Uno.

1.8K 59 12
                                    


Vivo una vita che molti invidiano, che qualcuno sarebbe disposto a vendere un rene anche solo per provarla per un giorno. Eppure, ogni mattina, mi sveglio e mi dico "è solo un altro giorno, altre ventiquattro ore da far passare".

L'orologio sul comodino segna le 06:12 di mattina. Prendo l'iPhone e mando un messaggio a Thomas. Una melodia mi suona in testa da tutta la notte e sono sicuro che lui saprà aiutarmi a farla uscire, come mi ha aiutato con il mio nuovo album.

Mi alzo dal letto scomodo di quella camera d'albergo e cerco il mio pacchetto di sigarette. Fumare è ormai diventato il mio tranquillante, mi serve specialmente quando sono nervoso, che è la mia condizione normale, ultimamente.

Mi vesto e mi bevo un caffè, mi affaccio alla finestra e vengo subito investito dall'aria calda di una mattina frenetica di milanese. Mi piace, perché tutto quel traffico di auto e persone mi ricorda un po' la mia Roma.

Prendo un'altra sigaretta e la accendo con la mano che trema. Ormai è da un po' che soffro di questo leggero tremore, la mia dottoressa pensa che si tratti di semplice nervosismo, appunto, e mi ha consigliato di fare yoga. E allora perché io, invece, preferirei prendere a pugni un sacco da boxe?

Due minuti dopo la spengo sul posacenere quasi pieno. Afferro la chitarra, la accordo e mi scaldo un po'. Pian piano le mie dita si svegliano, grazie anche ai consigli fondamentali di Thomas, ma non riesco a combinare più di tanto. Quei suoni li sento ancora nella mia testa, ma non riesco a tirarli fuori.

L'iPhone comincia a vibrare e rispondo, approfittandone per un'altra sigaretta.

«Ciao Dam», mi saluta Thomas. «Allora, che racconti di bello?»

«Ho i suoni in testa, ma ho bisogno dell'aiuto del miglior chitarrista d'Italia.»

«E lo avrai», ride. «Dimmi tu quando.»

«A pranzo ho un'intervista, ma dopo ci possiamo vedere.»

Faccio una doccia, mi vesto, prendo l'ascensore ed esco dall'albergo.

Mentre mi dirigo al posto prescelto per l'intervista, la mia mente vaga per i ricordi delle prime volte, quando a intervistarmi erano quei giornalisti che dicevano sempre di essere nostri fan. E io ci credevo, pensavo davvero che fossero interessati alla nostra musica. E poi non ero solo, ero con la mia band al completo. Non sembravano neanche essere delle vere interviste, a me sembravano più che altro delle normali conversazioni, in cui ognuno si sentiva libero di dire la sua, senza aver paura di sbagliare o di essere giudicato, perché alla fine la pensavamo tutti e quattro allo stesso modo. Non mi preoccupavo troppo di pesare le parole, di essere troppo me stesso. Oggi, invece, mi sento di essere più a un interrogatorio, dove il giornalista interpreta la parte del poliziotto.

Prima di entrare mi serve una sigaretta, anche se il sole cocente di mezzogiorno per un attimo sembra volermi far cambiare idea. La gente mi passa di fronte e sembra riconoscermi. Alcuni mi chiedono una foto, altri fanno finta di niente. Chiamo il mio manager per avere informazioni sull'intervista: la giornalista dovrebbe essere già arrivata, si chiama Valeria ed è una ragazza giovane, forse ha qualche anno più di me.

Entro e la trovo subito, seduta ad un tavolo nell'angolo in fondo al locale. È bionda e sembra anche carina.

«Ciao.»

«Ehi, Damiano.»

Lo dice come se ci conoscessimo già.

«Posso dirti che sono una tua grande fan? Eravate la mia band preferita, la vostra musica mi ha salvato la vita, quindi grazie», mi sorride.

If You StayDove le storie prendono vita. Scoprilo ora