Tredici.

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Sono quasi le tre.

«Abbiamo tutti e due un aereo da prendere.»

La vedo annuire, ma non si volta a guardarmi. Mi alzo e vado a prendere l'iPhone sul tavolo del salotto.

«Chiamo un taxi, qual è il tuo indirizzo?», le chiedo.

«Via...»

«Cazzo, si è spento. Mi presti il tuo?»

«Aspetta.»

I suoi occhi ora mi fissano e sembrano implorarmi di accettare qualsiasi cosa voglia da me.

«C'è un'ultima cosa», dice con voce un po' incerta. «Ho una cosa che ti appartiene.»

La seguo per le scale di legno che portano al piano superiore. Ci sono due porte, una a destra, dove intravedo la camera da letto, e una a sinistra, chiusa. Victoria la apre e dentro c'è uno studio. Nell'angolo, appoggiata al muro, è riposta una custodia, da cui lei tira fuori... la mia chitarra?

Perché è qui?

Perché Victoria ha la mia vecchia chitarra classica?

È quella che ho venduto su Ebay. Un giorno in cui ero particolarmente nervoso, l'ho scaraventata per terra. Ho dovuto ricomprarne un'altra, perché l'avevo proprio ridotta male, anche se ci tenevo a quella chitarra distrutta, ho scritto metà del mio nuovo album con quella chitarra.

È rimasto tutto identico: la vecchia custodia impolverata, gli adesivi, le ammaccature, le corde rotte.

Questa è la mia chitarra. Victoria ha la mia chitarra. Victoria è la persona che ha comprato la mia chitarra.

Do un'occhiata alla stanza. In mezzo a quel disordine di fogli di spartiti sparsi ovunque, custodie vuote, quattro bassi, due chitarre elettriche e una classica, e qualche sgabello, vedo uno scatolone pieno di riviste, dove i Maneskin spuntano dalle copertine. E vedo anche... il mio nuovo cd.

Mi sento svenire. Mi siedo su uno sgabello. Victoria resta in piedi davanti a me, ancora con la mia chitarra in mano.

«Tu...», è l'unica parola che mi esce strozzata dalla gola.

«Sì. Io.»

Mi sembra di aver perso completamente la capacità di parlare.

«Qualcuno doveva impedire che una delle tue fan spendesse quella cifra esorbitante per una chitarra rotta da usare come soprammobile, o da adorare come se fosse la statua della Madonna. Me li dovrai ridare tutti quei soldi», sorride.

«Ma...», cerco di trovare le parole. «Perché? Cioè, hai detto che mi odiavi.»

Victoria fa un sospiro lungo e profondo.

«Lo so. Mi serviva qualcuno da odiare, qualcuno a cui dare la colpa di tutto. E tu sei la persona che amo di più, quindi ho deciso di odiare te.»

«Non ci sarebbe mai stata Beatrice se tu non avessi deciso di odiarmi.»

Victoria abbassa lo sguardo e incassa le mie parole.

«Io non ti odio davvero, non credo di averlo mai fatto. Ero solo arrabbiata.»

Respira a fondo di nuovo, prima di continuare.

«Se può esserti di conforto, mi sei mancato, Damiano, mi sei mancato tantissimo, più di quanto immagini, più ti quanto pensassi. Ma quando ho realizzato di aver fatto un grandissimo errore, potevo solo continuare a guardarti da lontano, perché tu ti eri rifatto una vita con quella ragazza e avevi firmato un contratto e stavi scrivendo un album. Stavi realizzando i tuoi sogni e io non avrei mai voluto rovinare la tua vita perfetta.»

«Non è perfetta», dico.

«Come facevo a saperlo?»

Si asciuga in fretta le lacrime che cominciano a rigarle le guance. Ho la pelle d'oca, sento un brivido in tutto il corpo e ancora una volta non riesco a capire cosa mi stia succedendo.

«E poi... Damiano David compare dal nulla al mio concerto. E mi è sembrata più che una semplice coincidenza.»

Ho sempre fatto un sogno come questo. Victoria era qui con me e mi guardava con quegli occhioni. "Cos'ha lei che io non ho?", mi ha sempre chiesto Bea con quella sua invidia che provava per ogni ragazza a cui avevo anche solo concesso un ciao con la mano. Ora, le risponderei: gli occhi.

Bea ha quei grandi occhi verdi dalle striature dorate, brillanti come due stelle, indefinibili e decisamente unici. Lo penso ogni volta che la guardo. Ma gli occhi di Victoria. Quei maledetti occhi mi fottono sempre, ci faccio l'amore solo a guardarli. In quegli occhioni blu io mi ci posso specchiare, e vedo me stesso, vedo me stesso felice.

Victoria mi guarda, guarda il suo basso bianco con la scritta girls bite back e guarda l'orologio alla parete. E capisco cosa vuole, ed è la stessa cosa che voglio anch'io, ma non riesco ancora a credere che dopo tutto questo tempo... Dico di sì con un cenno della testa. Lei attacca il basso, mi passa il cavo ed io accendo l'amplificatore. E mentre lei lo accorda e le note vibrano nell'aria, sento come una scarica elettrica che mi percorre la schiena, un'emozione che non provavo da tantissimo tempo.

Guardo Victoria. È seduta di fronte a me, con il basso sulle gambe. Ha gli occhi chiusi. Poi, all'improvviso, parte con la canzone. Apre gli occhi e mi guarda, come se non avesse mai smesso di farlo. È come se mi dicessero: "Sei pronto?"

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