loro, ha fatto Dominique, aka consulente di coppia della famiglia, aka mia cugina preferita, aka tocca il mio top di Prada e ti farò rimpiangere il giorno in cui sei nata pubblicando la foto che ti ho fatto sul cesso dopo il cenone di Natale del 2016.

E come Domi, ha fatto Lily, fregandosene altamente della rispettabilità del nostro cognome, imparando, a soli dodici anni, come stregare suo fratello maggiore James, obbligandolo a ballare in mutande sul tavolo dei Grifondoro, davanti a tutta la Sala Grande. Non dimenticherò mai la faccia della McGranitt alla vista di quei boxer con gli aeroplanini e i boccini d'oro.

What's in a name? That which we call a RoseDove le storie prendono vita. Scoprilo ora