Tre.

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Io non ero lì, al suo risveglio, dopo i quattro giorni più lunghi della mia vita. Mi sono fatto raccontare tutto milioni di volte dai miei amici, conoscevo ogni particolare di quel pomeriggio, come se ci fossi anch'io.

Erano tutti seduti intorno al suo letto, nel reparto di terapia intensiva. Nessuno ha detto niente, e lei se ne stava lì immobile sul letto, stringendo la mano di suo padre.

Il primo a rompere il silenzio è stato un dottore, che ha spiegato che Victoria avrebbe dovuto affrontare un intervento per sistemare l'osso del polso sinistro. Un'operazione semplice che le avrebbe lasciato solo una brutta cicatrice. Poi sarebbe potuta tornare a casa, anche se avrebbe dovuto fare un percorso di riabilitazione.

Le cause dell'incidente restavano sconosciute, ma noi sapevamo tutto, e lei ricordava tutto. Girava già la voce di un nostro scioglimento, stavamo discutendo proprio di questo, io e lei, in quella macchina, prima che tutto diventasse un vortice nero senza fine.

Tutti erano preoccupati, lei no. Non ha chiesto niente di nessuno, di come andavano le cose fuori da lì, di quanto tempo fosse passato dall'incidente al suo risveglio, che cosa avessero scritto i giornali e le riviste. Non ha chiesto niente di me, come se già sapesse.

Aprì bocca solo per chiedere a suo padre se le poteva portare il suo basso. Il medico la guardò contrariato. Suo padre, invece, scattò dalla sedia, corse in macchina e tornò con lo strumento.

Da quel momento, il basso diventò la sua terapia, sia fisica che mentale.

I medici restarono sbalorditi dalla sua forza. All'inizio, non riusciva neanche a tenerlo in mano quel basso, ma lei non si è mai data per vinta, come se dovesse ricominciare daccapo, come se dovesse di nuovo imparare a suonare.

Dopo un mese di riabilitazione ha riacquisito la mobilità e la forza dell'arto, dal non riuscire a stringere il bicchiere in mano a suonare un'intera canzone dei Red Hot Chili Peppers ad occhi chiusi.

Victoria è qualcosa di soprannaturale, l'ho sempre detto io. Quando l'ho conosciuta era già una ragazzina piena di talento, ma col tempo si è trasformata in qualcosa di eccezionale, magico assurdo. E ora lo era ancora di più.

Io l'ho seguita, anche se da lontano. Ma ero lì, quel giorno di ottobre, all'aeroporto, a salutarla da lontano, mentre se ne andava da Roma, forse per sempre. Le ho mandato un bacio e le ho sussurrato che l'amo più della mia vita.

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